Noi avevamo un’inviata speciale sul posto, Giulia Tag, fan italiana volata a Londra appositamente per assistere all’evento, alla quale abbiamo affidato il compito di raccontarci come si è svolta la serata. Con il suo articolo, che trovate di seguito, Giulia ci porta direttamente al Rose Theatre con lei, ci racconta come si è svolto l’incontro e ci regala alcuni degli aneddoti raccontati da Gillian.
A questo punto non mi resta che augurarvi buona lettura e ringraziare Giulia per la collaborazione!
“Time to talk with Gillian Anderson” (“E’ il momento di parlare con Gillian Anderson”) recita il cartellone fuori dal Rose Theatre di Kingston; ed è davvero il momento perché l'attrice, 43 anni e tre film in uscita ha molto da raccontare.
Un botta e risposta piuttosto informale nello stile di Inside the Actor Studio; un'atmosfera che si potrebbe definire intima: due sedie (una per Gillian e una per il direttore artistico del Rose Theatre Stephen Unwin), due bicchieri, una brocca d'acqua e una platea da meno di cento posti. E quella che viene presentata come una delle migliori attrici inglesi riempie i buchi di una biografia della quale i fan conoscono solo la trama più generale.
“Ti senti più inglese o più americana?”. “Entrambe le cose”.
Gillian Anderson è nata a Chicago; ha vissuto due anni a Porto Rico “dove i miei dormivano sul divano dei nonni tentando di mettere da parte i soldi per permettere a mio padre di studiare alla London Film School”. Una volta a Londra “abbiamo abitato a Clapham Common, e dopo Clapham Common a Crouch End, e dopo Crouch End a Grand Rapids; Michigan”.
Spronata da Unwin a ricordare il momento in cui ha deciso che quella della recitazione era una strada da tentare, Anderson apre un esilarante siparietto sulle sue avventure di sedicenne alle prese con il primo provino. “Era per 'Alice nel Paese delle Meraviglie'. Mi sono presentata e c'erano altre quattrocento ragazze della mia età: non sono scappata, ma non mi hanno presa”.
Qualche anno dopo ci riprova: entrare alla Theatre School alla De Paul University di Chicago per un diploma di quattro anni in Belle Arti. “Avevo diciassette anni, un fidanzato di 24 e nemmeno la minima idea di quello che stavo facendo. Non mi è mai passato per la mente che avrebbero anche potuto non accettarmi, non perché mi sentissi particolarmente dotata, ma perché non avevo proprio idea”.
“Facci un ritratto di te uscita dalla Scuola di Teatro”.
Gillian Anderson ride, la platea ride. Stephen Unwin insiste: vuole sapere come Gillian sia finita a servire per un anno e mezzo ai tavoli di un “orrendo ristorante salutista” a New York. Il racconto della rocambolesca fuga in macchina che segue è degno delle migliori biografie: da Chicago a New York con la casa stipata nell'automobile. “Ricordo di essermi fermata in un Motel da qualche parte in Pennsylvania e di aver pianto fino ad addormentarmi”.
Il periodo di “The X-Files” - a cui Gillian si riferisce semplicemente come “la serie” - perché tutti conoscono lo show che le ha offerto nove anni di successo e riflettori ininterrottamente puntati addosso - è affrontato da Unwin con molta cautela. “Quando fai un lavoro del genere per così tanto tempo puoi solo tenere la testa bassa e lavorare dando il meglio di te”.
Una volta conclusa l'esperienza della “Serie” a Gillian Anderson si presentava un bivio: “Potevo rimanere a Los Angeles e assumere un PR che rilanciasse la mia immagine o tornare a Londra e lavorare anonimamente in teatro”. Ha scelto la seconda strada.
Tra un aneddoto e l'altro riesce ad emergere anche il lato critico di un'attrice ben consapevole del mondo in cui si muove: frecciate taglienti colpiscono la macchina della televisione americana (“Ora è tutto molto in stile HBO: se passano venti minuti e nessuno ha scopato o è stato ucciso la gente si spazientisce”); molto più aperta la polemica contro la cronica mancanza di fondi per le produzioni indipendenti.
Davanti alle domande del pubblico Gillian Anderson dà il meglio di sé.
“Qual è stato il ruolo più difficile?”. “Eleonor Johnson in ‘How to lose friend and alienate people’. Probabilmente perché non ho mai avuto un PR. È stata una tortura”.
“C'è la possibilità di vederti in un episodio di Californication?” “L'ho domandato recentemente a David (Duchovny) e lui si è mostrato scettico temendo di mettere in scena solo i retroscena della vita di coppia di Mulder a Scully. Io ho naturalmente tentato di convincerlo del contrario”.
“Se ci fosse l'opportunità ti piacerebbe veramente girare un altro film di X-Files?” “Se il copione fosse interessante, certo ne sarei felice. Ma dovrei farlo in ogni caso. Anche se la sceneggiatura fosse pessima. 'Niente film di X-Files perché Gillian Anderson dice che il copione fa schifo'. No non potrei...”.
Quando Stephen Unwin suona il gong del question time le mani alzate sono ancora molte. “Tranquilli - rassicura Gillian - ne discuteremo davanti a un drink”.
Articolo di Giulia Tag
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