Le fanfic di X-Files
Tatuaggio
Post Never AgainPubblicata il: 27/09/2009
Tradotta da: Angelita
Rating: G, per tutti
Genere: UST
Sommario: Post Never Again
Note sulla fanfic: Questa ff da vinto il primo premio nella categoria UST al concorso 2003 del sito spagnolo Expedientes X-Minuto 69
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Altre note:
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Sede Centrale dell'FBI
Washington D.C.
Ufficio di Fox Mulder
7:43 p.m.
Sono passati esattamente cinquantotto minuti dall'ultima frase che ci siamo scambiati. Li ho contati. Quello che è sicuro è che mi sento incapace di concentrarmi sui fogli che ora ho davanti, che l'unica cosa che riesco a fare è guardare periodicamente l'orologio in una specie di "aggiungi e vai avanti" che tortura. Sto qui, seduto alla mia scrivania fingendo di essere preso da questi stampati che nemmeno so di cosa trattano, quando in realtà non faccio altro che girarci intorno nella mia testa, elaborare teorie infinitamente stupide e fissare lo sguardo da nessuna parte. Finchè non torno a guardare l'orologio come per caso, quasi senza rendermene conto, e vedo che il minuto cinquantanove è già passato da qualche secondo.
E la tengo qui davanti a me, di fronte allo schermo del computer e apparentemente assorta nel suo compito.
Così che, d'accordo, ad onor del vero, la mia prima reazione fu desiderare ardentemente che, in fondo, Scully fosse costernata, confusa e molto, molto, molto pentita.
Come se fosse un atto assolutamente spontaneo, prendo tra le mani un pezzo di carta e lo accartoccio facendone una palla molto compatta mentre mi raschio la gola. Immagino che se ora la butto nel cestino con un lancio studiato e millimentrico senza nemmeno spettinarmi, darò una impressione abbastanza buona.
Sbaglio.
Mentre mi alzo dalla sedia e cammino verso il cestino con l'intenzione di raccogliere il proiettile più dignitosamente possibile, mi domando che impulso arrogante è quello di avermi fatto tentare di attirare l'attenzione di Scully. Mi domando perché ho bisogno che lei mi guardi, perché mi sento così frustrato a rendermi conto che la mia brillante dimostrazione di stupidaggine non ha avuto il minimo effetto su di lei. Sarà che negli ultimi tempi mi si è abbassata l'autostima? O sarà solo che sono un egocentrico figlio di puttana accaparratore di scrivanie a cui brucia profondamente che Ed Jerse gli abbia rubato la parte da protagonista?
Perché non ho voluto darti una scrivania, Scully? Perché sei andata con il primo matto da legare che ti si è presentato? Non sono abbastanza spettrale per te?
Ed è allora quando sembra che Dio si accorga della mia esistenza e decide di darmi una mano facendo in modo che la CPU del portatile di Scully vada in vacanza per un tempo indefinito. Il mouse smette di rispondere e rimane in attesa permanente, in un punto fisso dello schermo.
- Maledizione - mormora Scully in un sussurro così leggero che non so se l'ho sentito veramente o me lo sono inventato io.
Approfitto dell'opportunità per iniziare un tentativo di conversazione con lei. Qualcosa mi dice che è il momento.
- Andavano abbastanza bene fin'ora - dice per tutta risposta. E sembra che con questa frase voglia dare per liquidato questo simulacro di dialogo, ma io non sono disposto. Non sono disposto a resettare l'orologio e contare ogni minuto fino alla prossima frase da scambiare.
Domanda, Mulder. Dimostrale interesse per ciò che sta facendo.
Solleva la testa con un'aria disorientata come se non avesse sentito nemmeno una delle mie parole.
- Già.
- E tu, cosa stai leggendo? - mi domanda
Respira, Mulder. Sei un professionista ad inventarti storie su cospirazioni, non riesci ad inventare una storia stramba come qualsiasi altra per rispondere alla sua domanda?
Bene, non è andata male. Almeno è suonato convincente. O questo è ciò che indica l'espressione di Scully.
Per alcuni minuti rimaniamo tutti e due così, in silenzio, come se non ci fosse nient'altro da aggiungere. Scully mi sta guardando ma nei suoi occhi vedo solo evasione e forse, e solo forse, una traccia di rifiuto. L'idea di questo brutto affare di Jerse abbia potuto mettere fine alla possibilità di qualsiasi conversazione normale e distesa tra noi due mi fa sentire una schifezza dentro e mi riempie di paura. Non è che ho paura di perderla perché in fin dei conti siamo colleghi di lavoro e ci vediamo tutti i giorni, ma mi mette angoscia la possibilità che le cose tra noi due non tornino a essere le stesse .E volesse il cielo che tutto fosse così semplice da risolversi come regalarle una barra dorata con la scritta "Agente Speciale Dana K. Scully" incisa sopra e dirle che ha una sua scrivania.
Ed io che credevo che alcuni giorni separati ci avrebbero fatto bene.
Avevo sentito in più di un'occasione che molte coppie hanno bisogno di passare qualche tempo lontani l'uno dall'altro per superare la routine del giorno dopo giorno quando le cose si mettono male. In questa occasione, la terapia è risultata essere un totale fiasco. Chiaro che Scully ed io non siamo nemmeno una coppia.
Potrei chiederle proprio ora che si aspetta da me, che cosa è esattamente quello che frustra le sue aspirazioni in questo seminterrato adibito ad investigare sul paranormale. Potrei domandarle se le sue frustrazioni provengono direttamente dal lavoro che è andata disimpegnando con me per quattro anni o se tutta la sua rabbia si deve al fatto che crede che io l'ho ignorata in qualche modo. Perché si lamenta del mio atteggiamento se sa perfettamente che ho bisogno di lei più che mai e che non l'ho mai ignorata?
Ricordo le sue parole quando la chiamai all'hotel e le suggerii di aspettare il mio arrivo per continuare l'investigazione "Forse non mi credi capace di farlo da sola?" mi disse. Quello mi ferì.
Come può pensare che dubito di lei o delle sue capacità?
Forse che qualche volta mi è venuta meno?
Continuiamo in silenzio e la tensione fluttua nell'aria e si va facendo più palpabile man mano che trascorrono i secondi. Sembra che nessuno dei due abbia qualcosa da dire all'altro. Io la sto guardando fisso e lei mi guarda, ma è solo questo. Uno sguardo freddo, glaciale e carente di qualsiasi emozione. Uno sguardo molto Scully. Ed è allora quando ho il presentimento che la conversazione sia finita un'altra volta; dovrò azzerare di nuovo l'orologio e incominciare a contare le ore, i minuti, i secondi fino al prossimo tentativo fallito di dialogo.
Dopo quattro anni che abbiamo lavorato insieme e diviso le nostre personali esperienze, Scully ed io non abbiamo niente da dirci.
Così semplicemente.
La verità è che mi piacerebbe incolpare quel maledetto Ed Jerse per l'aspetto che hanno preso le cose improvvisamente. In fin dei conti, se lui non avesse rivolto la parola a Scully probabilmente lei sarebbe tornata da Filadelfia con un umore diverso. Così che, pensandoci bene, sarebbe maledettamente facile sorvolare sul fatto e dare la colpa a lui, ma qualcosa dentro di me, una vocina impertinente e protestante che deve rappresentare il poco che mi resta di coscienza, mi dice che la colpa ce l'ho io. Fox Mulder. L'unico essere umano di tutta la storia capace di essere al tempo stesso un maledetto egoista approfittatore e una fallito senza futuro. Dovrebbero darmi una medaglia.
A quanto sembra stiamo così da un bel po’, perché Scully non può continuare più a sostenere il mio sguardo e torna a concentrasi sul computer moribondo. Stupendo. Credo a che abbia appena dato per conclusa la conversazione.
Con un sospiro di rassegnazione mi dirigo di nuovo verso la scrivania - la mia scrivania - mi siedo e mi dispongo a dare di nuovo un'occhiata al file del ragazzo di Dallas. Tempo perso, perché è impossibile concentrarmi ora sul caso, e certamente il fatto che l'ufficio di Dallas avesse deciso con più o meno educazione non prendere in considerazione il mio consiglio professionale non me ne importa un accidenti.
Ed Jerse.
Chi diavolo è Ed Jerse: Che cosa avrà che io non ho.
Decisamente odio i giorni in cui non c'è nessun caso paranormale in vista e dispongo di tutto il tempo che voglio per annoiarmi in maniera sovrumana e riflettere su Scully e il mio rapporto con lei. In realtà, quello che voglio dire è che odio i giorni come questo.
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Lincoln Memorial
11.28 p.m.
Nel corso della mia vita ho avuto momenti di scoraggiamento nei quali sono arrivato a credere che la cosa più ragionevole era buttare la spugna, però senza sapere né come né da dove tiravo fuori il coraggio sufficiente, in un modo o nell'altro riuscivo a venir fuori da qualsiasi situazione. Non importava quello che mi accadeva nemmeno importava l'impegno che alcuni mettessero per rendermi la vita impossibile: se da qualcosa è caratterizzato Fox Mulder, è dal conservare sempre l'entusiasmo, la convinzione e la fede in ogni cosa che fa. Così che non mento se dico di essere capace di affrontare qualsiasi problema senza dover arrendermi o affogare le mie pene nell'alcool. Normalmente quando Fox Mulder entra in un bar e si stordisce bevendo whisky è perché è accaduto qualcosa smisuratamente tragico… Qualcosa che non può tornare indietro. Mi è accaduto in occasioni contate. Per esempio ricordo quella volta che ho creduto che finalmente avevo in incontrato Samantha, dopo vent'anni di ricerche; ricordo che quando compresi che non si trattava della mia vera sorella ma di un clone, la sensazione d'impotenza e disperazione ebbero la meglio su di me in maniera tale che, per la prima volta dopo moltissimo tempo, dovetti andare al bar di Casey's e lasciare settantotto dollari in alcool. La sbronza schiacciante che sopravvenne non fu capace di porre fine allo shock emozionale che mi aveva causato tutta quella storia, ma almeno mitigò il mio dolore per qualche ora e mi fece guardare le cose da una prospettiva molto più ottimista.
Da allora giuro che non avevo avuto di nuovo questa necessità imperiosa di ubriacarmi e dimenticarmi di tutto. Mi sentirei addirittura orgoglioso di me stesso se la causa del mi stato d'animo fosse qualche nuovo caso in spiegabile e senza via d'uscita, l'incomprensione di Skinner o il rapimento di mia madre. Qualcosa di drammatico, perché no. Ma la cosa striste della storia è che mi ubriaco per Scully. O per essere più precisi, mi ubriaco perché Scully è andata a letto con un altro.
Patetico, eh?
Da quando ho scambiato l'ultima frase con lei (se l memoria non m'inganna credo che sia stato per spiegarle che cos'erano le carte nelle quali suppostamente mi trovavo immerso) sono passate circa quattro ore e in quest'intervallo di tempo solo due parole hanno fatto in modo di bombardarmi nella testa continuamente:
Ed Jerse.
Se almeno fosse un uomo comune, avrei potuto almeno sopportarlo. Ma ho ceduto alla tentazione di andare a dare un'occhiata nell'archivio dell'FBI e ho trovato la sua foto. E come si è soliti dire, la curiosità ammazzò il gatto. Merda, il tipo era un esempio di quanto potesse essere attraente un uomo. Aggiungi a questo una sfumatura di mistero e un morboso aspetto di criminale enigmatico, e avrai il motivo per cui Scully è caduta ai suoi piedi come un adolescente. Poi c'è l'affare del tatuaggio, chiaro. Ci può essere qualcosa di più morboso di un tatuaggio? Per quello che ho visto, a Scully è sembrato di no.
Come starei io con un tatuaggio dei Knicks?
Credo che non sia il mio stile.
Così che sto qui, nel cuore della notte, bottiglia in mano e seduto su una panchina del Lincoln Memorial sotto un manto di stelle che sembra che mi guardino e che mi compatiscano. E se continuo ad alleviare il mio dolore a base di sorsate, può darsi che arrivi ad un punto che non m'importa di finire a fare un bagno in mezzo al laghetto artificiale.
Quando cerco di riflettere tirando fuori a tratti la poca sobrietà che mi rimane, mi rendo conto che le cose sono cambiate radicalmente in quest'ultimo anno. Non rispetto agli XFiles in sè stessi, ma rispetto a Scully e a me. Ho passato tre anni lavorando con lei fianco a fianco, e salvo in contatissime occasioni nelle quali mi è sembrato di sentire un formicolio nello stomaco e una tensione più forte del normale, non ho mai creduto che potessi arrivare a sentirmi geloso in nessun modo. Nemmeno ho osato portare un'insinuazione fino alle sue estreme conseguenze, forse perché in un modo inconscio so molto bene che è pericoloso giocare con il fuoco. Così che tutte le mie allusioni rimanevano lì, sul limite. Sulla linea che separa lo scherzo dalla tentazione vera e propria.
Quest'anno è diverso. Ho smesso di vederla come una compagna o come una sorella, e quello che veramente mi frustra e che non so esattamente a che è dovuto questo cambiamento progressivo. Ultimamente la trovo più femminile e esageratamente provocatrice. Ha trasformato poco a poco il suo abbigliamento. Ha fatto qualcosa ai capelli, al suo modo di truccarsi, non lo so… ha appreso a giocare con gesti, a reagire con rapidità al mio peculiare senso dell'umorismo ed osare lei stessa a fare delle allusioni. E quello che è certo è che, anche se la causa esatta è un autentico mistero per me, Scully appare costantemente nei miei viavai mentali molto più insinuante, più bella e più irraggiungibile.
Diciamo che contro la mia volontà ho iniziato ad aprirmi il cammino in mezzo ad un gigantesca fossa di sabbie mobili che minaccia d'ingoiarmi tutt'intero. La sensazione dà le vertigini.
Anche se chiaramente, la vertigine che mi sta dando il whisky è molto più forte. Tanto, che malgrado che sto all'intemperie in pieno mese di gennaio, ho dovuto sbottonare uno ad uno i bottoni del mio impermeabile scuro e allentare il nodo della cravatta. Intuisco che il mio aspetto in questo momento non deve essere quello che si addice ad un rispettabile agente federale.
Alla fin fine, nemmeno sono quello che si dice un rispettabile agente federale, così che poco importa.
Tra un sorso e l'altro, la bottiglia pesa sempre meno e arrivo ad un punto che incomincio a desiderare che lei appaia inaspettatamente. Avvicinandosi verso di me da qualche imprecisato punto, avanzando molto piano, illuminando l'oscurità invernale con l'aura bianca e fredda e abbagliante che diffonde quando la guardo. Un angelo di sogno messo sulla terra per me. Per restituirmi il senno. Per salvare le poche cose buone che restano di me. Ed è allora che decido d'aver bevuto a sufficienza.
Bene, in realtà non sarebbe così difficile che Scully comparisse improvvisamente in questo posto. Mi conosce da quattro anni e sa molto bene che quando voglio riflettere mi piace venire al Lincoln Memorial. Le ho dato appuntamento qui varie volte, quando l'FBI voleva che stessimo separati e noi potevamo solo vederci di nascosto. Fu su questa stessa panchina. In verità, se ci penso bene Scully potrebbe comparire da un momento all'altro.
Ed io sto abbastanza ubriaco per vedere due Scully contemporaneamente.
La bottiglia di Whisky scozzese è ormai vuota. E' più tardi delle dodici e trenta, e c'è poca gente al Lincolm Memorial e domani dovrò alzarmi ad un'ora più o meno decente per andare a lavorare. Ragioni più che sufficienti per dare per scontato che dovrei andare a casa finalmente e smettere di fare pena ai passanti.
Mentre mi alzo piano piano sento come l'universo intero gira intorno a me quando le mie gambe lottano per mantenermi eretto con la maggior naturalezza possibile. Dio, sono veramente ubriaco. Credo d'aver perso la pratica.
Sembra che per tutti i mortali faccia un freddo terribile; io sono immerso in un calore così confortevole che sarei capace anche di andarmene a piedi fino ad Arlington se non fosse che nel mio stato finirei per perdermi tra una strada e l'altra. Così che decido di prendere un taxi.
Stranamente, nel viaggio di rientro verso casa sono capace di pensare solo ad una cosa: Scully. Scully ed ancora Scully.
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- Arlington
Appartamento#42, Alexandria VA
00:56 a.m.
La sensazione di ubriacatura è diminuita considerevolmente durante il tragitto in taxi, ma tutto continua ancora a girare nelle mia testa. Probabilmente in questo stesso istante sarei capace di andare a casa di Scully, svegliarla nel cuore della notte e senza ritegno sottometterla alla prova della macchina della verità domandandole che cosa è successo tra Ed Jerse e lei fino a che finisca per confessarmi tutta la verità.
Fortunatamente una piccola parte del mio cervello rimane sobria e mi consiglia che è meglio rimanere chiuso in casa.
L'ascensore sale così piano che sembra che i secondi cadano in picchiata uno dopo l'altro, plumbei, asfissianti. Le porte si aprono dopo un "ding" finale e incomincio a camminare verso il fondo del corridoio facendo in modo che i miei piedi vadano approssimativamente in linea retta. Non so nemmeno se ci riesco.
Solo quando introduco la chiave nella serratura me ne rendo conto. Un momento. Non sono solo.
La chiave fa solo una mandata, quando dovrebbero essere tre. Può darsi che il mio attuale stato lasci a desiderare, ma quando sono uscito di casa per andare a lavorare ero sveglio e pienamente cosciente, e sono sicuro che ho chiuso la porta. Ho fatto tre giri con la chiave, come sempre.
La porta ora è aperta. Qualcuno è entrato.
La domanda è se sta ancora dentro.
Piano, molto piano, spingo poco a poco l'infisso di legno e faccio un passo all'interno dell'appartamento. La porta stride leggermente e prego perché se c'è qualcuno in casa non abbia sentito. Merda. Chi diavolo è riuscito ad entrare e con quale proposito? All'inizio mi viene in mente che qualche agente governativo è tornato a mettere microfoni per tutta la casa, ma qualcosa non quadra: quando qualcun altro è entrato per perquisire il mio appartamento, lo ha fatto approfittando del fatto che stavo fuori investigando su un caso, non a mezzanotte mentre sto a Washington. Stando, ipoteticamente, addormentato sul divano.
Potrebbe essere addirittura l'Uomo che fuma. Fantastico. Che cosa stimolante.
Il cuore incomincia a bombardare vertiginosamente e i battiti mi colpiscono con forza nel profondo delle orecchie. Cazzo. Qualcuno è entrato in casa mia e a me viene in mente solo di affogarmi nel whisky per tenergli testa il più ubriaco possibile. Questo può succedere solo a Fox Mulder. Facendo ricorso a tutte le mie forze per tenere gli occhi aperti, cerco di allungare il collo il più possibile, senza muovermi dall'ingresso, e cercare di vedere nella penombra per verificare se l'intruso si trovi ancora in casa.
Non c'è traccia di lui.
Giro la testa lentamente e guardo verso destra. Nessuno. Guardo poi a sinistra. La parete si allunga davanti a me per finire un paio di metri più in là, in un angolo che conduce verso la cucina. Forse sta lì?
Incomincio a muovermi per cercare d'avanzare lentamente ma mi fermo bruscamente quando distinguo un'ombra messa in evidenza dalla tenue luce che entra dalla strada attraverso la finestra del soggiorno. Un'ombra. Che si avvicina molto piano dalla cucina, avanzando verso la mia posizione. Appena un istante di meditazione per trarre alcune conclusioni e mi rendo conto perfettamente che l'individuo si trova solo a pochi passi da me, aspettandomi nascosto dietro l'angolo del muro. E sa che sto qui. Mi ha sentito entrare. Per questo si muove con tanta cautela, perché sa che anch'io mi sono accorto della sua presenza.
Che faccio ora? Ma chi me lo ha fatto fare d'andarmi ad ubriacare al Lincoln Memorial?
Merda, merda, merda!
Con lentezza porto silenziosamente la mano verso la parte posteriore della cintura e afferro una sagoma familiare e confortante: la mia Smith and Wesson 1076. Per fortuna ce l'ho ancora addosso. Tieni gli occhi aperti, Mulder. Stai all'erta. Senza perdere di vista l'ombra che si allunga a pochi centimetri da me, faccio in modo che il suono della fondina al tirar fuori la pistola non si senta più del mio respiro. E' ora o mai più. Far fronte all'aggressore, percorrere rapidamente la distanza dalla mia posizione alla sua e metterlo sotto tiro con la pistola senza dargli il tempo di reagire. Ora o mai più.
Andiamo, agente Mulder. Lo hai fatto altre volte, non è così difficile. - Preparato…
Pronto...
Improvvisamente l'ombra si muove bruscamente e prima che la mia mente abbia il tempo necessario per far sua l'informazione e dedurre che il soggetto sta sul punto di fare la mia stessa operazione e venire verso di me, i miei riflessi saltano come mille allarmi tutti insieme e mi mettono in moto le gambe con un impulso inaspettato facendomi saltare verso lo sconosciuto impugnando la pistola davanti a me con entrambe le mani.
L a scarica d'adrenalina è così forte che non mi rendo quasi conto che già stiamo tutti e due uno di fronte all'altro, pistola contro pistola, puntandoci al viso.
E non è L'Uomo che Fuma.
Non è Krycek.
E nemmeno mister X resuscitato.
E' Scully.
La sorpresa di trovarci uno di fronte all'altro in questa situazione fa sì che tardiamo un decimo di secondo più del normale a reagire. Improvvisamente esalo in un sospiro di sollievo tutta l'aria che i miei polmoni avevano trattenuto negli istanti di tensione precedenti, e Scully scosta la pistola, rilascia il braccio, volge lo sguardo verso il soffitto e sbuffa con forza. - Mi sarei aspettato di tutto tranne questo.
- Ho trentacinque anni e il mio cuore resiste ogni volta meno a questo tipo di giochetti. Scully non smette di guardare il cielo come se lo spirito santo fosse disceso su di lei, sbuffa continuamente e respira agitatamente. Anche lei se l'è vista brutta in attesa dietro l'angolo del muro.
- - Mulder…. - mormora.
Mentre torno a conservare la mia pistola sorrido tra me e me pensando che non è la prima volta che ci succede. Alla fine può perfino arrivare ad essere un'abitudine quella di prenderci di mira mutuamente. Risulta perfino stimolante, in tutti i sensi che si possono attribuire a questa parola.
Scully continua a guardarsi intorno respirando agitatamente, anche se non so per cosa sia spaventata. Questa è la mia casa. Stiamo in casa mia. La cosa logica è che se qualcuno ci entra, sia io. E quello che non so è il perché non ha nemmeno acceso la luce. Sarà la maledetta abitudine di andarsene sempre in giro con una pila a portata di mano? Cazzo, poteva aver acceso qualche interruttore invece di andare come un'anima in pena nel buio della mia casa e provocarmi uno pseudoinfarto. Poteva aver acceso una luce. Pago le bollette dell'elettricità mensilmente, che diavolo!
- Scully, per l'amor di Dio, mi hai quasi ucciso per lo spavento! - esclamo aprendo le braccia - Cosa fai qui?
Mi guarda con serietà e mi rendo conto che succede qualcosa.
- Sono venuta ad assicurarmi che stavi bene. Skinner mi ha telefonato questa notte, dice che l'FBI ha ricevuto varie telefonate anonime da un individuo che proferiva minacce contro di te. Io non ti avevo visto da questo pomeriggio, così che ho chiamato sul cellulare ma non era collegato. Poi ho chiamato a casa tua e non rispondeva nessuno, per questo mi sono preoccupata ed ho deciso di venire - conclude esasperata, come in una specie di rimprovero - Dove diavolo stavi?
Faccio spallucce.
- In giro. Non posso uscire a prendere aria?
Scully mi guarda con gli occhi spalancati e dopo consulta l'orologio per rivolgermi di nuovo la stessa espressione sorpresa.
- All'una di notte di un giorno lavorativo? - risponde.
Suppongo che lei sia più coerente di me, ma le circostanze sono quelle che sono e lei non ha ingoiato un litro di whisky davanti al laghetto del Lincoln Memorial. La verità è che non so cosa rispondere alla sua domanda. Ha tutte le ragioni, così che ritorno a stringermi nelle spalle e cerco di farmi uscire la migliore voce del tipo duro che vuole risultare interessante:
- Perché no?
Ma per quello che vedo non mi è andata bene. Scully mi sta scrutando con quel maledetto sguardo scientifico così tipico in lei e a quanto sembra ha notato qualcosa in me che mi accusa. Non so se il tremito della voce, la debolezza delle gambe o questa terribile vertigine che trapassa il mio corpo ed esce all'esterno dagli occhi che brillano per l'effetto dell'alcool.
- Hai bevuto - dice finalmente. Non è una domanda, nemmeno retorica. E' un'affermazione precisa.
Non lascia spazio a discussioni.
- Forse - ammetto. Mi dedico ad osservarmi coscienziosamente e subito vedo che ho la camicia stropicciata fuori dai pantaloni, che ho perso la cravatta e che ho le scarpe completamente inondate di fango. Da quello che sembra, Scully non ha dovuto sforzarsi molto per indovinare che sono stato ad affogare le mie pene - Un poco.
Lei adotta una posa che tende ad essere un poco insinuante e mi guarda dal basso, altera e con un braccio piegato sul fianco, nell'altra mano, la pistola che non ha ancora messo a posto.
- C'è qualcosa di cui vuoi parlarmi? - mi domanda in un tono insultatemene intimo. Come se fosse il mio psicanalista.
- C'è qualcosa di cui vuoi che io ti parli? - rispondo. L'espressione del suo viso m'indica che non l'è piaciuta l'insinuazione e che ho incominciato a muovermi su un terreno pericoloso. Normalmente mi considero avvisato e decido di non andare oltre, ma oggi è diverso. Oggi ho una scusa. Sono ubriaco e lei è andata a letto con un altro.
Credo d'averne diritto, addirittura, mi sono guadagnato il diritto di andare oltre. Mi dispiace, Scully.
La guardo con impertinenza sfacciata e lei incomincia a sentirsi a disagio, o mi sembra di intravedere questo. Vuole che le parli di me, che le spieghi perché sono uscito oggi a bere fino all'una di notte; ma non vuole parlare di lei. Oso addirittura pensare che sia possibile che Scully sia arrivata a mettere in relazione la causa della mia ubriacatura con la sua piccola avventura a Filadelfia. Ed ora cerca di strapparmi qualche confessione, ma non tiene in conto che a questo gioco partecipo anch'io. Sta fresca se crede che cadrò davanti a lei e le spalancherò il mio cuore perché possa dissezionarlo con tutta la freddezza che vuole. Parliamo sempre di me, Scully. Oggi tocca parlare di te.
E' rimasta zitta per alcuni secondi in cui intuisco che non sa molto bene come reagire alla mia domanda: sono riuscito a fare in modo di restituirle la palla e rigirare le sue parole in modo che sia lei che deve delle spiegazioni. Ho il presentimento che finirà per diventare filosofica.
- Normalmente - inizia mentre gesticola con le braccia, brandendo la pistola - quando una persona che non suole bere e si ubriaca con impegno in una certa occasione, è senza dubbio per qualche motivo personale che lo frustra, lo fa infuriare o lo deprime.
Sì, signore. Questo è stato completamente"Scully". Sempre con la testa fredda, sempre con una risposta, sempre nascondendosi e barricandosi dietro una spiegazione che suoni completamente scientifica per evitare di affrontare una semplice domanda personale. So che ci prova. Pretende di deviare tutta l'attenzione verso di me e verso le mie frustrazioni, ma non glielo lascerò fare. Le rivolgo uno sguardo carico d'intenzioni e parlo lasciando che l'ebbrezza faccia il resto:
- E questo è applicabile alla tua condotta di questa settimana durante il caso Jerse? - per lo scintillio di sorpresa mista ad indignazione che leggo nei suoi occhi, ho la conferma che ho fatto centro. E' allora che decido di non essere arrivato abbastanza lontano: - O non hai nemmeno avuto la necessità di ubriacarti?
Scully rimane con la bocca socchiusa come se stesse per dire qualcosa e non sapesse esattamente cosa. Una parte di me mi avverte di non seguire per questa strada che forse non c'è ritorno, ma il piacere di vederla completamente disarmata ed esposta al mio interrogatorio senza essere capace di rispondere è troppo intenso, troppo forte e tentatore per frenare ora.
- Questo è un affare che non ti deve importare - dice finalmente. Come se credesse che con me le servirà farsi scudo della privacy della sua vita quando non sa come far tornare la conversazione su di me.
- Ti sbagli. Sì, m'importa - rispondo - Puoi dire quello che vuoi, puoi assicurarmi che non ha niente a che vedere con me, ma l'unica cosa che so è che sei andata a Memphis con la sensazione che eri stufa di tutto.
L'ho presa completamente alla sprovvista. E' stupita per le mie parole. Improvvisamente sento come se mi guardasse come una preda indifesa alla mercè del suo predatore, con gli occhi azzurri fissi su di me che disegnano un'espressione di vulnerabilità che fin'ora credevo di non aver mai visto.
- Perché dici questo? - domanda finalmente.
- E' quello che mi fece capire la conversazione che avemmo - le dico - Se allora ti avessi detto di sì, che mi sembrava giusto che tu avessi una scrivania, cosa sarebbe successo, Scully? Sarebbe stato diverso? - credo che sto incominciando ad alterarmi più del previsto, permettendomi di dire cose che normalmente non direi ed obbligandomi ad agire con tutto la perfidia e la premeditazione del mondo - Dimmi, che cosa è esattamente quello che ti fa andare in bestia di me, che cosa cambieresti del mio modo di essere se potessi?
Per la prima volta da quando la conosco, l'agente Scully non trova nessuna risposta alle mie domande. Chiaro che le mie domande si erano limitate sempre alle questioni strettamente professionali, del tipo "Scully che hai scoperto dall'autopsia?" o "Scully, non vedi che questo è un XFiles?" Le domande non si riferivano mai a lei direttamente. O meglio detto, non si riferivano mai al suo modo di vedere la relazione con me. Non si sono mai riferite a lei e me.
Si stringe nelle spalle e cerca di dire qualcosa senza balbettare. Tarda tanto a rispondere che per un momento l'immagine m'appare comica e surreale mentre mi sembra di sentire in un flash la voce del presentatore di qualche programma televisivo che non riesco a stabilire, che dice "Non risponda ora, lo farà dopo la pubblicità"
- Mulder non so a che viene tutto questo. E' un tema di cui già abbiamo parlato non c'è altro d'aggiungere. Ti ho detto che avevo una vita. E mi dispiace, ma è tutto quello che ti dirò.
Oh. Favoloso. E' tutto quello che mi dirà. Cosa c'è, si suppone che dopo quattro anni non ha abbastanza fiducia in me per farmi partecipe della sua vita personale? Cosa sono, il suo compagno o il suo amico?
Ho diritto di parlare con lei solo di temi personali? Ho diritto solo all' "agente Scully"?
La guardo dalla testa ai piedi apertamente. So che a lei risulterà violento ma non me ne importa. E' ora che sappia che l'"agente" Mulder è qualcosa in più di un distintivo dell'FBI pieno di paranoie sugli omini grigi. E' un uomo in carne ed ossa, ha preoccupazioni personali come lei e si sente ferito quando la sua compagna decide di escluderlo dalla sua vita ed offrirsi su un vassoio ad un altro.
Continuo a guardarla.
E continuo a guardarla.
La resistenza di ghiaccio di Scully comincia ad incrinarsi e finalmente scoppia in un rimprovero nervoso:
- Mulder vuoi smettere di guardarmi così? - dice aprendo le braccia.
- Mi stai facendo innervosire con quella pistola - rispondo.
Tarda un secondo a reagire; getta un'occhiata alla mano destra e sembra rendersi conto improvvisamente che è da un bel pezzo sta con il revolver in mano, come se a questo punto fosse una specie di mutazione che le fosse uscita dal braccio.
- Scusa - dice, tra stordita e vergognosa.
Sorrido. Il mio interrogatorio brutale l'ha confusa a tal punto che non si era nemmeno resa conto che non aveva riposto l'arma. Evitando di guardarmi negli occhi, Scully sposta leggermente con la mano la giacca scura e conserva la pistola nella fondina, in qualche posto vicino al suo fianco che rimane fuori dal mio campo visivo. Improvvisamente associo questa parte nascosta della sua anatomia con centomila flashes diversi che accorrono al mio cervello ricordandomi la scena del tatuaggio che tante volte ho immaginato in mezzo alle mie frustrazioni, e per il solletico in fondo allo stomaco capisco che il solo gesto di scostare la giacca ha sollevato bolle nel mio sistema nervoso nel giro di secondi.
La parte bassa della sua schiena. Quel posto impossibile dove si incontrano la parte finale della sua camicia e l'inizio della cinta dei pantaloni. Questi centimetri quadrati coperti di una pelle che indovino morbida e tersa e che non ho mai avuto l'opportunità di esplorare.(ndt:ha dimenticato Starbuck_Z Pilot?) E anche se non sono mai stato in una bottega di tatuaggi, posso ricreare nella mia mente la scena perfetta di una Scully eccitata per la sensazione di proibito al rompere le norme che lei stessa si è imposta, abbassando solo lo stretto necessario la stoffa della gonna ed esponendo la sua pelle d'alabastro all'ago impregnato d'inchiostro che la lascerà marcata. Un tatuaggio. Dio mio, Scully ha un tatuaggio.
Sono io o improvvisamente la temperatura è salita di venti gradi?
Sono rimasto fermo, con gli occhi fissi alla curva inverosimile della sua schiena, e quando lei torna a guardarmi non mi prendo nemmeno il fastidio di distogliere lo sguardo.
Si rende conto che la sto guardando. Sa a cosa penso. In qualche modo, anche lei lo sa.
Dio. Fa tantissimo caldo.
- Ti fece male? - domando alla fine, e le parole sgorgano dalla mia gola con una gravità rauca che sorprende perfino me.
Lei non domanda a cosa mi riferisco, perché lo sa. Non so come esattamente, ma il fatto è che sono passato da accusatore a vittima, sto mostrando tutte le mie carte, lasciando intravedere la mia debolezza, e ad un tratto deduco che in qualche modo soccombo a lei ed al suo tentativo iniziale di farmi confessare quanto mi aveva turbato la storia del tatuaggio.
- In realtà è stata una strana sensazione - risponde - Ho sentito dolore, ma al tempo stesso è stato gradevole. Non so come spiegarlo.
Non mi è mai passato per la testa di farmi un tatuaggio, ma come ha detto questo e per l'espressione del suo viso darei qualsiasi cosa per sentire qualcosa di vagamente simile a quello che ha sentito lei. E' stato erotico, Scully?
- Scommetto dieci dollari che è un disegno di un ufo con la scritta "Non voglio credere"
E' suonato troppo beffardo?
Scully sorride quasi impercettibilmente, con quest'espressione così sua che sta a metà strada tra la serietà e lo scherzo insinuante, e passa per una frazione di secondo la punta della lingua sull'apertura delle labbra. Forse non è stato nemmeno un gesto intenzionale, ma è riuscita ad attivare tutti i miei allarmi contemporaneamente.
- Forse ti sorprenderesti - dice.
Merda. Mantenga il controllo, agente Mulder. Questa conversazione, le immagini che accorrono alla mia mente, ques'atteggiamento improvviso di tutti e due....è tutto così nuovo che ho l'impressione di non sapere come impedire che la situazione ci sfugga di mano. Per l'amor di Dio, questa non è la Scully che ho conosciuto per tutti questi anni. Quella era la mia compagna, la mia amica, poco più di questo, caso mai; la Scully di questi ultimi giorni e più concretamente la Scully di questa notte è una trappola insondabile che m'ingoia senza poter fare niente per evitarlo. E non è lei che è cambiata, perché continua ad agire nello stesso modo di sempre. Sono io che ho cambiato la sua visione, il suo modo di percepirla. Scully non è un essere asessuato. E' una donna completa, davanti a me, che mi guarda, mettendomi alla prova, che mi provoca sensazioni elettrizzanti ogni volta che mi avventuro ad immaginare un disegno nuovo per il suo tatuaggio.
Forse ti sorprenderesti, ha detto. Avanzo verso di lei di alcuni passi sentendo come tutto autocontrollo che mi rimaneva va sparendo irrimediabilmente. E questo non è colpa dell'alcool. Sono passati già molti minuti da quando ho ingoiato quel whisky.
- Ah sì? - mormoro - Non me lo mostri, Scully?
Mi sta sfuggendo di mano. Mi sta sfuggendo di mano.
L'allusione è stata cosi inaspettata per lei perché per un istante i suoi occhi riflettono una indecisione tremenda.
Suppongo che in questo momento si starà domandando se questo fa parte del mio peculiare senso dell'umorismo o se l'ho detto seriamente.
L'ho detto seriamente?
Scully ha la bocca aperta, la testa all'indietro e mi guarda socchiudendo gli occhi in un modo che incomincia ad affascinarmi. Non ho idea di cosa starà pensando in questo momento ma le possibilità sono così suggestive che non mi pento di niente di quello che ho detto. Forse si starà prospettando se soddisfare la mia curiosità e mostrarmi la forma dell'inchiostro sulla sua pelle. Desidera veramente farlo? Desidero io veramente che lo faccia?
Gli istanti si prolungano in maniera indefinita e si allungano fino all'infinito come se il tempo fosse elastico.
Mostrami il tuo tatuaggio, Scully.
Non so come sono arrivato alla conclusione che vedere e toccare questa parte bassa della sua schiena è quello che più anelo a questo mondo. Così, all'improvviso. Lo anelo con disperazione.
- Non crederai che io vada in giro a mostrare il tatuaggio a tutti - risponde finalmente.
Per alcuni fugaci secondi mi domando se questo è stato un rifiuto serio o un tentativo di fare la dura con me, e anche se la mia parte cosciente mi avverte di questo vicolo cieco, dico a me stesso che è preferibile continuare a tentare la sorte.
- Io non sono tutti.
Scully mi regala un gioco di sopracciglia intenzionale e fa come se non avesse sentito.
- Si chiama Ouroboros - dice - E' un serpente che si morde la coda.
Ouroboro. O conosciuto ugualmente come il circolo magico del serpente che divora se stesso nascendo ed autodistruggendosi allo stesso tempo. E' questo che si è tatuato Scully? La stessa Dana Scully che io conoscevo?
Sono di nuovo io o la temperatura è salita di altri venti gradi?
Scully è rimasta zitta, probabilmente in attesa che io reagisca e le dica cosa ne penso della sua idea di tatuarsi un serpente. Come quando ritornò a Washington e godette enormemente al vedere la mia reazione alla storia di Jerse. Non so se quello che pretende è mostrarsi come una persona completamente indipendente da me, o cambiare la percezione che ho di lei e far si che io muoia di gelosia.
Ha ottenuto tutte e tre le cose.
- Il serpente che si morde la coda - rifletto ad alta voce - la tradizione del Dragone, la credenza che è necessario morire per rigenerarsi eternamente e vivere. Ci sono molte leggende dietro questo simbolo, Scully. Morte e resurrezione, Yin e Yang. E' la manifestazione della vita secondo la Trimurti indiana: creazione, sostentamento e distruzione.
- Rinnovarsi o morire - mormora Scully quasi allo stesso tempo.
- E' questo il significato che vuoi dargli? Per questo te lo sei tatuato?
Scully rimane pensosa per un momento. Dubito che abbia sentito quello che le ho appena domandato. Poi mi guarda di nuovo, e giurerei che tutta la tensione negativa accumulata tra noi in questa settimana si è dissipata completamente.
- Sai Mulder? Non ho la minima idea del perché l'ho scelto - risponde semplicemente - nè se c'è stato qualche motivo inconscio per sceglierlo. A me piace pensare che è il circolo infinito in cui si muove la vita, il punto da cui parto e al quale finisco sempre per tornare.
Sono impressionato. Non conoscevo questo lato filosofico di Dana Scully. La verità è che non comprendo molto bene quello che vuole dire, nemmeno se questa riflessione ha qualcosa a che vedere con me; immagino che lei ha dovuto vedermi aggrottare le sopracciglia in un'espressione confusa, perché sorride timidamente e cerca di spiegarsi di nuovo:
- La mia vita è... un tentativo costante per uscire dalla routine e trasformarmi in una persona che non sono. Incomincio nell'ufficio, con te, poi voglio una scrivania mia e decido che le mie aspettative vanno oltre; ed allora esco e conosco gente e vivo esperienze nuove, ma finisco sempre per sentire la mancanza delle cose di tutti i giorni - inspira profondamente e poi esala l'aria a poco a poco, con un atteggiamento riflessivo - Finisco per tornare in ufficio. Agli XFiles. Alla scrivania. Da te.
In questo momento la mia faccia deve essere la cosa più comica che Scully abbia potuto vedere da molto tempo. Le sue parole non sono esattamente quello che si dice una rivelazione, ma hanno agito come un balsamo benedetto capace di restituirmi la pace interiore e la fede in me stesso e nel nostro cameratismo.
- E' ingiusto che la scrivania sia mio nome - finisco per riconoscere. Credo che sia la frase più stupida ed insipida che ho detto in tutta la notte, ma con essa sono riuscita a farla sorridere.
E con il suo sorriso sembra che tutto sia dimenticato: l'evasione con Ed Jerse, la nostra discussione dell'altro giorno, la mia ubriacatura a Lincoln Memorial. Quattro anni soffrendo nella solitudine delle mie paranoie ed è ora quando veramente mi rendo conto che tutto quello di cui ho bisogno per sentirmi un uomo nuovo è uno sguardo degli occhi franchi di Scully.
Dio, che ti sta succedendo Mulder?
Mi sentirò colpevole domani se oggi utilizzo la povera scusa del whisky per percorrere lo scarso metro che ci separa e dimostrarle con i fatti come stanno cambiando le cose?
Vieni, Scully. Come nel Ouroboros, questa è la connessione inevitabile di due poli opposti. Vita e morte, Yin e Yang. Tu ed io. L'uno non esiste senza l'altro. E non so cosa ti ha spinto ad ingoiare te stessa per rinnovarti, come non so nemmeno cosa è accaduto esattamente quella notte in cui ti sei allontanata da me, ma se rimani ora e mi assorbi io farò in modi che Ed Jerse sembri un dilettante. Farò in modo che il circolo della tua vita abbia significato, sarò il punto di partenza e il punto a cui fai ritorno.
Improvvisamente un suono stridente e acuto risuona perforandomi il timpano. E' un cellulare.
Tutti e due sembriamo risvegliarci da una seduta di ipnosi regressiva e ci mettiamo a cercare nelle nostre giacche.
Non è il mio cellulare che suona.
- Scully - risponde lei.
Non so perché, mi sento esausto. E' come se un sogno impossibile mi avesse teletrasportato in un'altra dimensione e ora un telefono cellulare volessero tirarmi fuori dal letargo a frustate. Respiro profondamente e cerco di analizzare tutto quello che accaduto negli ultimi minuti in cui sono stato sul punto di fare qualcosa che avrebbe potuto arrivare ad essere drastico. Introduco la mano in tasca della mia giacca e tiro fuori un pugno di semi di girasole che mangio mentre osservo Scully, che continua parlare al telefono.
- Sta qui con me - c'è una lunga pausa - D'accordo. Intesi. Grazie, signore.
Riattacca il telefono e mi guarda con espressione di sollievo.
- Era Skinner - annuncia.
La guardo con un'espressione interrogativa. Qualche notizia interessante?
- Dice che hanno trovato il tipo che faceva le telefonate, un certo Howard Darbin del Massachussets che catturasti nel 1990 quando stavi ai Crimini Violenti. A quanto pare gli avevano dato la condizionale un paio di mesi fa.
- Già. Diciamo che aveva qualcosa di personale contro di me - osservo con tranquillità, mentre cerco di aprire con i denti un guscio del seme.
- Si suppone che presenteranno accuse contro di lui, forse dovrai essere presente - aggiunge Scully - Poi vediamo cosa succede.
Sospiro.
-Bene.
Anche lei sospira.
Alla fine sembra che questa telefonata abbia concluso la conversazione che stavamo facendo. E' l'una e mezza di notte e teoricamente Scully non ha niente da fare qui. Teoricamente. E' finita, immagino.
Forse è meglio così.
La situazione è un pò violenta. Non è successo niente, ma le possibilità fluttuano ancora nell'aria. E questo si traduce in una visibile disagio con cui Scully lascia intravedere che non sa molto bene cosa dire.
- Dunque, io…Dovrei andare a casa - balbetta.
Non rispondo. Forse perché non so molto bene cosa rispondere.
Scully si dirige lentamente verso la porta e la apre non senza prima voltarsi di nuovo verso di me. E' strano. E' come se nessuno dei due volesse che lei andasse via ed io rimanessi qui dentro.
- Prenditi qualcosa per i postumi della sbornia - mi consiglia. Meravigliosa dottoressa Scully. Si preoccupa sempre per me, si prende sempre cura di me, sempre un rimedio miracoloso nella manica per curare tutti i miei male.
- Allora... non mi mostri il tatuaggio? - dico improvvisamente. Ha suonato come uno scherzo. Non so se lo era.
Lei sorride apertamente e attraversa la soglia della porta andando verso il corridoio. Decisamente non me lo mostrerà.
- Sai una cosa, Mulder? - dice prima di chiudere - Di te non cambierei assolutamente nulla.
Resto solo al centro della mio appartamento con uno stupido sorriso che mi attraversa il viso da orecchio ad orecchio. Scully non cambierebbe niente di me. Me l'ha appena detto.
E' allora che penso al vero significato del suo Ouroboros. Rinnovarsi o morire…Ci sono momenti in cui alcune cose chiedono di essere rinnovate. Una persona, una relazione. Non sarò io l'ostinato che si impegna a non riconoscere quello che sta succedendo qui. Ho la sensazione nuova, confortevole ed incredibilmente placida che qualcosa sta cambiando. Non so quanto tempo durerà questa evoluzione, ma sono preparato per affrontarla.
A partire da ora.
La verità è che sarebbe moto facile dare la colpa a quel farabutto di Ed Jerse della piega che hanno preso le cose da un pò di tempo a questa parte. Ma preferirei dare la colpa al destino.
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