Faccio una previsione. La trama di questo “mostro della settimana”, scritto da Chris Carter, entrerà nell’insieme di quelle meno ricordate di X-Files e andrà a far compagnia a cose tipo “The Unnatural” o “Arcadia” (e non perché non valga la pena ricordare quelle storie).
Negli annali della serie rimarrà senz’altro la performance grandiosa di Karin Konoval, che avevamo già conosciuto nei panni della madre dei fratelli Peacock e qui impegnata nel dare corpo, volto e voce ai due gemelli, uomo e donna, e ai loro doppioni malvagi (quattro personaggi in una volta sola, complimenti!)
Ma… a proposito di doppioni, mentre scrivo c’è qui la mia me stessa più giovane che non fa altro che saltare e piangere dalla commozione da quando è terminato l’episodio, quella me stessa poco più che ragazzina che ha passato centinaia di sere guardando X-Files su Italia 1, appassionandosi sì alle storie raccontate, ma rimanendo stregata soprattutto dalla storia di quei due personaggi che sono diventati i suoi eroi fin dalla prima volta in cui li ha visti insieme.
Questo è il motivo per cui questo articolo sarà il più sconclusionato che abbia mai scritto e avuto il coraggio di pubblicare. Perché in questo momento riflettere sulla possibilità che ognuno di noi abbia il proprio lato oscuro e di cosa questo sia capace di fare se glielo permettiamo proprio non mi riesce (e il mio doppione più giovane non è di questo che vuole sentire parlare). Ci sarà tempo per farlo, ma quel tempo non è adesso.
Chris Carter, il più shipper di tutti gli autori (a modo suo ovviamente, checché se ne dica, ma è così) aveva promesso che ci avrebbe fatto felici in questa stagione, ma una cosa simile a quella che abbiamo appena visto era prevedibile aspettarsela da Frank Spotnitz, non certo dal Signor “Mulder e Scully hanno solo un rapporto professionale”, e non certo fino a questi livelli.
E ancor meno ci saremmo potuti aspettare che Chris Carter rendesse reali le migliaia di fanfic scritte dagli anni ‘90 in poi.
“Mulder e Scully indagano su un caso. Il motel dove soggiornano non ha due stanze libere quindi sono costretti a prendere l’unica stanza rimasta disponibile. Mulder si sistema sul divano letto e durante la notte Scully va da lui perché non riesce a dormire…” e no, non sto raccontando l’episodio che abbiamo appena visto, ma l’incipit di parecchie storie che in tanti abbiamo letto più di una volta (ci ha pure infilato la variante della porta comunicante tra le due stanze!)
Mulder e Scully sono cambiati, cresciuti, maturati. La loro sempre complicata relazione, che sfugge a qualsiasi definizione o etichetta ancora oggi, si fa sempre strada tra drammi più o meno gravi che i due incontrano nella loro vita o nel loro lavoro. Sono i nostri eroi, quelli che vorremmo vedere idealmente correre felici per sempre incontro al tramonto – anche se X-Files non è questo genere di serie – e ci è stato concesso di vederli felici ed in intimità molto, molto raramente. Ancor più raramente se escludiamo tutte le volte in cui uno dei due era in pericolo di vita.
Qui invece, nessuno dei due è in apparente pericolo e, per la prima volta in assoluto, possiamo ascoltare Mulder e Scully riflettere sul loro “futuro insieme”. I due hanno maturato una profonda conoscenza l’uno dell’altra e, sebbene la loro sarà sempre una relazione non convenzionale, i dubbi di Scully che aprono di fatto questa conversazione sono umanamente più che legittimi.
Una conversazione per certi versi molto simile a quella che abbiamo visto nel film I Want To Believe (scritta anche quella da Chris Carter, sebbene a quattro mani con Frank Spotnitz) in cui i due sono a letto insieme, abbracciati e parlano sussurrando. In quel momento, nel mondo non esiste nessun altro, né per loro, né per noi.
Parlano di figli, parlano di stare insieme anche seduti su una sedia a rotelle, parlano di un mondo che sta andando alla deriva e di loro che non possono fare nulla per evitarlo, parlano dell’esserci sempre l’uno per l’altra a prescindere da quello che accadrà, ma soprattutto vivono il presente di quel momento fatto di amore, conforto e voglia di stare con “colui che era un semplice amico e d'un tratto è diventato l'unica persona con cui riesci a immaginare la tua vita”.
Mi ci vorrà un po’, parecchie sedute di terapia che farò addebitare a Chris Carter, ma credo che potrei abituarmi a questi Mulder e Scully che non fanno mistero dei propri sentimenti l’uno per l’altra, o che non si fanno problemi a chiedere apertamente all’altro ciò di cui hanno bisogno (“Puoi abbracciarmi?”).
E in tutto questo, David Duchovny e Gillian Anderson ci regalano la perfezione della loro performance (già altissima nell’ episodio precedente di Glen Morgan) grazie alla magia della loro SEMPRE PIÙ INCREDIBILMENTE CRESCENTE intesa e dall’esperienza che deriva dall’interpretare questi personaggi da moltissimo tempo e conoscerli – forse – meglio di loro stessi. I due sono fantastici nel dare volto ed espressione a Mulder e Scully, sia nei momenti più intimi che in quelli più leggeri. Non c’è mai una sfumatura fuori posto, un’espressione forzata o un qualcosa che vada fuori contesto. Sono perfetti.
Ed è in momenti come questo che bisogna ammettere che quello che David Duchovny sostiene da tempo, e cioè che lui e Gillian Anderson non potranno mai lavorare insieme a qualcos’altro, è dannatamente vero e giusto.
Guardo il mio doppione più giovane. Siamo commosse entrambe a questo punto. Il vero X-File, il vero mistero protagonista di questa serie che amiamo tanto, quello che dà un senso a tutto, è la storia di Mulder e Scully, quella che ci permette di credere in un mondo fatto di “possibilità estreme”. Il mio doppione più giovane questo lo ha sempre saputo. A me, con qualche anno in più sulle spalle, Mulder e Scully continuano a ricordarlo ogni volta.
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