Forse però è giunto il momento di fermarsi e fare un passo indietro."X-Files" non sarà certo meno grandioso di quello che già è se XF3 non dovesse mai vedere la luce (Ve lo immaginate un mondo senza XF3? Io proprio no).
La serie quest'anno compie vent'anni. Dal termine della sua avventura sul piccolo schermo non è mai praticamente sparita dai palinsesti delle reti televisive di tutto il mondo (il nostro 'Cielo' ha appena ripreso a trasmettere le repliche partendo dalla prima stagione), e di materiale su cui discutere e da analizzare ce n'è comunque per tutti i gusti e potremmo andare avanti per molto, molto tempo.
Prendiamo - il tanto maltrattato e sottovalutato - "I Want to Believe". L'occasione per parlare di questo film ce la fornisce una recensione, scritta da John Kenneth Muir proprio nell'estate del 2008, che abbiamo trovato su internet assolutamente per caso soltanto poco tempo fa. Nel suo articolo l'autore analizza il film e parla di concetti quali "dilemma morale", "redenzione", "perdono" e molto altro. Insomma, non potevamo non tradurlo e non riproporlo qui nel nostro sito. Se avete amato il film, dopo aver letto questo articolo lo amerete senz'altro ancora di più. Al contrario, se il film proprio non vi è piaciuto, il consiglio è quello di leggere questo articolo senza alcun pregiudizio e aprendo la mente a nuove possibilità. Chissà che magari, dopo, non possiate cambiare idea.
Potete leggere di seguito la traduzione della recensione di John Kenneth Muir, ad opera della nostra Olivia - grazie! - mentre potete trovare l'articolo originale nel nostro archivio stampa.
Fateci sapere che ne pensate!
Non è facile trovare la fede di questi tempi. Tuttavia - malgrado molte recensioni – io credo ancora in X-Files.
Forse, il problema principale di questo film (sottotitolato “I Want to Believe”, “Voglio Credere”) non proviene dagli attori (o dalla produzione stessa), quanto piuttosto da noi stessi e – più specificatamente – dalle nostre aspettative.
A giudicare dalle recensioni selvagge che proliferano sul web e sulla carta stampata, sembra che pubblico e critica aspettassero “L'ira di Khan”, mentre abbiano ottenuto… “Alla ricerca di Spock”.
In altre parole, “The X-Files: I Want to Believe” è, più che un blockbuster estivo, un’avventura intima e celebrale. Il film non ha praticamente effetti speciali visivi, le immagini generate elettronicamente (CGI) sono nulle o quasi, e ci sono poche sequenze d’azione.
C’è, a dire il vero, poca violenza di qualsiasi tipo (non credo venga sparato un singolo colpo di pistola). Per quel che ho potuto vedere, Mulder e Scully non portano mai armi da fuoco e non ci sono esplosioni di alcun genere.
Tutti i fuochi d’artificio, piuttosto, sono puramente umani, emotivi. Di conseguenza il climax non si basa su combattimenti, inseguimenti o colpi di pistola, ma su certe sfumature nelle interazioni e nelle relazioni umane. Il cardine del successo di questo film risiede in elementi vecchio stile come le atmosfere e gli stati d’animo. In questo contesto, una location gelida e opprimente – il West Virginia – diventa praticamente un attore non protagonista e l’escalation di suspense è data da un uso efficace di solide tecniche cinematografiche, come il cross-cutting. Si tratta di un ottimo lavoro, con una fotografia meravigliosa; semplicemente è fuori tema rispetto al genere di film offerti oggi nei nostri multisala.
Onestamente, il difetto maggiore di “I Want to Believe” non ha nulla a che vedere con ciò che esso è, ma – piuttosto – con quello che non è; con quello che, a quanto pare, il pubblico “voleva credere” riguardo la forma che il film avrebbe preso.
Una delle frasi tipiche di X-Files era “Resist or Serve” e mentre guardavo “I Want to Believe” quella frase mi è tornata in mente. Il nuovo film resiste coraggiosamente alle formule e alle classificazioni. Si fa beffa delle aspettative e ho notato come le critiche non abbiano mostrato, almeno fino a questo momento, alcuna volontà di interagire con la natura reale del film. Suppongo che se un film non è esattamente come Iron Man, L’incredibile Hulk o Dark Knight, allora beh… i critici non sappiano cosa farsene.
Sembra che il pubblico condivida la stessa idea: il film ha esordito al quarto posto questo weekend e ha incassato la somma deludente di dieci milioni di dollari (più o meno lo stesso incasso della prima settimana di Serenity nel 2005). Tuttavia, “I Want to Believe” è stato un film economico – costato meno di trentacinque milioni di dollari. Giusto un po’ di storia: più o meno la stessa cifra impiegata per girare “Star Trek V: L’ultima Frontiera” nel 1989, quasi vent’anni fa. Se non altro, Carter e il suo team sono stati frugali e questo fatto potrebbe diventare un punto a favore per un franchising. La serie ha ancora molta vita ed energia da dare e “I Want to Believe” è un film lento e noioso (come affermano i critici) soltanto se si sceglie di non misurarsi con esso.
Il film comincia sei anni dopo il finale della popolare serie della FOX (che si è conclusa nel 2002). Mulder (David Duchovny) e Scully (Gillian Anderson), vivono insieme in una casa piccola, ma confortevole. Mulder si è fatto crescere la barba e si è praticamente ritirato dal mondo. Pur sapendo che sua sorella è morta, non ha rinunciato a cercare “la verità” su quanto le sia accaduto. Nel frattempo, Scully è un medico di successo presso un ospedale cattolico ed è impegnata a cercare una cura per un bambino con una malattia terminale.
Si tratta di un’esistenza tranquilla e relativamente normale; una normalità che viene schiacciata quando l’FBI chiede l’aiuto di Mulder per risolvere un nuovo ed urgente X-File (in cambio di una grazia). Un’agente dell’FBI di nome Monica Bannan è scomparsa tra le nevi oscure del West Virginia e un prete scomunicato di nome Padre Joe (Billy Connolly) afferma di avere visioni psichiche collegate al suo caso. Infatti l’ex-sacerdote conduce un team di esperti dell’FBI in un ampio terreno dove sono state sepolte molte parti anatomiche (una scena carica di tensione e girata magistralmente).
Ma Padre Joe potrebbe non essere credibile… in parte per via del suo passato. È stato condannato per pedofilia. Mulder e Scully hanno prospettive diverse su Padre Joe (naturalmente) e i loro punti di vista sono talmente contraddittori da minacciare di spezzare la loro (ormai di lunga data) relazione affettiva. Questo caso riporta alla luce la natura ossessiva e meditabonda di Mulder e ricorda a Scully l’oscurità da cui ha cercato di scappare.
Dunque, di cosa parla davvero “The X-Files: I Want to Believe”? Sotto un’angolazione profonda e significativa, ha a che vedere con il concetto di redenzione. Non voglio dire che il film si rifaccia alla nozione di redenzione che esiste oggi nel lessico della cultura pop superficiale (vedi: Angel). Non c’è niente di rassicurante o semplice nella maniera in cui il film rappresenta il dilemma morale principale: i crimini commessi da Padre Joe contro degli innocenti sono semplicemente mostruosi, come Scully giustamente sottolinea. Padre Joe sa che la società non lo perdonerà mai, ma si domanda se Dio possa farlo.
Ed è a questo punto che le cose diventano… confuse. Padre Joe si è castrato volontariamente a 26 anni allo scopo di fermare l’orribile ed ossessionante appetito che lo aveva portato a commettere tali crimini. E ora decide di vivere in un dormitorio per pedofili, dove i molestatori vivono nella vergogna e si controllano l’un l’altro. Vivere tra questa feccia è una sorta di Inferno sulla Terra, soprattutto per un uomo di fede. Queste scelte confermano il fatto che Padre Joe sia cambiato?
Inoltre, naturalmente, Padre Joe afferma di ricevere visioni psichiche sull’agente scomparsa e vuole aiutare la polizia a trovarla. E’ una persona affidabile? Il Divino sceglierebbe di donare il potere della seconda vista a un uomo come Padre Joe? Se le sue visioni sono reali, provengono da Dio? Dal Diavolo? Oppure l’uomo è solo un complice nel rapimento di Monica?
Il dilemma morale di fondo è questo: quali grandi azioni possono redimere un grande torto? Nella nobile e fantastica tradizione di “X-Files”, Mulder e Scully vedono Padre Joe, e la sua spinosa situazione, in modi radicalmente diversi. La serie si è sempre basata sui punti di vista opposti di questi due personaggi e su come le loro convinzioni (e i loro pregiudizi) abbiano dato forma al modo in cui essi percepiscono la realtà. Qui accade la stessa cosa. Scully crede che Padre Joe sia un depravato in cerca di attenzioni, che le sue visioni siano una truffa e un modo di ottenere attenzione. Mulder vuole credere che uomini come Padre Joe possano cambiare, che la redenzione sia possibile, che le visioni di Padre Joe siano legittime.
Roba piuttosto seria. Nessun film con un pedofilo condannato in un ruolo centrale sarà mai popolare in America, questo è un dato di fatto. Di solito andiamo al cinema per distrarci, non per impegnarci, e questo potrebbe semplicemente essere troppo per un pubblico di massa. La scelta di includere Padre Joe in un ruolo simile è coraggiosa (forse perfino autodistruttiva) da parte degli autori Spotnitz e Carter, perché il dilemma centrale del film costringe il pubblico ad affrontare il tema della redenzione in modo molto tangibile, molto realistico e stimolante.
E’ semplice perdonare una persona che ha un atteggiamento eroico, che ha un bell’aspetto, o che aveva una motivazione per quello che ha fatto. Ma cosa succede se si deve perdonare chi ha commesso il peggior crimine (un crimine contro un bambino) immaginabile? Non sto affermando che si debba perdonare; che chiunque dovrebbe perdonare. Tuttavia, se non siamo disposti a perdonare Padre Joe, dobbiamo affrontarne le ripercussioni. La più grande è che non potremo più dire di credere nella redenzione, giusto? Se non si permette alle “opere buone” di avere un peso nel conteggio cosmico della morale, allora non è neppure possibile credere nel perdono. Né si può affermare di essere cristiani, perché il perdono è il vero crogiuolo, il cuore pulsante, del cristianesimo. Non è mia intenzione fare l’apologia di un’interpretazione particolare, ma solo commentare le implicazioni morali del film. Questo film sfiderà le vostre convinzioni e vi obbligherà a valutare il vostro punto di vista quando la decisione di “perdonare” è difficile e non superficiale.
Non riesco ancora a credere che un film commerciale (e un franchise; e un sequel, per l’amor di Dio…) si sia avventurato così in profondità e con così tanto coraggio in un territorio tanto pericoloso, ma sono felice che lo abbia fatto. “The X-Files: I Wanto to Believe” obbliga tutti coloro che sostengono la fede negli insegnamenti di Cristo, pur vivendo di odio e di nozioni draconiane di punizione e moralità, a guardarsi allo specchio. Così facendo, il film commenta apertamente il nostro tempo, un'epoca in cui, nella nostra società (e in altre società), la religione è spesso usata per codificare l'odio nei confronti dell’altro. Questo paradigma – questo dilemma di Padre Joe – è fedele a tutto ciò che “X-Files” ha rappresentato.
Il mistero riguardante le parti del corpo recise (e la scomparsa dell'agente) ha apparentemente deluso alcuni critici e anche alcuni spettatori, ma si tratta di un elemento assolutamente fedele alla tradizione di “X-Files”. La serie si è sempre occupata le nostre due visioni del mondo (fede vs scetticismo / Mulder vs Scully) recuperando misteriose "storie dell'orrore" e dando loro nuova vita ed energia. Combustione spontanea, possessione demoniaca, percezioni extra-sensoriali, vampiri, lupi mannari, succubi, golem, esperienze fuori dal corpo e altri vecchi concetti del genere sono sempre stati riutilizzati per lo show allo scopo di incorporare i più recenti progressi nel paranormale e nella letteratura e la sperimentazione medica. “I Want to Believe” continua esplicitamente quella tradizione con una trama riguardante i trapianti di organi, la ricerca sulle cellule staminali e un gruppo di scienziati fuorilegge (Russi) che giocano a Frankenstein. Ridicolo? Beh... è ridicolo un uomo che si trasforma in un supereroe gigante verde quando è arrabbiato? O un altro con un feticcio per la pelle che indossa un costume nero da pipistrello? Alcuni particolari di questo “X-Files” potrebbero sembrare quasi ridicoli (un critico ha paragonato il film a “They Saved Hitler’s Brain”), ma ancora una volta, la tradizione di prendere vecchi mostri horror e dar loro nuova (ed intelligente) vita è una delle caratteristiche classiche dell’opera di Chris Carter. La serie esiste da quindici anni ormai; quindi è probabile che abbiate già deciso se questo genere di cose vi piace oppure no.
C’è un altro aspetto di “I Want to Believe” che funziona in maniera sorprendente. Anche questo aspetto è stato messo in ridicolo da alcuni commentatori. Si tratta di un breve commento da parte di – strano a dirsi – Padre Joe. In un momento particolarmente critico, egli incita Scully a “non mollare”, sebbene – come il personaggio stesso ammette – non avesse alcun motivo per dirle quelle cose. “Non mollare” può suonare come un facile luogo comune (del tipo “Da grandi poteri derivano grandi responsabilità”?), ma in questo contesto è piuttosto toccante, una scorciatoia per dell’ottimo materiale soprattutto se sviluppato tra Mulder e Scully. Nelle abili mani di Duchovny e Anderson, “non mollare” diventa la preghiera di un amante all’altra di fronte alle difficoltà, alle ferite del passato ed ai rimpianti. Scully non può rinunciare al bambino che sta curando a causa di quello (William) a cui ha rinunciato in passato. A fare da contraltare alla relazione tra Mulder e Scully c’è un uomo (Callum Keith Rennie) – un cattivo – che si rifiuta fermamente di “mollare” per quanto riguarda la vita del suo amante e ricorre a mezzi estremi (e assolutamente radicali) affinché egli possa sopravvivere. Le due trame si intrecciano l’una all’altra e l’equilibrio che ne viene fuori, a mio parere, è toccante ed elegante, senza essere sdolcinato.
Un altro tema è l’interramento o la pulizia del passato. I criminali responsabili del rapimento dell’agente Bannan tentano di seppellire il passato (insieme ai loro crimini) nel ghiaccio. Anche Mulder spera di ripulire il suo passato (se riesce a salvare questa donna potrà perdonarsi per non essere riuscito a salvare sua sorella tanti anni prima). Scully salvando il suo paziente crede di poter essere purificata del suo senso di colpa per William. Ma arriva Padre Joe – un uomo con un passato che chiunque vorrebbe nascondere – che invece si concentra a scavare nel passato (scavando letteralmente nel ghiaccio e nella neve). Le cose continuano a tornare in superficie; cose che devono essere affrontate.
Le scene di violenza in questo film sono ricche di suspense e si avvalgono – sorprendentemente – di uno spazzaneve come arma. L’ambientazione cupa e i segreti nascosti tengono lo spettatore allerta, alla ricerca di indizi in mezzo alla neve che cade onnipresente. L’ambientazione riflette il cuore oscuro dei personaggi e il momento finale (dopo i titoli di coda) è una splendida (anche se breve) catarsi, una liberazione dalla neve bianca ed accecante del Somerset, West Virginia. Più emotivamente toccante che emozionante, più meditabondo e lugubre che spettacolare, più contemplativo che ricco di azione, più oscuro e inquietante che sconvolgente, questo è un film difficile e inquietante in cui la verità non è “là fuori”, ma piuttosto “qui dentro”, dentro di noi. All’interno degli infiniti misteri del cuore e del comportamento umano.
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