Le fanfic di X-Files

Ouroboros

Mulder e Scully, dopo il caso che coinvolgeva Padre Joe, sono tornati a vivere a Washington. Ma la loro esistenza non sembra destinata ad essere tranquilla e serena. Forze più grande di loro si impegneranno al massimo per turbare una tranquilla vita di coppia.
Autore: GiorgiaXPhile
Pubblicata il: 11/11/2009
Rating: PG, da leggere con i genitori
Genere: ANGST, ROMANCE, CASE FILE
Sommario: Mulder e Scully, dopo il caso che coinvolgeva Padre Joe, sono tornati a vivere a Washington. Ma la loro esistenza non sembra destinata ad essere tranquilla e serena. Forze più grande di loro si impegneranno al massimo per turbare una tranquilla vita di coppia.
Note sulla fanfic: Potrei definire questa fanfiction fantascientifica, e, in quanto tale, chiedo venia se alcuni punti vi potranno sembrare completamente scollegati dalla realtà o se alcune azioni vi possono sembrare troppo "facili". Ho cercato di attenermi il più possibile alla mitologia della serie, mettendoci, però anche il mio punto di vista e le mie idee. E' la prima volta che mi addentro nel campo delle fanfic mitologiche... spero di essere riuscita a produrre un lavoro almeno sufficiente!

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PARTE PRIMA-Prologo

Ouroboros

 

Prologo

 

“Andiamo! Muovetevi con quei corpi! Muoversi, muoversi!”.

Si mise le mani sui fianchi e si guardò attorno, con un cipiglio sul volto giovanile. I capelli biondi erano mossi dal vento della sera. La temperatura era tiepida e la zona completamente deserta, come da programma.

Si voltò verso un sottoposto che stava lanciando i corpi dentro al treno, alla rinfusa.

Gli si avvicinò con passo minaccioso.

“Non così, idiota!” e gli strattonò dalle mani il cadavere devastato.

Lo trascinò all’interno del treno e lo sistemò alla bell’e meglio sul sedile. Fece altrettanto con gli altri corpi buttati alla rinfusa sul pavimento.

“Non è una fossa comune! Deve apparire come un incidente!”.

Gli fece segno di procedere, e il sottoposto, con lo sguardo demoralizzato, prese tra le mani un altro corpo e lo sistemò sul sedile, accanto ad un altro cadavere.

L’uomo biondo si allontanò scuotendo la testa.

“Idiota…” mormorò tra sé e sé.

Il cellulare nella sua tasca vibrò e lui rispose al secondo squillo.

Attese che il suo interlocutore parlasse.

Poi annuì.

“Si, è tutto a posto. Cominceremo in perfetto orario”.

Ascoltò nuovamente la voce al di là del telefonino, poi sorrise con aria compiaciuta.

Quando interruppe la telefonata si guardò nuovamente attorno, stando bene attento che i suoi uomini non facessero altre cazzate.

Inebriandosi dell’odore di morte che aleggiava in quella ferrovia sperduta.

Non arrenderti

Le mura bianche e anonime della corsia le scorrevano in fianco velocemente, sfuocate, senza contorni definiti.

I piedi, alloggiati in comode ciabatte bianche, percorrevano rapidamente il corridoio, un passo angosciato dopo l’altro.

L’aria, impregnata dell’acre odore di disinfettante, le schiaffeggiava le guance e le faceva lacrimare gli occhi, sbarrati e fissi, concentrati su immagini ben lontane da ciò che era la realtà.

La spalla urtò contro un’altra spalla.

“Attenta!”. Una voce di donna, seccata, le arrivò alle orecchie, ma lei non la sentì.

Con mano tremante estrasse dalla tasca del camice una piccola chiave argentata, aprì una porta di legno ed entrò nel suo studio, chiudendosela dietro le spalle con un doppio giro di mandata.

Avanzò verso la scrivania, con passo malfermo, e appoggiò pesantemente i palmi delle mani sulla superficie in compensato scuro, lasciando che la testa le crollasse tra le spalle, e chiuse gli occhi.

I battiti del suo cuore erano accelerati, riusciva quasi a percepire il suono del loro pulsare frenetico tra le mura silenziose della stanza. I respiri corti che tossiva tra le labbra, le sollevavano le spalle e le facevano avvertire brividi ghiacciati lungo la schiena.

Il momento era arrivato.

Sputando una mezza imprecazione tra i denti, si impose di calmare l’attacco di panico che minacciava di travolgerla. Inspirò profondamente un paio di volte e si costrinse a rilassare i muscoli contratti.

Il peso delle paure che le invadevano l’animo consumavano tutte le sue energie e lei si accasciò pesantemente sulla sedia imbottita, tuffando il viso tra le mani.

I pensieri si rincorrevano frenetici nella sua mente. Non riusciva a ragionare lucidamente.

Un terrore sordo, violento, insostenibile, le pervadeva le membra.

Un terrore che reclamava la sua attenzione.

Inevitabile. Come la morte.

Un leggero velo di sudore gelido le imperava la fronte, ma la pelle scottava, come avesse la febbre.

Eppure lo sapeva… l’aveva sempre saputo… ma questo non le impediva di essere terrorizzata.

Un fastidioso tremore le scuoteva il corpo accasciato, un tremore che non le dava tregua, che non la lasciava sola.

I rumori tipici di un reparto ospedaliero le arrivavano ovattati, qualcuno cercò di aprire la porta, bussò, ma lei non accennò a muoversi. Non percepiva lo scorrere del tempo e non le importava. Nuotava consapevolmente tra le acque di una paura nera, densa, melmosa, che non lascia respirare, che non lascia pensare… che non lascia sperare.

Un conto era sapere, tutt’altra faccenda era arrivare faccia a faccia con le proprie paure.

Il suono improvviso del suo telefono interno la fece sobbalzare, e il suo cuore ricominciò a battere furiosamente.

Con uno sforzo di volontà, si allungò ad afferrare la cornetta.

“Scully” disse nel microfono, senza inflessioni nella voce stanca.

“Sono io” rispose una voce profonda, una voce che lei conosceva bene.

Ascoltandola qualcosa si ruppe dentro di lei, e si ritrovò a piangere senza emettere nessun suono. Le lacrime caddero dalle sue palpebre socchiuse e atterrarono violentemente sulla scrivania, rompendosi in mille minuscole goccioline salate.

“Scully? Ci sei?” chiese, con un velo di preoccupazione, la voce di Mulder all’altro capo del telefono. “Come mai non rispondevi sul cellulare?”.

Scully, per un riflesso incondizionato, si frugò in tasca, cercando il suo telefono portatile, ma poi si ricordò di averlo lasciato nell’ufficio del Dr. Bruyster, quando l’aveva chiamata per quel consulto.

Quel consulto…

Le sue dita incontrarono, però, un piccolo contenitore di plastica.

“L’ho… “ Scully si schiarì la voce, che le era uscita roca e debole. Una mano asciugò le guance rigate di lacrime. “L’ho dimenticato da qualche parte”.

Mulder tacque per qualche istante e Scully non tentò nemmeno di avviare una conversazione. Non gli chiese nemmeno perché l’aveva cercata.

“Scully… cos’è successo?” chiese infine Mulder, nel tono delle parole si notava una nota impaziente, quasi aggressiva.

“Non per telefono” si sforzò di rispondere. Nella sua voce un’eco lugubre accompagnò le semplici parole, trasformandole in qualcosa di terribilmente spaventoso.

Il respiro leggermente accelerato di Mulder arrivò all’orecchio di Scully attraverso il fastidioso crepitio della cornetta.

Aveva capito, lo sentiva.

“Sono appena uscito dall’editore, arrivo in ospedale, da te, tra dieci minuti”. E chiuse la comunicazione.

Scully rimase ad ascoltare il rumore ipnotico della linea caduta, come in trance.

 

Mulder bussò alla porta dello studio di Scully, situato nell’ala est del reparto di chirurgia dell’ospedale Saint Morgan di Washington.

Ascoltò il rumore metallico della chiave che girava nella toppa.

L’ansia che l’aveva accompagnato fin lì, aumentò d’intensità.

Sapeva cosa stava per essergli rivelato, lo sapeva nell’animo, lo sapeva nel cuore, ma la mente aveva la necessità di sentirlo pronunciare dalle labbra di Scully.

Solo allora sarebbe diventato reale, solo allora ogni più remota speranza sarebbe crollata.

Scully aprì la porta lentamente, guardandosi attorno agitata, come se temesse di essere seguita.

Mulder rimase scioccato nel vedere il suo viso.

Gli occhi erano arrossati e contornati da profonde occhiaie, le guance erano chiazzate da macchie rosse e le labbra erano strette in una linea diritta. I capelli apparivano spenti, privi di vitalità e le mani tremavano leggermente.

Ma la sua espressione lo spaventò più di ogni altra cosa. Portava scritto in viso, a chiare lettere, che era terrorizzata.

Non era la prima volta che Scully vedeva qualcosa di sconvolgente, non era la prima volta che lui si trovava faccia a faccia con quell’espressione smarrita e spaventata.

In tanti anni di lavoro assieme come agenti dell’FBI avevano potuto rendersi conto sulla propria pelle di come il mondo e la psiche umana siano profondi pozzi neri e bui, che nascondono perversioni inimmaginabili e pazzie senza fine. Portavano ancora nell’animo le ferite inferte dalle storie con cui si erano scontrati durante le indagini sui loro casi. I visi delle persone morte, i visi delle persone vive che avevano perso qualcuno, i visi degli assassini, degli stupratori, dei pedofili, erano stampati indelebilmente nelle loro menti, come marchi a fuoco.

Eppure, la paura che deformava i tratti del viso di Scully gli ghermì lo stomaco, facendogli provare una sgradevole sensazione di nausea. Si sentì immediatamente pervadere dal terrore e seppe con certezza che, ora, anche il suo viso portava la stessa maschera d’orrore.

Entrò a passo svelto nello studio, osservando le mani tremanti di Scully chiudere nuovamente a chiave.

Senza riflettere, si accostò a lei e la prese tra le braccia, stringendola forte a sé. Il suo cappotto era aperto e poté sentire, attraverso la stoffa del maglione, lo stetoscopio che Scully portava al collo. Il suo seno, premuto contro il suo petto, si alzava ed abbassava velocemente.

Scully tenne le braccia immobili lungo i fianchi per un po’, poi le alzò e gli circondò la schiena, aggrappandosi al suo maglione con le unghie, forte, come se avesse paura di vederlo svanire da un istante all’altro.

Mulder appoggiò per un attimo la guancia contro i suoi capelli ramati, ispirando il loro profumo, poi le posò le mani sui fianchi e la spinse verso la sedia. Si inginocchiò di fronte a lei e le posò le mani sulle ginocchia, accarezzandogliele con leggeri movimenti ritmici. Alzò lo sguardo sul viso di lei e attese.

Scully fissò quegli occhi profondi, di una strana sfumatura verde/grigia e nella sua testa cominciarono a scorrere involontarie immagini. Il suo corpo fu pervaso da un turbine di emozioni.

Lo scenario futuro che le permeava i pensieri era buio, freddo e angosciante.

Non avrebbe sopportato di perderlo. Non avrebbe sopportato di non vedere più i suoi occhi attenti, le sue labbra piene, il naso prominente, gli zigomi scolpiti. Il cuore non avrebbe retto se non fosse più stata in grado di ascoltare la sua profonda voce, di percepire il calore del suo corpo, il profumo della sua pelle.

C’era molto di più in gioco, ne era consapevole, ma in quel momento era l’egoismo ad avere la meglio.

L’idea che il loro tempo fosse esaurito la terrorizzava più di ogni altra cosa.

Nella mente le immagini di loro due si susseguivano in un crescendo di nostalgia, tenerezza e amore. I baci, le carezze, i momenti d’intimità, le discussioni, le risate… stava per finire tutto. Il tempo era esaurito. E lei non riusciva ad accettarlo.

Gli occhi di Mulder, fissi nei suoi, chiedevano più di quanto avrebbero potuto fare le parole. Scully prese un profondo respiro e si impose di restare calma.

“Hai sentito dell’incidente ferroviario avvenuto questa mattina presto?” gli chiese, sforzandosi di rendere la sua voce chiara e sicura.

Mulder annuì. “Si, ho sentito qualcosa al telegiornale prima di uscire. Nessun sopravvissuto, vero?”.

Scully scosse la testa. “No. I due convogli che sono entrati in collisione si sono incendiati e nessuno è riuscito a scampare alle fiamme. Una strage. Si calcolano circa 250 vittime. Fortunatamente, sembra non ci fosse nessun bambino”.

Scully abbassò il viso, osservando le mani di Mulder tracciare linee immaginarie sulle sue cosce, fasciate da un paio di pantaloni bianchi di lino.

“Le ambulanze sono corse subito sul posto” proseguì “ma inutilmente. Però…”. Scully si interruppe e prese un altro profondo respiro.

Mulder attese pazientemente che lei riprendesse a parlare.

“Però” continuò dopo un po’ “sono riusciti ad estrarre dalle macerie due corpi non completamente carbonizzati”.

Scully alzò il viso verso Mulder.

“Era palese che per loro non c’era nulla da fare, ma, ai medici accorsi sul posto, i due corpi apparvero… strani” e mimò con le dita le virgolette “Decisero di portarli qui per sottoporli ad  un’autopsia”.

Le mani di Mulder continuarono ad accarezzare le gambe di Scully, ma la sua fronte si corrugò leggermente, accentuando le piccole rughe che la sormontavano. Una lenta litania prese a trapanargli il cervello: lo sapevi lo sapevi lo sapevi lo sapevi…

“Il dott. Bruyster -il patologo, l’hai conosciuto- sapendo che, seppur non pratico più, sono stata anch’io patologo” spiegò Scully “è venuto a chiamarmi per un consulto”.

Cercò gli occhi di Mulder e si perse per un attimo nella loro intensità, ricavandone la forza per arrivare alla parte più difficile del racconto, quella che li avrebbe catapultati in un incubo dal quale non era possibile svegliarsi.

E al quale, teoricamente, dovevano essere preparati.

Una mano di Mulder si sollevò ad accarezzarle una guancia, incoraggiandola.

“Mulder… sono andata a vedere i corpi e… presentavano le stesse caratteristiche che avevo riscontrato sul cadavere trovato in quegli uffici federali di Dallas… 14 anni fa. Ci siamo…” aggiunse infine, gli occhi incollati ai suoi.

Si, c’erano arrivati.

Alla fine quello che temevano era accaduto. Quello che sapevano era accaduto

La sua mano smise di carezzarle il ginocchio.

“Questi corpi” proseguì Scully, con lo sguardo puntato verso il soffitto, ma perso in chissà quali pensieri “erano comunque quasi completamente ustionati, ma il loro ventre… il ventre era… era una voragine. Una voragine che non può essere stata causata dal fuoco…”. Le parole si affievolirono sino a divenire un sussurro indistinto.

Per qualche minuto regnò il silenzio.

Le gambe di Mulder iniziarono a lanciare mute grida di avvertimento. Ormai aveva 51 anni, il suo fisico, seppur sempre scolpito e in forma, non riusciva più a sopportare certe posizioni per lungo tempo, o certi scatti di agilità che ancora lui si ostinava a compiere. Ma Mulder non vi fece caso.

La sua concentrazione era completamente indirizzata verso le informazioni che Scully gli aveva appena dato, arrivando alla conclusione che lei aveva già raggiunto poco prima.

Chi voleva ingannare? Aveva sempre saputo che quel giorno sarebbe arrivato…

Avevano vissuti gli ultimi anni nella consapevolezza della loro imminente sorte, spendendo le loro giornate con l’estenuante pensiero fisso che il mondo aveva i giorni contati.

E avevano lottato. E ora era il momento della verità.

Presto avrebbero saputo se i loro sforzi erano stati vani, o se la loro determinazione, la loro caparbietà li avrebbe condotti a dei risultati.

Un incidente ferroviario… 250 persone carbonizzate…

Si trovavano nuovamente di fronte ad una copertura, come era già successo nel 1998, quando era stato fatto saltare un edificio federale per nascondere la vera causa della morte di tre persone.

Ma questa volta le persone erano molte di più…

La colonizzazione era iniziata.

Con una smorfia di dolore, causata da una fitta alle articolazioni atrofizzate delle gambe, Mulder si tirò in piedi e guardò verso la parete, dove un calendario faceva bella mostra di sé.

Era un mercoledì, era il 7 novembre 2012.

Mulder rimase a fissare quella data per alcuni minuti, incapace di proferire parola.

Mancava poco più di un mese al 22 dicembre. La data designata per la grande invasione aliena.

La definitiva invasione aliena.

La sua mente iniziò a vagliare svariate ipotesi. Probabilmente la colonizzazione stava iniziando in anticipo, in modo che, alla data del 22 dicembre, gli alieni avrebbero trovato già il campo coltivato dove far crescere le loro radici velenose.

Probabilmente ci sarebbe stato un crescendo di incidenti, un crescendo di incendi e di persone carbonizzate, fino ad arrivare all’attacco finale. Forse la loro idea era di creare, comunque, un effetto sorpresa, in modo che la loro venuta fosse ancora più terrificante…

Ma erano solamente teorie, pensieri senza prove. Solo il tempo avrebbe detto se aveva ragione o meno.

E il tempo scarseggiava.

Poco più di un mese.

Non era nulla.

Le sue elucubrazioni furono interrotte da un bussare alla porta.

Scully si alzò dalla sedia, stancamente, come se non trovasse la forza di reggersi sulle gambe.

Quando aprì la porta, il volto rubicondo del Dr. Bruyster sorrise gentile. Era un uomo di media statura, sulla sessantina. Aveva radi capelli grigi e occhi neri, ironici e attenti. Era una persona estremamente cortese e affabile.

“Dana” esordì “Sono venuto a restituirti il cellulare. Prima non ti ho trovata”.

Scully si impose di rispondere al suo sorriso cordiale, e lo ringraziò, aggiungendo che non avrebbe dovuto disturbarsi.

“Nessun disturbo, mia cara” rise il medico. “A proposito… sai i due corpi che ti ho mostrato prima?”.

Scully annuì, seria. “Perdonami se sono corsa via in quel modo… è che…” ma il Dr. Bruyster alzò una mano, facendole segno di tacere.

“Non preoccuparti. Volevo solo dirti che sono appena passati due militari a prenderli. Sembravano avere molta fretta…” aggiunse, sfregandosi il mento, con aria pensierosa.

Mulder si voltò verso la porta, dove incrociò lo sguardo di Scully per una frazione di secondo.

“Buongiorno Dr. Bruyster” salutò Mulder.

Il medico si voltò verso di lui con aria stupita.

“Oh! Buongiorno Fox! Mi perdoni, non l’avevo vista” disse con un sorriso.

Mulder gli sorrise, comprensivo.

“Mi può dire che aspetto avevano i due militari che hanno prelevato i corpi?” chiese infine al patologo.

Il Dr. Bruyster ci pensò un attimo.

“Uno non l’ho visto bene in viso, perché era rivolto verso il furgone con cui sono arrivati, ma le posso dire che era di piccola statura e apparentemente molto magro, i capelli piuttosto radi. L’altro, invece era un uomo alto e smilzo, capelli scuri e l’aria da ragazzino. Sembrava avere poco più di 30 anni”.

Si sfregò nuovamente il mento, guardando fisso davanti a sé, poi scosse leggermente la testa. “Non ricordo altri dettagli, mi spiace”. Poi alzò il viso verso Mulder e Scully “Lo conoscete?” chiese, alludendo al fatto che sapeva che entrambi avevano prestato servizio presso l’FBI.

Mulder lo osservò un attimo, con espressione seria, poi gli sorrise. “No, non mi sembra”.

Il Dr. Bruyster fece spallucce, sorridendo, poi si congedò.

Non appena Scully ebbe accostato la porta, senza chiuderla a chiave stavolta, si fissarono negli occhi, poi le loro labbra pronunciarono un nome, all’unisono.

“Billy Miles”.

Scully abbassò il capo, contemplandosi le scarpe, mentre cercava di frenare i pensieri frenetici nella sua testa.

“Si è spacciato per un militare...” disse dopo un po’.

Mulder rimase in silenzio, poi batté il palmo della mano sulla scrivania, costringendo Scully ad alzare il capo.

“E’ inutile che stiamo qui a piangerci addosso. Non c’è tempo da perdere! Scully…” si avvicinò a lei e le prese le mani tra le sue, stringendole forte. “Sai che cosa devi fare”.

La fissò intensamente per qualche istante, leggendo negli occhi della compagna l’indecisione, il pessimismo, la paura di non farcela.

Le scosse le mani, provando a trasmetterle con lo sguardo la forza che stava cercando di trovare dentro di sé.

“Scully… non dobbiamo… non possiamo arrenderci ora! Ci siamo preparati per anni per questo… purtroppo ci siamo. Non mollare ora!”.

Lei lo guardò, poi, inaspettatamente, sorrise.

Mulder la fissò, leggermente costernato di fronte a quel sorriso che appariva così fuori luogo.

“Non mi devo arrendere, giusto?” disse lei, una nota divertita nella voce.

Mulder allora comprese e le sorrise di rimando, complice.

“Esattamente!”.

Scully, allora, si frugò in tasca ed estrasse il piccolo cilindro di plastica, contenente il frammento osseo di uno dei cadaveri, e si diresse alla porta.

 

 

4 ANNI PRIMA

“Mulder…”.

Mulder alzò la testa dallo scatolone che stava imballando con del nastro adesivo e osservò la sagoma di Scully che si stagliava contro la finestra.

“Ho preso una decisione” disse senza voltarsi a guardarlo “E spero che tu vorrai restare al mio fianco in questa… battaglia”.

Mulder si tirò in piedi e andò verso di lei.

“Quando Padre Joe mi ha detto che non mi dovevo arrendere…” alzò lo sguardo su di lui “…c’ho riflettuto molto, Mulder. Io non penso si riferisse solo al mio lavoro, o a Christian, io penso si riferisse a qualcosa di più…” fece un gesto ampio con le braccia, come volesse abbracciare l’aria intorno a sé “… di più grande, di più… vasto”.

Mulder le fissò gli occhi, notando in essi quel luccichio che gli permetteva di capire quando era determinata a raggiungere un traguardo.

Lei tornò a guardare verso l’esterno, dove un uccellino stava zampettando tranquillamente sopra il cofano dell’auto.

“Da quando viviamo qui abbiamo sempre vissuto alla giornata, prendendo quello che la vita ci offriva senza porci domande, senza chiedere altro, senza interrogarci sul futuro…” si voltò verso di lui e gli accarezzò una guancia con la mano “… o almeno, senza parlarne”.

Mulder si appoggiò al calore della sua mano, senza abbandonare il blu degli occhi di Scully.

“Dove vuoi arrivare?” le chiese, un tono di voce pacato.

“So che non hai mai smesso di pensare a quello che ci aspetta tra poco più di quattro anni, come non ho smesso io. Penso sia arrivato il momento di affrontare la realtà. Di prendere delle decisioni, di lottare”. Pronunciò le ultime parole con controllato fervore.

Si guardarono negli occhi a lungo. Poi Mulder sorrise, portando una mano a coprire quella di Scully, ancora poggiata sulla sua guancia.

“Cosa suggerisce la dottoressa?”.

Scully abbozzò un sorriso. Poi ammiccò.

“Qualche idea ce l’ho… ma ho bisogno di sostegno”.

“Sono qui per questo…”. Le prese il volto fra le mani e la baciò dolcemente.

“Ci riusciremo… insieme” le sussurrò sulle labbra.

Scorci di vita quotidiana

Scully scese dall’auto. Aveva deciso di parcheggiarla sul vialetto d’accesso, in modo da entrare in casa passando per il giardino.

Mentre le sue scarpe col tacco si fermarono su un letto di erba bagnata, il suo sguardo si perse ad osservare i contorni delle case che componevano il quartiere.

Era ormai buio da un paio d’ore e le luci ambrate illuminavano le finestre delle case, come fossero occhi aperti e vigili nella notte. Davano un senso di protezione e di calore.

Gli alberi che costeggiavano la via erano, oramai, quasi completamente spogli, e le loro foglie cadute formavano un tappeto dai colori tipicamente autunnali lungo i bordi dei marciapiedi.

Scully si voltò ad osservare la loro casa.

Era una graziosa villetta a due piani, un portico con archi a volta introduceva alla porta d’accesso, mentre un piccolo capanno degli attrezzi si trovava esattamente di fronte alla porta che dava sul retro.

Sorrise guardando un pezzo di intonaco arancione che si stava staccando dal muro.

Lei e Mulder l’avevano ridipinta personalmente quando erano venuti ad abitarvi. Avevano scelto un arancione acceso, ma non volgare, perché li metteva di buon umore.

Scully continuò a sorridere, ricordando come quel lavoro li avesse fatti tornare un po’ bambini. Scherzi e dispetti non mancavano mai, soprattutto da parte di Mulder, ma nemmeno lei si tirava indietro. Per quel motivo la pittura era stata più lunga del necessario, perché era più il tempo che avevano passato sotto la doccia, a cercare di togliere il colore dai capelli, che non quello che avevano passato con i pennelli in mano.

Scully salì i gradini del portico e aprì la porta, registrando distrattamente che, in casa, le luci non erano accese. L’atrio, infatti, era buio, l’unico barlume di luce arrivava dal lampione esterno.

“Mulder?” chiamò, appendendo il cappotto all’attaccapanni.

Mulder non rispose, ma lei percepì il suono della tv provenire dal salotto.

Una tenue luce bluastra la condusse verso la stanza, dove trovò Mulder seduto sul divano. Era proteso verso lo schermo al plasma, i gomiti posati alle ginocchia e le mani unite.

Il suo sguardo era concentrato su un’edizione straordinaria della CNN. Una serie di immagini di esplosioni, di fiamme e di lamiere accartocciate.

Scully si sedette in fianco a lui, che continuò a seguire il giornalista, mentre spiegava che un’ulteriore esplosione nell’incidente automobilistico di Singapore aveva reso vani i tentativi di soccorrere le vittime.

“Sta accadendo ovunque”. La voce stanca di Mulder la costrinse a distogliere lo sguardo dalla luce del televisore e a voltarsi verso di lui.

“Boston, Parigi, Roma, Londra, Tokyo… tutto il mondo è sconvolto da una serie di incidenti ferroviari, automobilistici, in metropolitana… Nessun sopravvissuto, tutti bruciati…”. Il suo sguardo era perso chissà dove, lontano da quel salotto, lontano da quella città. A Scully fece correre un brivido lungo la schiena.

“Ipotizzano un attacco terroristico globale, atto a minare la pace nel mondo” terminò con una risata amara.

Poi si voltò verso di lei. Sul volto ballavano luci e ombre che arrivavano dal televisore.

Si guardarono negli occhi per un lungo istante, poi tutto accadde senza che nessuno dei due proferisse parola.

Le labbra di Scully si unirono a quelle di Mulder, in un bacio carico di disperazione e di incertezze.

Le mani iniziarono a togliere strati di vestiti, con urgenza, per poi posarsi sulla pelle nuda, accarezzando e stringendo.

Le bocche percorsero la superficie dei corpi quasi con violenza. I denti mordicchiarono delicatamente lobi delle orecchie, labbra, capezzoli, dita.

Gli occhi, insaziabili, si dissetarono alla vista dei visi eccitati, dei corpi allacciati, della pelle surriscaldata.

Il divano divenne alcova d’amore, mentre la voce del giornalista continuava a mitragliare le orecchie con parole vuote e insensibili, ma d’effetto, per attirare l’attenzione dell’ascoltatore.

Non era desiderio quello che li spinse ad unire i loro corpi. Era un’esigenza dettata dalla paura sorda che attanagliava le loro viscere.

Un atto d’amore, un atto di vita, per scongiurare lo spettro della morte.

 

Mulder si sollevò sul gomito, per osservare Scully, stesa al suo fianco, nuda, coperta dal lenzuolo solo fino all’ombelico.

Avevano fatto l’amore un’altra volta dopo che, dal divano, si erano spostati al piano superiore, nella loro camera da letto.

Le due abat-jour fissate al muro, ai lati del letto, emanavano una rilassante luce ambrata, che rendeva la stanza calda e accogliente. Le ombre disegnavano familiari figure sul muro e sui loro corpi stremati.

Mulder posò una mano sul ventre della compagna, accarezzando la morbida e calda pelle con attenzione e devozione.

Scully si abbandonò alle carezze, chiudendo gli occhi e sospirando profondamente.

Il suono della tv rimasta accesa al piano di sotto arrivava smorzato, come i rumori delle auto all’esterno.

Nella stanza regnava un silenzio quasi religioso.

Fino a quando la voce di Mulder non lo soffiò via con le sue parole.

“Sei riuscita a contattare Montrand?”.

Le palpebre di Scully si riaprirono e i suoi occhi blu fissarono il volto di Mulder. Leggere rughe solcavano la sua fronte contratta.

“Si. Stava uscendo dalla sala operatoria, era sfinito… e io gli ho dato questa notizia” rise senza allegria. “Mi ha fatto accomodare nel suo studio, dove gli ho fatto esaminare il frammento osseo. Ho osservato attentamente la sua espressione, mentre, con gli occhi incollati al microscopio, si rendeva conto che tutto quello che gli era stato raccontato negli ultimi anni corrispondeva a verità. Probabilmente la sua mente scientifica gli aveva impedito di crederci fino in fondo, almeno fino a quando non c’ha sbattuto il naso di persona…” Scully sospirò.

“Quando ha sollevato la testa e mi ha guardata, il suo volto esprimeva sconcerto e una buona dose di paura. Sembrava invecchiato improvvisamente di 10 anni. Ma non ha perso tempo, ha iniziato subito a mettersi in contatto con chi di dovere. Quando l’ho lasciato mi ha assicurato che avrebbe fatto l’impossibile per permettere al nostro piano di andare in porto”.

Mulder le dette un bacio sulla fronte.

Lei inarcò le sopracciglia.

“E tu? Sei andato da Skinner?”.

Mulder annuì, continuando ad accarezzarle il ventre.

“Ha detto che avrebbe contattato Doggett e Reyes stasera stessa. Attendo sue notizie”.

Scully si voltò su di un fianco, guardandolo.

“Dovrai spiegare loro tutta la storia…”

“Lo so. Sarà una cosa piuttosto lunga, e penosa, immagino”. Fece una smorfia con le labbra.

Scully ridacchiò.

“Non sarà facile convincere John della realtà”.

Mulder sorrise.

“Amo le sfide” disse sollevando ritmicamente il sopracciglio, in un gesto malizioso.

Scully rise.

“Lo so bene!”.

Lo squillo del cellulare di Mulder interruppe la loro conversazione.

Mulder si allungò verso il comodino, arrotolandosi involontariamente le coperte attorno il bacino, e lasciando scoperta Scully, che rabbrividì e si alzò per indossare la vestaglia.

“Mulder” lo sentì dire al telefono.

Ci fu un attimo di silenzio, poi Mulder annuì.

“Domani sera è perfetto” si voltò ad osservarla, come per chiederle conferma. Scully annuì con un’alzata di spalle.

“Si… certo… A domani Walter” e concluse la telefonata.

Mulder si tirò in piedi e si infilò i pantaloni della tuta.

“Doggett atterrerà a Washington alle 2 del pomeriggio, mentre Reyes arriverà verso le 4. Skinner li andrà a prendere all’aeroporto, poi li porterà qui, approssimativamente verso le 5.30. Hai problemi?” le chiese, guardandola.

.

Lo stomaco di Mulder richiamò l’attenzione di entrambi su un problema meno angosciante di quello che pendeva sulle loro teste come una spada di Damocle, ma ugualmente urgente.

Risero entrambi ascoltando quel suono cavernoso e si diressero verso la cucina.

 

Scully si chinò per posizionare i piatti nella lavastoviglie. Premette due pulsanti e il lavaggio rapido iniziò il suo lavorio con un ronzio.

Si lavò le mani nel lavello della cucina e si diresse nel salotto, dove Mulder la attendeva, seduto sul divano.

“Vieni qui, principessa” la invitò, picchiettano leggermente la stoffa color ocra del divano con la mano.

Scully si accomodò di fianco a lui, e si accoccolò sul suo petto, mentre un braccio di Mulder le circondava le spalle e la stringeva a sé.

Con la mano libera, Mulder prese il telecomando del lettore bluray e premette il pulsante di avvio del compact disc.

Il televisore al plasma mostrò alcune righe grigie, poi una Scully in costume da bagno fece la sua apparizione sullo schermo.

I capelli rossi, mossi dal vento e baciati dalla luce del sole, assomigliavano a fiamme vive che le illuminavano il viso. La pelle, pallida come panna, spiccava per la sua levigatezza e luminosità. Un bikini arancione, decorato da fiori gialli e rossi, copriva ben poco del suo fisico magro e ben definito. La parte superiore era una semplice fascia, stretta tra i seni da un piccolo fiocco rosso, e le mutandine erano chiuse ai lati da due laccetti arancioni.

Le sue mani erano poggiate sui fianchi, il piede scalzo batteva ritmicamente a terra.

Le labbra erano atteggiate in un broncio capriccioso e le sopracciglia erano aggrottate, gli occhi diffidenti.

 

4 ANNI E MEZZO PRIMA

“Mulder… che stai facendo con quella videocamera?”. La voce di Scully era falsamente contrariata. In realtà si stava divertendo parecchio nel vederlo trafficare con quel marchingegno di ultima generazione, acquistato pochi giorni prima della loro partenza verso quell’isola sperduta.

“Immortalo la mia dea…” disse Mulder con un’alzatina delle spalle, il volto mezzo nascosto dietro la videocamera digitale, che in quel momento era poggiata su un treppiedi piantato nella sabbia calda.

Scully alzò gli occhi al cielo sentendo le parole di Mulder.

In realtà era compiaciuta e lusingata.

Anche se non erano una coppia che viveva di smancerie da mattino a sera, era innegabile che i momenti in cui le rivolgeva parole dolci o adulanti, o le trasmetteva con gli occhi l’amore che provava per lei, la facessero sentire speciale, unica, importante.

Da quando stavano insieme aveva costantemente la sensazione di essere completa, di essere totalmente sé stessa, come non lo era mai stata prima. E si sentiva bene.

L’unico punto d’ombra in tutta la brillante lucentezza del suo rapporto con Mulder era rappresentato dal vuoto lasciato nella sua vita da William, da loro figlio.

E sapeva che per Mulder era lo stesso. Lo sentiva nei suoi nervi tesi ogni volta che veniva nominato, nel suo sguardo spento ogni volta che vedeva famiglie con bambini, nei suoi gesti impacciati ogni volta che lei piangeva lacrime silenziose e asciutte durante le notti insonni.

Avevano riversato tutto nel loro rapporto d’amore. E, finora, era stata l’ancora di salvezza più meravigliosa a cui potessero sperare di aggrapparsi.

Mulder, assicuratosi della stabilità della videocamera, raggiunse la compagna davanti all’obbiettivo.

Passò un braccio dietro la schiena di Scully e alzò l’altra mano a salutare.

“Ciao mamma!” disse in tono eccitato.

Scully gli rifilò una gomitata nelle costole, ridendo.

“Scemo!”.

Lui la guardò con un cipiglio esageratamente fasullo.

Posò le dita sui gancetti del top a fascia e glieli slacciò. La parte superiore del costume cadde a terra, lasciandola a seno scoperto davanti alla telecamera.

Mulder rise dello sguardo stupito di Scully e si affrettò nuovamente dietro la cinepresa.

La sfilò dal supporto e, prima che Scully avesse il tempo di raccogliere il top e rimetterselo, le si avvicinò, zoomando maliziosamente sulle sue curve esposte e commentando la visuale con parole esplicite, quasi volgari.

Lei non riusciva ad impedirsi di ridere, mentre cercava di coprirsi con le braccia e lo ammoniva, lo minacciava di fargliela pagare, ma senza troppa convinzione.

Lei iniziò a correre lungo la spiaggia immacolata, cercando di evitare i punti in cui la sabbia scottava troppo. Lui la inseguiva, videocamera alla mano, urlandole frasi ironiche e provocanti.

Mulder pensò che, molto probabilmente, al momento della visualizzazione in un televisore, quelle scene avrebbero dato la nausea, ma si stava divertendo troppo e non gliene importava nulla, tanto quel filmino l’avrebbero visto solo loro due.

Iniziò a imitare la voce roca e terrorizzante di un maniaco sessuale che la voleva torturare, mentre Scully rideva sonoramente, lanciandogli occhiate esasperate di quando in quando.

Giocarono in questo modo per un po’ di tempo, mentre la batteria della telecamera, non ricaricata a sufficienza durante la mattina, cominciava a lampeggiare.

Alla fine, Mulder rimise la videocamera sul piedistallo e raggiunse nuovamente Scully.

Le tolse di mano il reggiseno, che stava cercando di rimettere al suo posto e, con uno sguardo malizioso, le disse, a voce bassa e sensuale, “Questo, per quello che ho in mente, non ti serve…” e la baciò, facendola rotolare sulla sabbia, sotto il sole pomeridiano che illuminava i loro corpi.

La batteria lampeggiò per altre due volte, poi cedette e la telecamera si spense.

 

Il filmato della loro ultima vacanza priva di pensieri aveva la durata di un’ora scarsa, ma Scully crollò sul petto di Mulder dopo una ventina di minuti.

Lui rimase sveglio a guardare le immagini che scorrevano sullo schermo, tenendola stretta a sé.

Immagini di una vita che non sembrava nemmeno più appartenergli. Guardava sé stesso e la donna che gli dormiva a fianco e stentava a credere che si trattasse di loro. Di momenti che avevano vissuti assieme, spensierati. Gli sembrava di sbirciare nella vita di qualcun altro, di violare la privacy di due amanti sconosciuti.

Eppure, quando il filmato terminò -i loro visi vicini, che salutavano le persone al di là dello schermo con sorrisi radiosi- premette play nuovamente e fece ripartire il disco dall’inizio.

Senza sapere per certo quali emozioni si stavano muovendo nel suo petto, sentì una lacrima solitaria abbandonare il suo occhio, tracciare un percorso irregolare lungo la guancia con un velo di barba e terminare tra i capelli di Scully, che respirava profondamente appoggiata al suo petto.

La strinse più forte a sé e continuò a guardare lo schermo.

Aspettando.

Lottando.

Sperando.

La verità

L’auto si fermò davanti la casa di Mulder e Scully.

Monica smontò per prima, stiracchiandosi leggermente e respirando a pieni polmoni l’aria intrisa dell’odore di pioggia.

Quando anche Skinner e Doggett scesero, Mulder uscì di casa, andando loro incontro.

Monica sorrise felice, mentre lo stringeva in un abbraccio. Doggett gli strinse la mano, una stretta forte e decisa, che trasmetteva rispetto.

Skinner, invece, si accostò a Mulder con un cipiglio ben marcato, che accentuava le innumerevoli rughe che oramai segnavano il volto del vicedirettore.

Mulder notò che anche Doggett portava i segni dell’invecchiamento. I capelli erano più radi, con alcune striature grigiastre, come i suoi del resto. Le labbra erano più sottili, ma il suo sorriso era caldo e sincero.

Con Monica, invece, il tempo era stato generoso. Era più bella di quand’era più giovane.

I capelli, tagliati cortissimi, mettevano in risalto la pelle del viso, la sua forma dolce e i suoi occhi espressivi, donandole un’aria sbarazzina.

“Mulder” esordì Skinner, con il suo solito tono sbrigativo “Ci vuole spiegare, finalmente, il perché di questa convocazione frettolosa?”.

Mulder fece un gesto verso la casa.

“Vogliamo accomodarci?”.

All’interno della villetta li accolse una musica soffusa, di genere classico.

Scully li raggiunse nell’atrio, un sorriso sincero e caloroso stampato sulle labbra.

Abbracciò Monica e John e strinse la mano a Skinner, l’unico dei tre che vedeva spesso.

“Dana, stai benissimo!” si complimentò Monica “Hai tagliato di nuovo i capelli dall’ultima volta che ci siamo viste… quand’è stato? Tre anni fa?”.

Scully annuì e sorrise.

“Si, è stato poco dopo che ci siamo trasferiti nuovamente qui”.

 

3 ANNI PRIMA

“Scully!” gridò Mulder, dal piano di sopra. “Dove hai messo quei ritagli di giornale che parlavano dei cerchi nel grano?”.

Scully, al piano di sotto, alzò gli occhi al cielo.

Li aveva lasciati chiusi in uno scatolone, sperando che lui avrebbe rinunciato a ricrearsi quella specie di stanza/santuario dei casi paranormali sui quali non aveva potuto  indagare negli ultimi anni.

“Sono ancora dentro lo scatolone!” urlò di rimando “Prova in uno di quelli sopra l’armadio!”.

Lo sentì borbottare qualcosa, ma prima che avesse il tempo di capire chi stesse maledicendo, il campanello suonò.

Un po’ stupefatta, si accostò allo spioncino. Non aspettavano nessuno…

Quando vide il volto abbronzato di Monica, un sorriso di piacevole sorpresa si disegnò sul suo viso.

“Chi è?” chiese Mulder, scendendo le scale.

Scully non rispose, ma aprì la porta, rivelando anche la presenza di John Doggett.

Allargarono le braccia, e sorrisero esageratamente.

“Sorpresa!!!” gridarono all’unisono.

Dopo gli abbracci e i vari convenevoli, davanti ad un bicchiere di tè freddo, Doggett porse a Mulder un sacchetto.

“Che cos’è?” chiese, soppesandolo.

“Pensavo avresti gradito riavere alcuni dei tuoi effetti personali” rispose John, con la sua voce profonda.

Mulder vi frugò dentro e ed estrasse la sua vecchia palla da basket, un poster arrotolato e una foto ritraente un UFO triangolare.

Commosso suo malgrado, osservò Doggett con aria interrogativa.

“Sono le poche cose che abbiamo trovato sparse per terra, quando hanno smantellato l’ufficio degli X Files” rispose Monica, sorseggiando la sua bibita “John le ha tenute con sé, sperando di potertele restituire un giorno”.

Mulder sorrise riconoscente a Doggett.

“Ti ringrazio. Lo apprezzo molto”.

John fece spallucce, cercando di sminuire il suo gesto.

 

“Apprezziamo veramente molto il fatto che siate corsi qui non appena Skinner ve lo ha chiesto, senza sapere nemmeno la motivazione. Vi ringraziamo molto” disse Scully, sinceramente grata nei loro confronti.

Monica e John si scambiarono un’occhiata.

“Vi avevamo promesso che ci saremmo stati per qualsiasi problema, che vi avremo aiutati volentieri” disse Doggett stringendosi nelle spalle “Quindi… eccoci qui!”. E fece un gesto ampio con la mano, che comprendeva lo spazio attorno a sé.

Monica assunse un’espressione seria.

“Ad essere sinceri, aspettavo questa telefonata. La aspettavo sin da quando ti abbiamo fatto evadere da quel carcere Mulder” disse, osservandolo.

Scully le rivolse un mezzo sorriso. Conosceva abbastanza bene Monica da sapere che le sue sensazioni non andavano sottovalutate. Probabilmente quello che di lì a poco le avrebbero rivelato non l’avrebbe scioccata più di tanto. E sapeva anche che, quando dicevano che li avrebbero aiutati volentieri, erano sinceri.

E la cosa la metteva leggermente in ansia. Non riusciva a scendere a patti con il suo senso di colpa. Era affezionata a loro, le erano stati accanto quando era disperata, e ora le moriva il cuore sapendo quanto pericoloso fosse l’aiuto che stavano per chiedere loro.

Ma sapeva anche che da soli non avrebbero potuto farcela.

Si accomodarono al tavolo del soggiorno, dove erano posate una cartellina colorata e una busta bianca strappata.

Doggett si guardò intorno, annuendo impercettibilmente col capo.

“Vi siete sistemati proprio bene. La casa è davvero accogliente. Quando siamo venuti, l’altra volta, metà intonaco era ancora senza colore…”.

Scully e Mulder risero, complici.

Quando tutti si furono accomodati al tavolo, Scully chiese se desideravano qualcosa da bere, ma Skinner la interruppe.

“Direi che i convenevoli li possiamo anche saltare. Possiamo sapere per cosa siamo stati convocati?”. Il tono di Skinner non ammetteva repliche.

“Normalmente le risponderei in tono ironico che dovrebbe imparare a rilassarsi e a prendere la vita un po’ più alla leggera. Ma questa volta ha ragione. Il tempo è prezioso, non ne abbiamo molto” rispose Mulder, guardando i presenti uno ad uno.

Tre paia d’occhi erano puntati su di lui e attendevano. L’aria era carica di aspettativa e di curiosità, nonché di un pizzico di timore.

Si sedette, mentre Scully prendeva parola.

“Premetto che non sarà facile per voi, soprattutto per te John…” e rivolse lo sguardo al viso concentrato di Doggett “… accettare quello che vi stiamo per dire. Dovrete ascoltare attentamente”.

Si voltò verso di Mulder. “E per noi non è facile chiedere il vostro aiuto, perché non ci piace l’idea di coinvolgervi in questa storia, ma abbiamo bisogno di appoggio e voi siete gli unici di cui ci fidiamo. In più non avete nessun figlio e nessun compagno che attende il vostro ritorno a casa. Se, in questi anni, vi foste creati una famiglia, state certi che non vi avremmo mai contattati>.

Per un momento nessuno parlò, poi Doggett ruppe il silenzio.

“Ahi! La vedo brutta…” disse in tono ironico.

Mulder lo osservò per qualche istante.

“Da dove cominciare?” parlò a voce bassa, quasi tra sé e sé.

“Dall’inizio?” suggerì Skinner in tono sarcastico.

Scully accarezzò la mano di Mulder, sotto il tavolo, incoraggiandolo a esternare quelle parole che per tanto tempo aveva tenuto dentro di sé. Quelle parole che aveva voluto, inizialmente, negare persino a lei.

“Quando, dieci anni fa, sono stato arrestato per aver ucciso Knowle Roher, mi ero introdotto in quel presidio per un motivo ben preciso…”.

“Che non ha mai voluto condividere, nemmeno al processo” lo interruppe Skinner.

“Esattamente, e quando vi dirò il motivo che mi ha portato là, capirete anche il perché, o per lo meno, spero farete uno sforzo per comprendere le mie ragioni”.

Un sopracciglio di Doggett si sollevò, scettico come sempre.

“Avevo passato i mesi precedenti al mio arresto nel Nuovo Messico -probabilmente Gibson ve l’ha detto quando è venuto da voi- “ aggiunse, guardando Monica e John “Cercavo quella verità che ho inseguito per anni e anni agli X Files, senza sapere nemmeno lontanamente di che cosa si trattasse.

Dopo svariate indagini, con le quali non vi starò ad annoiare, sono venuto a conoscenza dell’esistenza di un vecchio saggio indiano, un indiano anasazi, che viveva in un sito abbandonato nel deserto. Non ho mai avuto a che fare direttamente con lui, e successivamente ne compresi anche il motivo, quando scoprii, assieme a Scully, che di altri non si trattava se non del caro vecchio uomo che fuma… o meglio… che fumava. Spero che stavolta sia morto sul serio…” aggiunse pensieroso.

“L’avete scoperto quella volta che vi siamo venuti a prendere nel Nuovo Messico? Prima che spariste dalla circolazione?” chiese Monica.

Mulder annuì.

“Esattamente. Comunque, tramite un’anziana signora indiana, che di quando in quando era così gentile da sfamare me e Gibson, ho iniziato a prender contatti con questo vecchio saggio, che mi ha suggerito di andare a cercare la verità che tanto anelavo di conoscere, all’interno di un presidio militare a Bluemonth, in Virginia.

Ho impiegato un paio di mesi per capire come riuscire ad accedervi, e la fortuna, almeno inizialmente, mi aveva aiutato parecchio.

Non sapevo cosa avrei trovato, ma di certo non mi aspettavo… questo”.

Il suo racconto si interruppe. Il suo sguardo era perso nei ricordi di quel giorno. Quello schermo, quelle scritte verdi, lampeggiavano chiaramente nella sua memoria, come ce li avesse ancora di fronte.

“Cos’ha scoperto?” lo incalzò Doggett.

Mulder si riscosse e scambiò un veloce sguardo con Scully, la quale annuì impercettibilmente.

“Tramite una password, che mi aveva comunicato sempre il fantomatico saggio, ho avuto accesso ai dati segreti inseriti in un computer.

C’era scritto, per sommi capi, che il 22 dicembre del 2012 ci sarebbe stata una grande invasione aliena, che aveva lo scopo di colonizzare il pianeta, uccidendo ogni singolo abitante della Terra”.

Il silenzio si impadronì della stanza. La musica continuava a suonare in sottofondo inconsapevole della tensione che si stava respirando nell’aria.

“Che cosa?!” il primo a reagire fu John, ovviamente con scetticismo.

“Quindi tu vorresti farmi credere che tra poco più di due mesi la Terra sarà abitata dagli alieni e degli umani non ci sarà più traccia?” la nota dubbiosa nella voce era palese, quasi offensiva.

Reyes e Skinner, invece, rimasero in silenzio, gli occhi fissi su Mulder.

Lo sguardo di Monica si spostò per un momento su quello di Scully, che annuì impercettibilmente.

Mulder fissò John dritto negli occhi.

“So che non è una notizia facile da digerire, e non perché tu sei ancora scettico sull’esistenza di vite extraterrestri, ma perché è nella nostra natura accantonare fatti dolorosi. Ci trinceriamo dietro spiegazioni fasulle, ma che ci fanno sentire meglio e più forti, piuttosto che affrontare la cruda realtà. Ma ti posso assicurare che non sto mentendo”. Lo sguardo di Mulder era penetrante, come volesse passare i suoi ricordi dritti nel cervello di Doggett.

John aprì la bocca per protestare, ma poi la richiuse, un’espressione indecifrabile sul volto.

“Perché non ha voluto dirlo al processo?” chiese Skinner, in tono pacato.

Mulder spostò lo sguardo su di lui, sospirando rumorosamente.

“Questa è la parte più difficile da spiegare” rivolse gli occhi verso Scully, che gli rispose con un sorriso sghembo “Non volevo dirlo nemmeno a Scully, non volevo che nessuno sapesse, che nessuno fosse costretto a dover fare i conti con la realtà, che dovesse sbattere la testa contro la verità per colpa mia. Le persone vivevano la loro vita, giorno per giorno, inconsapevoli del destino che li attendeva… che diritto avevo io di togliere loro la speranza di un futuro? Che diritto avevo di scaricare loro addosso un macigno di tale portata?” la sua voce era triste, mesta.

“Non volevo dare questa tremenda notizia nemmeno a Scully… infatti lei l’ha appresa dall’uomo che fuma…”.

“Come si è giustificato?” chiese Monica, che, come aveva previsto Scully, appariva tranquilla, per nulla colpita dalla verità. Skinner sembrava immerso in pensieri complicati, mentre John si osservava le mani, poggiate sul tavolo. Probabilmente si stava chiedendo se credere o meno alla notizia.

Mulder si strinse nelle spalle.

“Non si è giustificato. Ha solamente detto che ha fatto l’impossibile per tenermi in vita in tutti gli anni all’FBI solo per avere il piacere di vedermi terrorizzato davanti alla notizia della nostra imminente fine. E che l’attuale governo ombra, alla data designata, si sarebbe rifugiato nel presidio di Mount Weather, quello dove io avrei ucciso Knowle Roher”.

“Quindi un Consorzio esiste ancora?” chiese Monica.

“Molto probabilmente si, e credo collabori con i super soldati”.

Ci fu un altro silenzio carico di domande inespresse, di incredulità, di rifiuto.

Mulder e Scully si fissarono, mentre gli altri erano assorti nei loro pensieri e si scambiarono un cenno d’assenso.

“So che non è cosa semplice accettare questo tipo di realtà, me ne rendo perfettamente conto. Ma vi prego di non dubitare della nostra parola”. Scully si interruppe per essere certa di avere l’attenzione generale. Doggett fece per parlare, ma lei alzò una mano a bloccare ogni sua rimostranza.

“Anche perché non sono più solo parole. Da ieri ci sono anche le prove”.

Monica, John e Skinner si scambiarono un’occhiata incuriosita.

“Prove?” chiese Skinner, inarcando le sopracciglia.

Scully assentì.

“Avete visto i telegiornali ieri? Tutti quegli incidenti, tutte quelle persone carbonizzate? Uno degli incidenti ferroviari si è verificato qui, a Washington…”.

“Si certo” rispose Doggett “Ma cosa c’entra questo con la fine del mondo?”.

“Centra eccome, perché quegli incidenti sono stati provocati deliberatamente per occultare lo stato devastante dei cadaveri. Due cadaveri non ancora completamente carbonizzati sono arrivati nell’ospedale dove lavoro, e ho potuto dare loro un’occhiata. Nei loro tessuti ho riscontrato le medesime caratteristiche del virus di origine sconosciuta che avevo rinvenuto nei cadaveri di Dallas, durante quel caso di scoppio di un ordigno in un palazzo federale, nel 1998. Vi ricorderete sicuramente l’X Files che ne parlava. Comprendeva anche me, e la mia esposizione al virus”.

Monica annuì, passandosi una mano tra i capelli cortissimi.

“Certo, me lo ricordo bene. Mulder ti salvò iniettandoti il vaccino”.

“Precisamente…”.

“Scusate” si intromise Doggett “Se quello che dite è vero, se è vero che gli alieni stanno già iniziando la loro colonizzazione…”. Doggett si interruppe per qualche istante. Sembrava intento a trovare il coraggio di pronunciare certe parole. “Se ricordo bene, quel virus porta al concepimento, se così lo vogliamo definire, di esseri alieni… se quello che dite corrisponde al vero, che senso ha occultare i cadaveri?”. Terminò la sua domanda con un gesto impaziente delle mani.

“Purtroppo su questo punto possiamo solo avanzare delle ipotesi” rispose Mulder, notando la smorfia scettica sul volto di John alle sue parole. “Secondo noi…” e fece un segno verso Scully “… cercano di occultare i cadaveri per non allarmare la popolazione mondiale. Probabilmente non vogliono che si creino scene di panico collettivo, che la gente si metta in allerta e cose simili, probabilmente più tranquilla e rilassata sarà l’umanità al loro arrivo definitivo, più facile sarà annientarla.

Ma allo stesso tempo, hanno creato questa serie di incidenti così vistosi, di una gravità tale da aver fatto ipotizzare un attacco terroristico globale, per avvertire le grandi potenze mondiali, i governi, che la colonizzazione è iniziata, che è arrivato il momento di mentire ai propri concittadini”.

Si guardò attorno e notando nuovamente un silenzio teso, proseguì.

“Ripeto, sono solamente ipotesi, non possiamo sapere come ragionano i nostri vicini di casa intergalattici… ma sappiamo come ragioniamo noi… e cosa abbiamo intenzione di fare… Per questo siete qui” Mulder lasciò la frase teatralmente in sospeso.

Scully notò gli occhi di Monica sgranarsi, e illuminarsi di un luccichio impaziente.

“Avete un piano per fermarli?” chiese concitata, una strana eccitazione nel tono della voce.

Doggett e Skinner la fissarono, stupefatti, poi rivolsero il loro sguardo sbalordito su Mulder e Scully.

Scully respirò profondamente. Una fitta di apprensione le attanagliò il petto.

Si stavano avvicinando alla parte più complicata.

Il bastone tra le ruote

Mulder posò le mani sulla cartellina posata davanti a lui e la osservò per qualche istante, poi guardò la sua compagna e lesse nei suoi occhi il rammarico che provava.

Sapeva che per lei era difficile trascinare in quella storia così pericolosa, dagli esiti così incerti, persone alle quali voleva bene, ma ormai erano in ballo.

Nessuno poteva tirarsi indietro. Questa possibilità non era contemplabile.

Il futuro stesso metteva in condizione di non avere altre scelte, se non combattere con tutti i mezzi possibili.

“Non possiamo definirlo propriamente un piano, e di sicuro non abbiamo nessuna idea su come sconfiggere la colonizzazione, ma possiamo provare a mettere i bastoni tra le ruote agli invasori, nel nostro piccolo. Diciamo che più che un piano è una… operazione” sorrise mestamente con un angolo della bocca.

Dogget spalancò gli occhi, sporgendosi sul tavolo. Aprì la bocca, poi la richiuse. Poi strinse le palpebre e squadrò Mulder e Scully con uno sguardo quasi feroce.

“Volete dirci che voi due… avete un’idea per fermare questi fantomatici alieni?” spalancò le braccia, in un gesto spazientito.

“John… “ Scully gli parlò in tono dolce, quasi ipnotico “… intanto devi scegliere, nessuno ti obbligherà a fare nulla. Stavolta non puoi stare a cavallo su una linea di confine: o credi in quello che ti stiamo dicendo, o non ci credi. La scelta spetta a te”.

Doggett incrociò le braccia sul petto e osservò gli astanti con sguardo di sfida.

Skinner prese la parola. Era stato stranamente zitto per quasi tutta la conversazione.

“John, mi ascolti attentamente” si assicurò che Doggett lo stesse osservando e proseguì “Ha mai avuto motivo di dubitare della parola di Scully? O di Mulder?”.

John lo fissò per un momento.

“No” disse semplicemente.

“Bene” proseguì il vicedirettore “Nemmeno io. Per quanto, spesso e volentieri, fossi scettico riguardo le teorie di Mulder sul paranormale, non ho mai avuto motivo per dubitare della loro buona fede. E se oggi ci hanno convocato qui per sottoporci ad una notizia così brutale e pesante, sono certo che hanno un motivo più che valido”. Si interruppe per osservare Mulder e Scully, che annuirono tristemente.

“So che lei è scettico sulla faccenda degli alieni Doggett, ma nei suoi due anni agli X Files ha dovuto ricredersi su molte questioni, prima fra tutte l’esistenza dei fenomeni paranormali.

Quando avete trovato quell’uomo, Anthony Fogelman, ha avuto davanti agli occhi la prova che i casi sui quali hanno indagato per anni Mulder e Scully si basavano su qualcosa di concreto.

Perché non fa un piccolo sforzo per credere che forme di vita extraterrestri minaccino la vita su questo pianeta? In fondo, lei è il primo a sapere che le associazioni governative ci stanno manipolando, ci stanno sfruttando, nascondendoci la realtà… perché non potrebbero farlo anche in questo caso? Anzi… soprattutto in questo caso?”. Skinner prese un profondo respiro, dopo la sua arringa e attese la reazione di John.

Monica lo osservava con espressione quasi implorante. Fece per allungare una mano verso di lui, ma poi la ritrasse.

John li guardò tutti, a uno a uno, per diversi secondi, poi alzò le mani in segno di resa.

“D’accordo, d’accordo. Diciamo che ci credo… quale sarebbe questo brillante piano?”.

Mulder sorrise, sardonico, e con il pollice indicò verso Scully.

“E’ stata un’idea sua” e incrociò le braccia sul petto, guardandola maliziosamente.

Scully lo ignorò e si rivolse agli altri.

“Dopo il caso che Mulder ha seguito assieme all’FBI, circa 4 anni fa, ho riflettuto molto... mi sono ritrovata a chiedermi se ci fosse un modo per, non dico bloccare totalmente l’invasione, ma almeno rallentarla, rendere più difficile il loro piano di colonizzazione… e alla fine sono arrivata ad una conclusione…” prese un respiro e proseguì.

“Ho lasciato il mio lavoro all’ospedale e ci siamo trasferiti qui, a Washington. Ho venduto il mio vecchio appartamento, e con il risarcimento che abbiamo ottenuto dall’FBI, dopo che le accuse nei confronti di Mulder erano state fatte cadere, abbiamo potuto comprare casa e vivere di rendita.

Io non sono tornata al lavoro, almeno non per il primo anno e Mulder ha iniziato a scrivere il suo primo libro sulla psicologia criminale e a collaborare con l’FBI come consulente esterno.

Il tempo lontana dall’ospedale l’ho passato facendo ricerche personali  in una clinica privata, che mi ha messo a disposizione personale e strumenti di lavoro.

Il suo direttore è un mio vecchio docente di medicina, che si è fidato della mia parola e non ha fatto troppe domande”.

Gli occhi di tutti erano puntati su di lei, avidi di notizie.

“Come avete appreso lavorando agli X Files, sia io che Mulder siamo stati contagiati dal virus. Ed entrambi siamo stati salvati grazie ad un vaccino, seppur di diversa natura… Il vaccino che ha salvato Mulder dall’olio nero, era di origine russa, ma, come abbiamo visto in seguito, il virus nel suo organismo si è riattivato, il che significa che il vaccino che gli era stato somministrato era instabile.

Al contrario, il vaccino che mi ha salvato dal contagio dell’ape, sembra essere stabile e funzionare tutt’ora… così ho pensato che potevo provare a sintetizzare un vaccino analizzando il mio sangue… “.

“E detta così sembra pure semplice!” la interruppe Mulder ridendo.

Scully non poté impedirsi di sorridere.

Lo stupore era scritto a chiare lettere negli occhi sgranati di Monica, Skinner e John.

“E ci siete riusciti?” chiese Skinner, nella voce una nota quasi reverenziale.

Mulder e Scully si scambiarono un’occhiata e si sorrisero raggianti.

Poi guardarono gli altri e parlarono all’unisono.

“Si!”.

 

 

3 ANNI PRIMA

Scully attraversò a passo spedito il corridoio della clinica privata, gli occhiali da lettura le stavano per scivolare dalla base del naso, perché aveva  la testa chinata sugli ultimi risultati di laboratorio.

Le sembrava che questa volta ci potesse essere la speranza di riuscire a procedere con il passo successivo. Finora aveva effettuato decine di test, di procedimenti di scissione degli atomi, delle piastrine, ma non era mai riuscita ad ottenere risultati soddisfacenti.

Alcuni dati stampati sul foglio che teneva tra le mani la facevano ben sperare. L’eccitazione si era già impadronita della sua mente e, quando arrivò nel laboratorio, si mise immediatamente a controllare e a confrontare i risultati.

Mano a mano che gli occhi scorrevano su innumerevoli file di numeri e sigle, l’eccitazione prese a scivolarle via dal corpo, sostituita da una delusione cocente. E rabbia, molta rabbia.

“Accidenti!” esclamò, buttando per terra una manciata di fogli, ormai inutili.

Si prese la testa fra le mani e iniziò a sfregarsi le tempie con le dita.

La testa le doleva, aveva l’impressione che un picchio dispettoso le stesse facendo un buco dritto nel cervello.

Era in piedi da più di 24, non aveva fatto altro che andare avanti e indietro da un laboratorio all’altro, aveva mangiato pochissimo, per non alterare i risultati delle analisi sul proprio sangue. Era esausta.

E queste giornate intense si ripetevano ormai da circa quattro mesi.

Quattro mesi di lavoro e non aveva ancora concluso nulla… a volte seguire il consiglio di quel prete non era affatto semplice!!!

Decise di rientrare a casa. Era troppo stanca per rimettersi al lavoro, e lavorare senza avere la mente totalmente concentrata non portava a nulla, se non a commettere errori.

 

Scully chiuse la porta di casa silenziosamente, ma Mulder stava già scendendo le scale. Era in boxer e maglietta e si stava passando le mani tra i capelli, scompigliandoli.

Lo sguardo assonnato gli dava un’espressione da bambino indifeso e Scully sorrise teneramente vedendolo.

“Ciao…” le disse, la voce ancora rauca e debole “Non sei rientrata stanotte”.

“No, credevo d’essere riuscita a portare avanti i test, invece sono punto e a capo”.

Si accasciò sul divano, sfinita.

Mulder le si sedette a fianco, accarezzandole i capelli.

“Va a riposare, hai due occhi che fanno paura…”.

Scully si voltò a guardarlo, nello sguardo una tristezza che le segnava i tratti e la faceva apparire fragile, indifesa.

“Mulder… e se non ci riesco?”. La voce era lamentosa, come quella di una bambina triste.

Lui continuò ad accarezzarle i capelli, con un gesto ritmico.

Poi le sorrise, rassicurante.

“Ce la farai, ne sono certo”

Lei scosse la testa, sfiduciata, e si mise a contemplare il pavimento.

“Guardami” le disse Mulder.

Lei voltò il viso verso i suoi tratti assonnati.

Mulder le prese il volto fra le grandi mani, e la costrinse a guardarlo dritto negli occhi.

“Io SO che ce la puoi fare”.

Gli occhi di Scully scrutarono il suo volto, attenti, e vi lessero la fiducia cieca che lui provava verso di lei e verso le sue capacità. Non c’era incertezza nel suo sguardo. Lui era davvero convinto che lei ce l’avrebbe fatta.

Peccato che lei non avesse altrettanta fiducia in sé stessa…

Si sforzò di sorridergli, e poggiò il capo sul suo petto, lasciandosi cullare dalle sue braccia verso l’incoscienza.

 

Mulder si trovava nel suo studio, circondato da poster, foto di UFO e articoli di giornale su fenomeni paranormali.

Mentre Scully riposava al piano superiore, lui aveva deciso di approfittare della giornata uggiosa per dedicarsi al suo libro sulla psicologia criminale.

Aveva quasi completato il penultimo capitolo, quando un movimento alla sua destra lo distolse dallo schermo del computer.

Non si stupì affatto di trovarsi dinnanzi il volto del suo fratellastro, Jeffrey Spender.

 

“Come aveva fatto ad entrare, così, di soppiatto?” chiese Doggett.

Mulder prese un profondo respiro.

“Temo che se è stata dura, per te, accettare la prima parte della nostra conversazione, questa ti manderà letteralmente K.O.” e gli sorrise.

John alzò gli occhi al cielo.

“Non mi dirai che ha imparato ad attraversare i muri?” chiese sarcastico.

“No.., peggio… Avevo saputo giusto alcune settimane prima di quel giorno, che Jeffrey era morto in un ospedale di New York, e che mi aveva lasciato alcuni effetti personali”.

Doggett aggrottò le sopracciglia e lo fissò in modo diffidente.

Scully non riuscì a soffocare una risatina.

Mulder sorrise.

“Ormai -visto il destino a cui andiamo incontro, se la nostra operazione di sabotaggio non dovesse funzionare- non mi importa molto che mi prendiate per un pazzo visionario… io vedo le persone morte… e perdonatemi la mezza citazione al film “Il sesto senso”“.

Monica fu l’unica a non sorprendersi della cosa.

“Da quando?” gli chiese.

“La prima volta è stata in carcere, 10 anni fa. Poi non li ho più visti fino a quel giorno. Ora allietano le mie giornate spesso e volentieri” sorrise, divertito.

 

“Buongiorno Jeffrey, qual buon vento?”.

Spender gli sorrise, finalmente senza problemi. Il suo volto sfigurato era un triste ricordo mortale, nella sua nuova vita aveva nuovamente i tratti che lo caratterizzavano prima che suo padre gli sparasse.

“Pensavo ti saresti spaventato almeno un po’… che delusione…”.

La sua finta espressione affranta fece ridere Mulder.

“Ormai non mi stupisco più di nulla, men che meno mi spavento per un fantasma. E poi, ti dirò, vi stavo aspettando. Aspettavo che qualcuno si decidesse a venire a darci una mano”.

Spender annuì, poi gli tese un foglio piegato con la mano incorporea.

Mulder lo prese, senza aprirlo, e guardò Jeffrey.

“Dì a Scully che deve seguire le istruzioni riportate in quel foglio alla lettera. Nel giro di un mese avrete il vostro vaccino”.

Mulder abbassò lo sguardo sul foglietto, e quando rialzò gli occhi verso Spender, lui non c’era più.

 

“I passaggi chimici, riportati su quel foglio, furono la scintilla che mi permise di non perdermi d’animo. Seguii alla lettere i suggerimenti, che mi portarono ad isolare uno specifico anticorpo, con un procedimento medico che non avevo contemplato.

Quello che mi stupì, fu la semplicità con cui poi le cose iniziarono a procedere.

Tutto tornava senza nessuna fatica, senza nessun intoppo… incredibile…” si voltò ad osservare Mulder, che le sorrise, incoraggiandola a proseguire.

“Dopo poco più di un mese, avevo, ipoteticamente, tra le mani il vaccino”.

“E’ fantastico!” esclamò Reyes, gli occhi brillanti di ammirazione verso Scully.

“Un momento” Skinner si sporse verso il tavolo, portando avanti le mani “Come fate ad essere certi che il vaccino sia quello giusto? Quello contro il virus alieno?”.

Scully annuì, persa nei ricordi.

“Il problema era giustappunto quello… come capire se il vaccino era quello esatto? Come capire se era sicuro somministrarlo agli esseri umani? Il mio entusiasmo, infatti si smorzò quasi subito, quando mi resi conto che non avevo nessun paziente su cui poterlo sperimentare. Mulder, ovviamente…” e gli scoccò un’occhiata di traverso “… voleva candidarsi come cavia, ma non volevo rischiare.

Così, mentre cercavo di farmi venire un’idea su come testarlo, iniziai a prelevare campioni di sangue ai vari pazienti della clinica, previa richiesta al direttore, ovviamente. In nessun campione trovavo traccia dell’anticorpo che invece avevo isolato nel mio plasma, ma come potevo essere certa che quell’anticorpo fosse il risultato della vaccinazione? Magari era una conseguenza del mio microchip… insomma, mi sembrava di essere tornata punto e a capo.

Fino a quando non ho ricevuto un’imbeccata… dai Lone Gunmen…” pronunciò il nome a voce bassa, come se si vergognasse.

John la guardò allibito.

“Non mi dire che vedi i morti pure tu?!” nella sua voce si notava una certa impazienza.

Scully rise.

“No! Quella è una sua prerogativa!” e scompigliò i capelli di Mulder con un gesto affettuoso.

Monica, vedendoli così affiatati, seppur in mezzo al caos di un’invasione aliena imminente, non poté reprimere un sorriso sereno. Se c’era qualcuno che meritava la felicità, quelli erano Mulder e Dana, su questo non aveva dubbi.

 

 

3 ANNI PRIMA

“Ma possibile che ci tocchi sempre sorprenderti col gingillo in mano?” disse Langly in tono disgustato.

Mulder, questa volta, non poté impedirsi di sobbalzare, mentre voltava lo sguardo verso l’assurdo trio. Si chiuse la zip dei pantaloni e attivò lo sciacquone del WC.

“Si vede che vi piace…” rispose loro, con un’alzata delle spalle.

“Si, come no…” commentò a bassa voce Frohike.

Mulder ridacchiò.

“Immagino non siate qui per disquisire sui miei attributi…”.

“Effettivamente no” precisò Byers “In realtà siamo qui per riferire a Scully un messaggio. Deve iniettarti il vaccino”.

Mulder fece una smorfia.

“Come se non glielo ripetessi tutti i giorni da un mese a questa parte! Non vuol sentire ragione…”.

“Oh… ma a noi darà retta! Soprattutto se le dirai che il consiglio è partito da me” e Frohike si batté ripetutamente l’indice sul petto. “Ha sempre avuto un debole per me…” si vantò.

Mulder lo fissò per un attimo, un ghigno divertito sulle labbra.

“Se fossi vivo ti tirerei un calcio…”.

“Provaci ora…” e Frohike si mise in posizione d’attacco, il corpo leggermente sbilanciato in avanti e i pugni davanti al volto, pronti a scattare.

Mulder pensò che era veramente ridicolo.

Byers dette una sberla sulla spalla di Frohike.

“Non siamo qui per giocare. Mulder… devi dirle che iniettandoti il vaccino riuscirà a vedere che il famoso anticorpo su cui sta lavorando comparirà anche nel tuo sangue. E poi sarai nuovamente protetto. Il vaccino russo era totalmente instabile, i tuoi tessuti l’hanno assorbito ed espulso attraverso il sudore. Ora come ora sei alla mercé del virus”.

Mulder assentì.

“Se non mi dà retta, vedete di andarle a fare visita in sogno, forse si convincerà”.

“D’accordo capo!” Langly gli fece l’occhiolino.

“Scully ha fatto un buon lavoro. Il vaccino è perfetto, fidati” lo rassicurò Byers.

“Ah, ma io mi fido di voi, e anche di lei e delle sue capacità, è lei che è dubbiosa. Spero che mi dia retta… Le dico che la saluti affettuosamente Frohike?”.

 

“Non puoi lamentarti… ti ho dato retta quella volta!” disse Scully.

Mulder storse le labbra in una smorfia. “Infatti ha nevicato per una settimana intera…”.

“Ma smettila!” e gli dette un buffetto sul braccio.

“Quindi il vaccino è buono?” chiese Skinner, nuovamente.

“Direi di si. Come predetto dai Lone Gunmen, dopo la somministrazione, il corpo di Mulder non ha subito danni, ma nel suo sangue ora è rintracciabile lo stesso anticorpo che c’è nel mio. Lo so che scientificamente e in campo medico è una prova piuttosto inconsistente, ma non posso effettuare ulteriori verifiche… per avere la certezza medica, bisognava trovare un soggetto infetto, ma vivo… ma non è stato possibile... almeno non fino ad oggi.

Mi fido della parola dei suoi “spiriti”. In fondo, finora, non ci hanno mai dato false notizie, né false speranze”.

“Avete…”

“Come…”

Monica e John iniziarono a parlare contemporaneamente. John fece segno a Monica di proseguire.

“Avete già iniziato a somministrarlo alla gente?”.

Mulder scosse il capo.

“No, aspettavamo un gesto da parte degli invasori. Un gesto come quello di ieri…”

“Per quale motivo?” chiese John “Il tempo scarseggia…”.

“Lo so” rispose Mulder “Ma una volta, un signore distinto, mi disse che l’introduzione del vaccino in ambiente alieno, avrebbe avuto il potere di distruggere tutti quei piani che il Consorzio ha tenuto segreti per più di 50 anni. Non potevamo vaccinare le persone anni fa, i super soldati, i cacciatori di taglie alieni, gli alieni stessi, se ne sarebbero accorti, e avrebbero avuto il tempo di inventarsi qualcos’altro.

Se vogliamo che il vaccino metta loro i bastoni tra le ruote, dobbiamo farlo a ridosso dell’invasione, così avranno meno tempo per reagire.

E’ ovvio che non riusciremo mai a vaccinare tutta la popolazione mondiale, ma ci basterebbe sapere che una buona maggioranza è protetta, che un alto numero di persone si possono salvare dal contagio.

Scully ha fatto riprodurre il vaccino in enormi quantità. Ora si trova in tutto il mondo, in attesa di essere utilizzato…

Basta solo che… “chi di dovere” dia il via all’operazione…”.

Skinner li osservò, perplesso, come gli altri del resto.

“E chi sarebbe questo “chi di dovere”?”.

Mulder sorrise maliziosamente.

“Il Presidente degli Stati Uniti… ovvio”.

Crazy Liar

“Cosa?!” esclamò Skinner allibito.

“State scherzando?!” gli fece eco Doggett.

Monica era troppo stupefatta per proferire esclamazioni di incredulità.

Mulder annuì, soddisfatto, guardando il sorriso sulle labbra di Scully.

“Eh già! Questa è l’altra parte della storia…”.

“L’attuale Presidente degli Stati Uniti d’America? Cosa avete fatto? Siete andati alla Casa Bianca e avete suonato il campanello?”. Doggett era totalmente esterrefatto.

Da quando era lì, circa un’ora ormai, aveva ascoltato fin troppe parole assurde. La sua mente scettica cominciava ad andare in corto circuito.

“Più o meno…” rispose Mulder con il suo solito tono ironico.

“E’ incredibile…” disse Monica in un sussurro.

Scully rivolse un sorriso soddisfatto ai presenti.

“Bè, come sapete, il governo è sempre stato a conoscenza dei piani di invasione e non ha mai mosso un dito per provare ad impedire la fine dell’umanità. Ha sempre taciuto, alleandosi con il Consorzio, con i super soldati e con gli alieni stessi…

Ma un vaccino non può essere somministrato alla popolazione mondiale senza un nulla osta da parte degli organi competenti al governo… poi serviva anche una motivazione, e non poteva di certo essere quella reale…

Abbiamo riflettuto molto su cosa potevamo fare, e gli ostacoli che ci si paravano dinnanzi il cammino ci sembravano veramente insormontabili… insomma, come potevamo pensare di cercare di contattare il Presidente? Oltre che un’idea di difficile realizzazione, c’era anche il problema che non potevamo di certo mettere la nostra unica arma per salvarci nelle mani del nemico…”. Scully prese fiato.

Si guardò attorno e notò che erano tutti estremamente concentrati su di lei, su quello che stava raccontando. Nei loro occhi si leggeva incredulità, ammirazione e un misto d’ansia e reverenza che la faceva sentire orgogliosa di sé stessa, o meglio, la rendeva orgogliosa di loro due.

Senza Mulder che la sosteneva non ce l’avrebbe mai fatta.

Si ritrovò a pensare, per qualche istante, che non importava se la loro battaglia avrebbe avuto esito positivo o meno, la cosa meravigliosa sarebbe stata la lotta fianco a fianco, uniti.

Sarebbe stato il coraggio di non arrendersi.

Soffocò un sorriso e proseguì.

“La svolta arrivò durante le ultime elezioni presidenziali… mai avremmo sperato che sarebbe salito al governo un candidato che avrebbe anche potuto schierarsi dalla parte dell’umanità, rompendo la lunga catena di tradimenti perpetrati nell’ultimo secolo.

La sua elezione ci dette una speranza… era ovvio che, non appena salito al potere, il nuovo Presidente sarebbe stato contattato dai super soldati, o da chi per loro, ma potevamo nutrire la, seppur flebile, speranza che non sarebbe stato d’accordo sulla linea di condotta adottata dai suoi predecessori.

E qui entra in gioco un vecchio amico di mio padre…”.

Mulder le rivolse uno sguardo complice e le fece l’occhiolino.

“Quando ero bambina, mio padre lavorava nel Delaware, stavano svolgendo una missione governativa piuttosto delicata. Gli fu affianco un giovane cadetto, che si rivelò fin da subito un ragazzo preparato ed estremamente intelligente. All’epoca aveva solo 18 anni, ma era già considerato uno dei migliori acquisti che la Marina potesse fare. Si chiama Jared Cena.

Qualche anno dopo, fu reclutato per una missione in Alaska, non so dirvi di cosa si trattasse, probabilmente una delle tante missioni “inesistenti” della storia americana.

Quando tornò non era più lo stesso.

Era taciturno, incostante, e se ne andava spesso in giro, mezzo ubriaco, a dire che lui conosceva segreti che avrebbero potuto annientare il mondo –e visto quello che sta succedendo, ora capisco anche a quali segreti si riferiva- e che lui poteva andare e venire dalla Casa Bianca quando e quanto gli pareva.

Inutile dirvi che fu congedato dalla Marina e che fu etichettato come pazzo. Ora vive nel Connecticut, dove conduce una vita da eremita e si porta appresso il soprannome di “Crazy Liar”, il pazzo bugiardo…”.

Mulder la interruppe.

“Sicuramente è un bel personaggio, decisamente stravagante, ma vi posso assicurare che non è pazzo. Conosce perfettamente quello di cui parla e le sue frasi corrispondono a verità, ma la gente è troppo schematizzata e cieca per credere alle sue parole”.

Scully annuì distrattamente.

“Già… “. Si perse per un momento nei suoi pensieri, poi si riscosse, notando che stavano tutti aspettando che lei proseguisse il racconto.

“Io non sapevo se lui fosse realmente in grado di arrivare alla Casa Bianca, ma mio padre diceva sempre di non sottovalutare le capacità e l’intelligenza di quel ragazzo… e poi… in fondo non avevamo nulla da perdere…”.

 

 

2 ANNI E MEZZO PRIMA

Mulder e Scully si scambiarono un’occhiata, mentre attendevano che qualcuno venisse ad aprire. Avevano bussato almeno tre volte e ancora non avevano ricevuto risposta.

Dall’interno arrivava il suono soffocato di un aspirapolvere, il che faceva pensare che in casa ci fosse qualcuno, ma probabilmente il forte ronzio dell’elettrodomestico non permetteva all’inquilino di percepire il loro bussare.

Ma il campanello non c’era…

Provarono un’altra volta, senza troppa convinzione.

Sentirono l’abbaiare frenetico di un cane avvicinarsi alla porta, dall’interno. Il rumore dell’aspirapolvere cessò d’improvviso e una voce profonda e roca ordinò al cane di smetterla di fare confusione. L’animale si zittì all’istante.

La porta cigolò sui cardini mentre veniva aperta.

Il naso impaziente e schiacciato, di un bell’esemplare di boxer, iniziò ad annusare i pantaloni di Mulder, con grugniti profondi e ritmici.

Lui si chinò ad accarezzarlo, mentre Jared Cena li osservava.

Mulder notò che era un uomo molto alto e smilzo. Il volto era piuttosto abbronzato e dietro le rughe e il velo di ispida barba bianca, si notava che i tratti erano quelli di una persona di bell’aspetto.

Aveva pochi capelli grigi sul capo, che gli conferivano un’aria saggia e vissuta.

Gli occhi erano del’ipnotico colore del ghiaccio e, finché li guardava attraverso le lenti di un paio d’occhiali piuttosto spessi, furono attraversati da un lampo di curiosità.

Davano l’accattivante sensazione di una persona estremamente sveglia, intelligente e sagace, nonché dallo spiccato senso dell’umorismo. Ma testimoniavano anche una vita di sacrifici e di solitudine.

A Mulder venne da sorridere all’idea che un paio d’occhi potessero raccontare tanto di una persona.

L’uomo era vestito con una larga casacca color melanzana, che stonava in maniera oscena con i pantaloni in tela dai mille colori sgargianti.

Qualsiasi altra persona avrebbe pensato che fosse una persona strana, inaffidabile, e che fosse meglio stragli alla larga, invece a Mulder piacque subito. Molto.

Le rughe intorno alle labbra di Jared si intensificarono mentre, con un sorriso, chiedeva loro se poteva aiutarli.

“Noi speriamo di si, signor Cena…” disse Scully “…mi chiamo Dana Scully, sono la figlia del Capitano Scully… si ricorda? Avete lavorato assieme negli anni ’60…”. Sperava davvero con tutto il cuore che la sua mente fosse ancora sveglia come apparivano i suoi occhi.

Il sorriso sul volto dell’uomo si accentuò, e arrivò a toccare le rughe intorno alle palpebre. Il suo voltò si illuminò.

“Dana! Ma certo! Avrei dovuto capirlo subito! Hai la stessa espressione di tuo padre…”.

E le strinse la mano calorosamente.

Scully non poté impedirsi di sorridere, compiaciuta.

“Lui è il mio compagno, Fox Mulder” disse indicandolo con una mano.

Mulder gli sorrise e strinse la mano fredda e ruvida dell’uomo.

“Lieto di conoscerla Fox” disse l’uomo. Il tono era sincero e caldo.

Il cane, contrariato dal fatto che Mulder avesse smesso di accarezzarlo, iniziò a scodinzolargli intorno, chiedendo nuovamente attenzione.

“Zar, lascia in pace il signore” l’ammonì Jared, continuando a sorridere “Ma vi prego, accomodatevi. Mi scuso per il disordine, ma stavo cercando di fare un po’ di pulizia…”.

Mulder e Scully entrarono in una casa piccola, ma luminosa. Ogni dettaglio indicava che il suo abitante era una persona che amava viaggiare, che amava gli animali e la natura, in particolar modo il mare. In un angolo del corridoio d’entrata giaceva l’aspirapolvere, silenziosa e immobile.

Alle pareti erano appesi numerosi quadri, delle più disparate varietà.

Si passava da quadri astratti senza alcun senso, ma dai colori vivi e seducenti, alle nature morte in bianco e nero.

Proseguendo lungo il corridoio, Mulder buttò l’occhio in una stanza alla sua destra. Il muro era saturo di foto di Cena assieme ad alcuni presidenti e segretari di stato. Una lo raffigurava assieme a John Lennon.

Il pavimento era traboccante di strani strumenti di ferro e rame, di ruote di biciclette e telecomandi.

Si chiese distrattamente se fosse lo “studio” dove inventava nuove creazioni.

Scully gli aveva raccontato che una volta, quando era bimba, lui le aveva regalato uno strano caleidoscopio, che aveva fabbricato con le sue mani. Era stato per anni uno dei suoi giochi preferiti. Mentre alla sorella aveva regalato un ciondolo, sempre fabbricato con le proprie mani, dicendole che le avrebbe permesso di capire meglio i sentimenti delle persone. Melissa lo portò per tutta la sua vita…

Si accomodarono in una stanza con un tavolo da quattro posti, un divano logoro ma dall’aria accogliente e un televisore. Spento.

Al posto del lampadario, pendeva una lampadina solitaria, ma il soffitto attorno ad essa era ricoperto di disegni strani, e pendenti dall’aria indiana.

Attorno ad ogni quadro, alle sedie e al televisore, c’erano fili colorati che assomigliavano a decorazioni natalizie.

Bizzarro, ma simpatico.

Dopo che Jared ebbe messo davanti ad ognuno di loro una tazza di caffè, Scully frugò dentro la sua borsa, con gesti inconsapevolmente eleganti, e ne estrasse una custodia di plastica trasparente e anonima contenente un dischetto bluray. E iniziò a raccontargli il motivo della loro inaspettata visita…

 

Mulder strinse calorosamente la mano del signor Cena.

“E’ stato un vero piacere parlare con lei. La ringraziamo infinitamente, con tutto il cuore”.

Jared liquidò le parole di Mulder con un gesto della mano.

“Non ho promesso di riuscirci…” obbiettò “… ma sono abbastanza pazzo da tentare, anche più volte se sarà necessario”. E sorrise in quel suo modo gentile e particolare.

Mulder scosse la testa.

“E’ già molto quello che ha accettato di fare, le siamo veramente grati”.

Scully sorrideva raggiante, mentre annuiva alle parole del compagno.

Zar si arrampicò sulle gambe di Mulder. Ormai aveva un nuovo amico con cui giocare.

Mulder lo accarezzò, inginocchiandosi davanti al suo naso freddo.

“Arrivederci Zar…”.

Scully strinse la mano a Jared.

Vide che Jared esitava e lo guardò con aria incuriosita.

“C’è qualcosa che vuole chiederci?”.

Jared la guardò dritta negli occhi, sul suo sguardo si era dipinta un’espressione seria, quasi triste.

“Mi farebbe molto piacere se veniste ancora a trovarmi… ho passato un bel pomeriggio… non mi capitava da decenni che qualcuno ascoltasse le mie farneticazioni senza ritenermi un pazzo completo… la mia unica compagnia è Zar…”. Mentre lo diceva, il suo viso si abbassò sul boxer, che si godeva felice le carezze di Mulder.

Scully abbassò lo sguardo verso il compagno, che continuò ad accarezzare ritmicamente il pelo morbido del cane. Le rivolse un sorriso aperto, che lei ricambiò.

Mulder si alzò in piedi.

“Mi creda sulla parola signor Cena… niente ci farebbe più piacere… bè…” aggiunse “… forse sventare la fine del mondo!” e rise.

Jared si unì alla sua risata.

“Allora chiamatemi Jared e datemi del tu. Mi farò vivo non appena avrò qualche notizia da darvi… e spero siano notizie positive. Fox, la aspetto per chiacchierare più approfonditamente sul tema delle possessioni… le sue teorie mi interessano molto…” gli strizzò l’occhiolino.

Scully rise. Un suono cristallino e sereno che Mulder non sentiva da un po’ di mesi a quella parte.

“Ho la sensazione che voi due andrete d’accordo”.

“Lo penso anch’io” le fece eco Jared.

 

Mulder si strinse nelle spalle.

“Ci siamo fatti proprio delle belle chiacchierate in questi mesi, vero Scully?” le disse, rivolgendole uno sguardo che assomigliava molto all’espressione di un monello.

“Se dite che il vostro piano dovrebbe iniziare a ore… significa che questo Cena ce l’ha fatta? Ha contattato il Presidente?” chiese Doggett, incuriosito e stupefatto.

 

 

2 ANNI E MEZZO PRIMA

Lo sguardo del Presidente degli Stati Uniti si perse al di fuori della piccola finestra.

Erano le 3.15 del mattino, eppure Washington pullulava di auto, di rumori, di sirene… di persone.

Si soffermò ad osservare le mille luci colorate che illuminavano una notte serena, protetta da una luna crescente e da miliardi di stelle sparse lungo la volta celeste.

Nel minuscolo studio regnava un silenzio carico di tensione, di riflessioni, di scelte difficili. Gli unici rumori bisbigliati arrivavano dal potente Macintosh portatile posto sul tavolino e dal respiro pesante del cane che sostava ai piedi del suo padrone.

I respiri dei due uomini presenti nella stanza erano impercettibili.

Lo spazio esiguo della stanza provocava un fastidioso senso di soffocamento al Presidente, un rivolo di sudore dovuto alla tensione gli corse lungo il collo. Nessuno conosceva l’esistenza di quello spazio segreto, solo sua moglie e l’uomo che ora si trovava in piedi, a pochi passi da lui, in attesa.

La propria immagine sbiadita, riflessa sul vetro sporco della finestra, si univa alle luci e ai movimenti del mondo esterno, formando strane immagini sul suo volto sudato.

Gli occhi scesero ad osservare le proprie mani, poggiate al cornicione. Il loro color cioccolato spiccava sul marrone spento e triste del legno abbandonato a sé stesso.

“Tu cosa ne pensi?” chiese il Presidente all’uomo in attesa, senza voltarsi.

Sentì l’uomo prendere un profondo respiro e il cane guaire piano, come se percepisse la gravità della situazione.

“Io proverei a dare fiducia a queste persone”.

Il Presidente si voltò verso di lui.

Il suo sguardo percorse velocemente la stanza: un tavolino, dov’era appoggiato il computer, due sedie di legno e una piccola libreria semi vuota nell’angolo di destra. A sinistra la porticina che conduceva ad un passaggio segreto, che sbucava a miglia e miglai di distanza dalla Casa Bianca, ammiccava complice verso i due uomini.

“Li conosci?”

L’uomo, il viso illuminato solo parzialmente dalla luce esterna, scosse la testa.

“La dottoressa è la figlia di un mio vecchio capitano, quando lavoravo per la Marina, ma non la vedevo da quando era poco più che una bambina. L’uomo non l’avevo mai visto, ma so che è famoso nell’ambiente federale per le sue indagini sui casi denominati “X Files”. Sa di cosa parla, ovviamente…” terminò con una risatina amara.

Il Presidente annuì distrattamente.

“Sai perfettamente quanto mi abbia scioccato apprendere questa notizia da tizi che altro non sono se non alieni mimetizzati tra noi. Pensavo di avere avuto un crollo nervoso a causa della mia elezione… pensavo di essermi immaginato tutto…

Ma quando poi, il giorno dopo, mi sono ritrovato di fronte i loro visi ghignanti, ho capito che era un incubo reale.

Ma ti rendi conto?”.

Il Presidente alzò improvvisamente il tono di voce, facendo due passi verso il tavolo. Batté il pugno sul legno del tavolino, facendo traballare il portatile.

“Quegli stronzi lavorano alla Casa Bianca e in tutti i più importanti governi del mondo! Ci tengono sotto scacco! E’ una cosa che non sono mai riuscito a mandare giù, lo sai… ma mi tenevano in pugno… che dovevo fare…” disse guardando l’uomo e passandosi il palmo della mano sulla fronte imperlata di sudore freddo.

Jared Cena fece un passo verso la luce proveniente dall’esterno.

Il suo boxer Zar lo seguì come un’ombra.

“Sono venuti ad offrirti un’ancora di salvezza! Per te, per il mondo! Mi rendo conto, è una zattera instabile e rudimentale, ma è sempre meglio che farsi travolgere dalle onde senza lottare… afferrala Boss!” lo chiamò con il soprannome che dava a tutti i Presidenti che si potevano definire tali.

Il Presidente osservò lo schermo del computer, dove l’immagine immobile di una donna dai capelli rosso rame rischiarava sommariamente la stanza buia.

Premette due tasti e il video riprese vita.

La voce di Scully inondò lo stretto antro. Stava mostrando la fialetta contente il vaccino, e spiegando la sua composizione e le sue caratteristiche. Aveva precedentemente spiegato il modo in cui il suo corpo era stato invaso dal virus alieno, e di come quel vaccino avesse combattuto per salvarle la vita. E l’anima.

Il Presidente spense nuovamente il bluray e chiuse il computer. La poca luce che gli aveva illuminato il volto color cioccolato svanì, lasciandolo a mimetizzarsi con il buio circostante.

Osservò Jared Cena con una luce quasi perfida negli occhi e un sorriso diabolico.

“Facciamolo!”.

 

“Qualche settimana dopo aver parlato con Cena, ho ricevuto una telefonata dal primario dell’ospedale Saint Morgan di Washington. Mi chiedeva di raggiungerlo direttamente all’ospedale, nel suo studio, per un’offerta di lavoro.

Ero sinceramente stupita. Il lavoro, in quel periodo, era l’ultimo dei miei pensieri” disse Scully.

Osservò Mulder per un attimo, ricordando lo stupore che l’aveva accompagnata dopo quella telefonata.

Skinner, Doggett e Reyes erano completamente assorbiti dalle parole che si stavano riversando, dalle labbra di Mulder e Scully, direttamente nel loro cervello. Erano veramente colpiti dal coraggio che avevano avuto quelle due anime solitarie. Senza dire niente a nessuno, almeno fino a quando la cosa non si era rivelata necessaria, trattenendo dentro di loro il peso di una conoscenza che avrebbe abbattuto chiunque… avevano lottato da soli, cercando un modo, seppur flebile e dagli esiti incerti, di combattere un mostro più grande dell’intera umanità.

Monica pensò che al mondo di persone così ce ne sarebbero volute molte, molte di più.

Ed era lusingata che li avessero reputati degni di far parte di un progetto di così grande portata.

Era rischioso, certo. Ed era anche sicura che quella che stavano ascoltando fosse la parte più “semplice”, probabilmente l’aiuto che chiedevano era molto più complicato e rischioso.

Ma era pronta a vivere guardando la morte in volto, era disposta ad accettarla senza indugi, se questo significava concedere al mondo e ai suoi abitanti, umani o animali che fossero, qualche altro millennio di vita.

E sapeva per certo che il suo pensiero era condiviso dai due uomini che le sedevano a fianco.

Seppur non più giovani, seppur segnati dalla vita, dal lavoro, dalle difficoltà, sapeva che erano ancora disposti a combattere, a sopravvivere quel tanto che bastava per essere certi di aver fatto tutto il possibile per ribellarsi al destino…

La voce di John interruppe i suoi pensieri.

“Immagino che il primario non volesse offrirle un lavoro…”.

Scully lo guardò.

“A dire il vero sì, mi ha offerto di lavorare nel suo ospedale, ma per motivi più gravi rispetto al semplice acquisizione di un nuovo chirurgo…”.

Un uomo di valore

“Mi scusi…” la interruppe Skinner “… ma quello che ci state raccontando è ancora più fantascientifico della possibile fine del mondo per mano degli alieni. La mia mente fatica a seguirvi…”.

Scully gli sorrise. Mulder fece altrettanto, sporgendosi sul tavolo e appoggiando il mento sulle braccia incrociate.

“Non si preoccupi Walter” gli disse lei “E’ comprensibile che siate completamente spiazzati… non creda che per me sia stato semplice accettare tutto…” si voltò verso Mulder che le sorrise di sbieco.

“E’ vero che la mia visione scettica è stata scalzata dal coraggio di credere in cose che prima mi spaventavano… ma quando Mulder mi ha detto che vedeva i “fantasmi” delle persone morte che avevano costellato la nostra vita, nel bene e nel male, e che apparivano per darci degli aiuti, per spingerci verso la giusta direzione… mi creda, ero completamente spiazzata.

Ero tornata ad essere la vecchia me, quella che rifiutava tutto quello che non poteva spiegare scientificamente… e che pensava che Mulder fosse pazzo!” rise sommessamente.

“Bè… questo è vero!” le rispose lui, la voce mezza soffocata dal maglione.

“Il primo passo è ammetterlo… “ aggiunse Doggett, con un sorriso ironico sulle labbra.

Ci fu una risata generale, debole e impacciata, ma che contribuì a stemperare il clima di tensione che si respirava in quella stanza da quasi 2 ore.

Scully interruppe quella ventata di ilarità con un colpetto di tosse.

“A parte gli scherzi… “ proseguì con un’espressione seria “… alla fine, come ha detto lei prima Skinner, la scelta è tra avere fiducia o non averla…” si strinse nelle spalle, giocherellando con la cartellina che aveva davanti alle mani “… e senza non saremmo arrivati fin qui…”.

Il silenzio nella stanza si protrasse per un po’. La musica aveva smesso di suonare da un pezzo, e il buio all’esterno si era fatto pesante. Qualche tuono in lontananza cominciò ad avvertire le nuvole cariche di pioggia che era tempo di scaricare al suolo l’umidità accumulata.

“Cosa c’è in quella cartellina?” chiese Doggett dopo un po’.

Per un riflesso incontrollato Scully vi appoggiò sopra la mano.

“Sono tutti i dati relativi al vaccino, le varie fasi di studio, e il risultato finale. Potete consultarli, li abbiamo messi qui apposta…”.

Doggett fece un gesto di diniego con la mano.

“Tanto non ci capirei nulla…”.

“E nella busta?” chiese Monica.

“Ci sto arrivando…” replicò Scully.

 

2 ANNI E MEZZO PRIMA

Scully bussò alla porta dello studio del Dottor Montrand, primario dell’ospedale Saint Morgan.

Dopo pochi istanti la porta si aprì, rivelando un uomo di colore, imponente e  di alta statura. Dimostrava 50 anni, forse meno, e la sua espressione la diceva lunga sulle ore insonni che aveva passato negli ultimi giorni.

“La dottoressa Dana Scully presumo…” le rivolse un sorriso di cortesia, al quale Scully rispose con educazione.

“Si, sono io” e tese la mano per stringere quella del medico. La pelle di Montrand era asciutta e calda e la presa era salda.

“Si accomodi, prego…” le disse, scostandosi per farla passare.

Chiuse la porta dietro di sé e le fece segno di accomodarsi sulla sedia di fronte alla scrivania.

“Dottoressa Scully… non sono un uomo che ama perdersi in lunghi giri di parole, perciò vengo subito al punto..”. Si chinò verso un cassetto posto dietro la scrivania e ne estrasse una busta, che era stata già aperta.

La allungò a Scully..

Lei notò che la missiva era indirizzata al primario.

Lo osservò con aria incuriosita.

“Legga la lettera, la prego” la esortò il medico.

Scully estrasse una lettera composta da due fogli bianchi, pieni di parole vergate con una calligrafia elegante, ma frettolosa.

Scully lesse la lettera, parola per parola, in un crescendo di euforia e ansia. Il cuore prese a batterle velocemente, il respiro si fece irregolare.

Quando terminò l’ultima frase, sollevò lo sguardo sul volto serio del Dottor Montrand.

“Può immaginare il mio sconcerto quando ho ricevuto questa lettera dal mio illustro parente…”.

Scully sorrise, senza ironia. Sapeva cosa doveva aver provato. Lei, oramai, viveva in uno stato di perenne stupore da mesi.

“Ma, ovviamente, gli credo, fino all’ultima parola, anche se il mio cervello si ribella ancora… Comunque l’ho convocata per dirle che accetto la richiesta che mi è stata inoltrata tramite questa lettera…” e fece un segno col capo in direzione dei fogli che Scully stringeva ancora tra le mani “Potrà iniziare a lavorare in questo ospedale anche da domani.

Ovviamente conosco il suo passato di agente dell’FBI, nonché della sua specializzazione come anatomopatologo. Ho chiesto informazioni all’ospedale in cui ha lavorato negli ultimi anni, prima di tornare a trasferirsi qui a Washington e ho ricevuto delle ottime referenze.

Quindi ho anche la fortuna di avvalermi di un ottimo medico. Le chiedo solamente di farmi avere al più presto la formula del vaccino, in modo che io e il mio staff possiamo iniziare a produrlo su larga scala. Ovviamente mi circonderò di elementi tra i più fidati…” aggiunse, vedendo l’espressione perplessa di Scully.

“La prego, inoltre, di mettermi al corrente di qualsiasi novità, problema o necessità che la riguarda e che riguarda l’oggetto della missiva… “. Osservò Scully con uno sguardo ipnotico.

Lei notò che aveva gli occhi molto scuri, un mogano intenso e molto espressivo.

Scully annuì, senza parlare.

Un leggero bussare la fece voltare verso la porta.

“Avanti”

Un ragazzo dall’aria sveglia, con addosso il camice che contraddistingueva i tirocinanti, entrò nello studio, con un fascio di fogli tra le braccia.

Quando si accorse di Scully, le sue guance si tinsero di rosso.

“Mi scusi, non volevo disturbare…”.

Il dottor Montrand si tirò in piedi, e Scully fece altrettanto.

“Non temere Robert, avevamo terminato” e rivolse uno sguardo di intesa a Scully.

Lei sorrise.

“Però, ne approfitto per presentarti il nostro nuovo chirurgo… Robert McAvoy, tirocinante laureando in pediatria… la dottoressa Dana Scully”.

Il ragazzo le strinse la mano calorosamente, sul volto un sorriso sincero.

“Lieto di conoscerla dottoressa”.

“Piacere mio Robert”.

Scully si voltò verso Montrand e gli tese la mano.

Lui le strinse la mano e le sorrise.

“Ci vediamo domani dottoressa Scully. Prenda pure la sua lettera…” e le porse la busta. “Le auguro una buona giornata…”.

Nelle sue ultime parole, Scully notò una nota ironica che non poteva biasimare.

 

Scully si rigirò la busta tra le mani.

“E’ davvero incredibile…” la voce di Doggette era incredula.

“Già…” gli fece eco Skinner.

Monica sorrise.

“Questa è stata la prima lettera che il Presidente ha scritto al dottor Montrand, ed è l’unica che io abbia conservato, le altre le ho distrutte. Troppi dettagli…”.

“Posso vederla?” chiese Skinner.

“Certo” e Scully gliela porse.

Mulder si appoggiò contro lo schienale della sedia, mentre le tre persone di fronte a lui si stringevano attorno a quei pezzi di carta.

Guardò Scully e le sorrise.

Ricordava perfettamente le parole scritte sulla lettera. Quando le aveva lette non era riuscito a trattenere un grido di vittoria. Aveva abbracciato Scully e l’aveva sollevata da terra, facendola volteggiare con movimenti concentrici, fino a che la testa non aveva cominciato a girare.

Non era la vittoria della guerra, ma era la conquista di una piccola battaglia.

Un piccolo pezzo del loro piano avrebbe potuto concretizzarsi, grazie all’umanità e all’onestà della persona che governava gli Stati Uniti da quattro anni a quella parte, in modo giusto, imparziale e coerente.

Il Presidente aveva scritto al cugino della moglie -il dottor Montrand, per l’appunto- per raccontargli, senza entrare nel dettaglio, che di lì a pochissimi anni, il mondo sarebbe stato schiavo di una piaga terribile, che veniva da un mondo lontano anni luce. Gli scrisse che pochissime persone ne erano a conoscenza e che un numero ancora minore, che si riduceva a un uomo e una donna, avevano avuto la prontezza di spirito, nonché il coraggio, di provare a concepire un medicinale che avrebbe potuto salvare gran parte della popolazione mondiale.

Gli raccomandava di assumere la dottoressa Dana Scully, la ricercatrice che aveva isolato il virus e creato il vaccino.

Questa sarebbe stata una mossa strategica.

Scully avrebbe potuto aiutare il suo staff medico a produrre una quantità di vaccino sufficiente ad essere esportato in tutto il pianeta, in più avrebbe potuto comunicargli tempestivamente il momento esatto in cui doveva iniziarne la somministrazione. Si congedava, promettendo che avrebbe inviato altre lettere, con ulteriori dettagli, al più presto.

E così era stato.

Nella terza lettera recapitata tra le mani di Scully, il Presidente annunciava che aveva escogitato un valido sistema per giustificare al mondo la repentina somministrazione di un vaccino ad adulti e bambini.

Aveva condotto varie ricerche in campo medico, e aveva scoperto l’esistenza di una rara malattia, oramai scomparsa da centinaia d’anni, che provocava morte, sofferenza e gravi epidemie. L’avrebbe fatta “resuscitare” e l’avrebbe usata come giustificazione al vaccino.

Avrebbe avvertito il mondo dell’imminente ricomparsa di una così terribile malattia, avrebbe usato parole forti, che sarebbero penetrate dritte nella paura delle persone, e le avrebbe esortate a recarsi nel più vicino ospedale, dove sarebbe stato loro somministrato, gratuitamente ovviamente, il vaccino idoneo.

La cosa che aveva lasciato Mulder a bocca aperta, era il coraggio che quell’uomo aveva dimostrato.

Davanti ai super soldati, che ancora vivevano assieme a lui alla Casa Bianca, continuava a recitare la parte del Presidente rassegnato, che è costretto a sottostare ai loro diabolici piani di conquista, mentre alle loro spalle, nel segreto più assoluto, tramava per capovolgere la situazione a favore dell’umanità.

Probabilmente era consapevole che al momento dell’annuncio della fasulla malattia, la sua copertura sarebbe saltata, e che i super soldati avrebbero capito che il vaccino avrebbe sconfitto il loro fatale virus.

Mulder non aveva idea delle conseguenze che questa operazione avrebbe avuto sull’umanità, ma prima ancora sul Presidente stesso.

Sentiva una morsa stringergli lo stomaco ogni volta che ci pensava, perché era propenso a credere che gli alieni non avrebbero affatto digerito quel volta faccia. Ma sapeva anche che il Presidente di questo era sicuramente consapevole, e che stava rischiando grosso, rischiando la sua vita e quella della sua famiglia, per salvare quante più vite umane possibili.

E questo gli faceva onore.

Se tutti i Presidenti americani avessero avuto che dimostrava quell’uomo, forse si sarebbe potuto evitare di arrivare alle porte dell’apocalisse…

Ma era inutile recriminare sui fatti passati.

L’importante era il presente, e la battaglia che si apprestavano a combattere.

Quando ebbero finito di leggere la lettera, le tre teste, che fino a un secondo prima era chine sui fogli, si alzarono e li guardarono. Un leggero velo di euforia attraversava i loro volti.

“E se non lo fa?” chiese lo scettico John.

Mulder guardò l’orologio, che segnava le 7.15 della sera.

“Tra un’ora circa lo vedremo… che ne dite, nel frattempo, di mangiare qualcosa?”.

Ouroboros

Doggett sorrise allo schermo piatto del televisore, dove le immagini colorate dello spot di uno yogurt ai cereali mitigavano il tono grave e autorevole della notizia che avevano appena trasmesso tutte le reti nazionali e internazionali.

“Ha mantenuto la sua parola…” commentò John, un ghigno soddisfatto sulle labbra.

Nella stanza si respirava un’aria di speranza, eccitazione e frenesia.

Il volto giovanile del Presidente degli Stati Uniti aveva appena monopolizzato tutti i palinsesti televisivi per annunciare, in diretta, il grave rischio di un contagio di massa che stava per colpire il mondo. Le sue parole erano state calme, ma irremovibili. Aveva esortato la popolazione a non farsi prendere dal panico, perché negli ospedali era già a disposizione un vaccino affidabile e funzionante per proteggere ogni fascia d’età, dal neonato all’anziano.

Pregò le persone -anche se sapeva perfettamente che non gli avrebbero dato retta- di presentarsi ai vari Pronto Soccorso delle loro città in maniera ordinata. Il vaccino era gratuito e ce ne sarebbe stato per chiunque. Nel caso l’ospedale avesse dovuto finire le scorte, furgoni di trasporto medicinali erano già pronti per sopperire alla mancanza.

Informò, inoltre, che i rari casi di contagio, e di morte, erano stati isolati e i corpi dei contagiati erano stati trattati nella maniera più idonea a non far scoppiare l’epidemia. Aveva usato parole miti per dire che i resti erano stati bruciati.

Quello che la popolazione non poteva certo aspettarsi, era il fatto che il Presidente si stava riferendo ai vari incidenti che si erano verificati il giorno precedente.

Una giornalista presente in sala stampa, aveva preso la parola, domandando se gli incidenti avvenuti poche ore prima, per l’appunto, presentavano il rischio di un attacco terroristico con lo scopo di scatenare una guerra batteriologica.

Il Presidente, sorridendo alla giornalista, l’aveva rassicurata che, al momento, il pericolo batteriologico più grave e immediato era rappresentato da quell’antica malattia. Le aveva assicurato, inoltre, che sugli incidenti stavano indagando assiduamente le forze dell’ordine e che appena ci fossero state notizie certe si sarebbe premurato di comunicarle alla popolazione.

Si era congedato raccomandando di recarsi negli ospedali a partire dal giorno seguente e di farlo in maniera tranquilla.

Skinner si mise a ridacchiare, poi guardò Mulder e Scully, negli occhi un’ammirazione che faticava a contenere.

“Ottimo lavoro… ex agenti!” e strinse loro la mano vigorosamente.

Monica si unì ai suoi sentiti complimenti abbracciando entrambi con trasporto. Strinse le mani di Scully e la osservò con occhi resi lucidi dall’emozione. Non servivano parole, Scully comprese che li stava ringraziando con tutto il cuore.

Doggett strinse loro la mano. Mulder si accorse che qualcosa nel suo sguardo era cambiato. Ora che aveva visto il Presidente stesso annunciare un pericolo mondiale, non aveva più scusanti per non credere che l’annientamento del genere umano fosse imminente.

Poteva solo immaginare il tormento che lo scuoteva. Le rughe sul viso erano marcate, a causa dell’espressione contratta che gli segnava i tratti. Ma sorrideva, preso, suo malgrado, nel vortice di euforia che aleggiava nell’aria.

“Bene…” esordì Skinner, prendendo nuovamente posto nella poltrona accanto al divano, “… ora che la prima parte del vostro piano…”.

Mulder lo interruppe.

“Operazione… non abbiamo nessun piano”.

Skinner fece un cenno con la mano che sostituiva le parole “come vuole…”.

“Ora che la prima parte della vostra operazione è andata a buon fine, possiamo sapere quale sarà il nostro ruolo in tutta questa storia?”.

Mulder si sedette nel divano, accanto a Monica, mentre Scully srotolava sul basso tavolino una cartina geografica del Nuovo Messico.

“E’ presto detto”. Mulder posò un dito su un’area della cartina e la circoscrisse con un cerchio invisibile. “Doggett e Reyes, voi andrete in New Mexico e cercherete di trovare traccia di grandi quantità di magnetite. So per certo che questa zona…” e vi batté sopra il dito ripetutamente “… ne è piena, ma dovrete cercare di trovare delle grotte, delle rientranze, dove i super soldati potrebbero essere fatti cadere in trappola”.

Gli occhi di Monica e John erano puntati su di lui.

“Quello sarà, per l’appunto il vostro secondo compito. Spero che i miei “spiriti” mi diano delle indicazioni al più presto, in modo da potervi guidare nella giusta direzione, per stanarli e intrappolarli. Ma di questo parleremo più avanti, per ora basta che cerchiate una zona adatta a mettere in piedi una trappola”.

Dogget annuì, studiando la cartina.

“Potemmo cercare anche Gibson Praise, potrebbe darci una mano a riconoscere i super soldati leggendogli nel pensiero…”.

Mulder si rabbuiò alle parole di Doggett. Monica e se accorse, e gli poggiò una mano sull’avambraccio.

“Ora dovrebbe avere circa 22 o 23 anni… immagino se la sappia cavare bene e non credo vorrebbe rimanere fuori da questa storia. Lui ti vuole bene, se può aiutarti lo farà volentieri… e poi…” Monica lo fissò dritto negli occhi “… se la tua operazione non riuscisse, sarebbe comunque condannato, come tutti noi. Forse per lui sarebbe anche peggio… magari lo terrebbero in vita per fare esperimenti, per studiarlo… o solo per il gusto di torturarlo…”.

Mulder la fissò di rimando per qualche istante. Scully lo osservò, tentando di capire cosa si agitava nella sua mente. Poi vide le sue spalle rilassarsi. Esalò un lungo sospiro rassegnato e sorrise mestamente.

“Immagino abbiate ragione, ma, mi raccomando, non mettetelo in pericolo, cercate di tenerlo al sicuro…”.

Monica gli sorrise e gli strinse leggermente il braccio, prima di ritirare la mano dal suo maglione.

“Quando partiamo?” chiese Dogget, pragmatico.

Scully si sedette sil bracciolo del divano sul quale era seduto John.

“Dopodomani sarebbe perfetto… domani riposerete e prenoterete il volo… purtroppo il tempo stringe, più ci muoviamo in fretta, meglio è”.

Doggett e Reyes annuirono.

“Per quanto riguarda lei, Skinner…” Mulder si voltò verso sinistra per guardarlo “… cercherà di rintracciare quante più notizie possibili sul governo ombra, che, secondo una mia teoria, si trova già asserragliato a Mount Weather. Se per lei non è un problema, le darei una mano a seguire questa, chiamiamola, indagine”.

Skinner annuì.

“Non è un problema, in fondo ho richiesto la sua consulenza spesso negli ultimi anni, non si stupiranno di vederla passeggiare assieme a me per i corridoi dell’FBI”.

“D’accordo, allora ci vediamo in ufficio e cerchiamo di fare il punto della situazione”.

Monica alzò lo sguardo verso Scully.

“E tu?”.

“Io sarò impegnata in ospedale, dovrò vaccinare e tenere sotto controllo la situazione. Potrebbero servire cure tempestive che solo io sarei in grado di cogliere. E potrebbe servire anche una maggior produzione di vaccino… il mio compito sarà quello di tenere sotto controllo questo aspetto dell’operazione”.

Doggett si portò una mano alla bocca e sbadigliò.

“Scusate, il lungo viaggio e queste notizie apocalittiche mi hanno stremato”.

Scully si tirò in piedi e piegò la cartina.

“E’ comprensibile. Sarà meglio che cerchiamo di riposare tutti, da domani saranno giornate piene…”.

“Ma dovete spiegarci meglio il luogo del New Mexico dove dovremmo recarci, e…”.

Mulder interruppe le proteste di John.

“Possiamo farlo domani, a mente lucida. Ora dovete riposare, Scully ha ragione”.

“A proposito…” disse Scully “… avete un posto dove stare?”.

Monica annuì.

“Si certo, abbiamo prenotato in un albergo della zona”.

Come spinti da un segnale muto e invisibile, si alzarono in piedi e cominciarono a congedarsi, dandosi appuntamento per il giorno successivo.

Quando furono sulla porta, Skinner si voltò verso Mulder e Scully e li guardò con un’aria incuriosita.

“Ogni operazione che si rispetti deve avere un nome in codice” disse sorridendo, suo malgrado “Questa come la chiamiamo?”.

Mulder guardò Scully che si mise a ridere.

“A dire il vero…” precisò Mulder “… un nome ce l’ha già…”.

“E sarebbe?” chiese Doggett “X Files? Little green men?”.

Mulder scosse la testa.

“Ouroboros”. Attese qualche istante perché i presenti assimilassero il nome.

“Il simbolo del serpente che si morde la coda!” esclamò Monica. “Geniale!”.

Mulder sorrise e posò istintivamente la mano sull’incavo della schiena di Scully.

“Già… un nome che sottolinea come la vita sia un cerchio infinito, che non ha inizio né fine… quale miglior occasione?”.

Skinner, Doggett e Reyes si sorrisero, poi si congedarono dalle quelle due persone coraggiose.

Mulder chiuse la porta e accompagnò Scully al piano di sopra, senza staccare la mano dalla sua schiena.

SECONDA PARTE-Prologo

“Devi prestargli ascolto”.

Il suo sguardo era incredulo. Quella che aveva davanti era la più bella delle visioni.

Il volto da ragazzina era circondato da un alone di luce tenue, che non feriva gli occhi e non costringeva le palpebre ad abbassarsi per proteggersi dal riverbero. Era una luce bluastra, ma non fredda. Trasmetteva un senso di pace e di serenità che lui non riusciva più a provare nella vita.

Il viso era bellissimo, sereno, privo di paure, di ansie e di debolezze. La voce era ipnotica, dolce, lo trascinava tra ricordi perduti e sensazioni pungenti.

Ma non stava ascoltando le sue parole, era troppo felice di averla davanti agli occhi per prestare attenzione a tutto il resto.

Tese le braccia verso di lei, ma il suo corpo si fece etereo, quasi trasparente..

Fece due passi nella sua direzione, ma la ragazza si allontanò.

Ad ogni passo che lui faceva, corrispondeva un pari allontanamento da parte di lei.

“Perché mi stai sfuggendo?” le chiese. Nella voce si percepiva la delusione, la tristezza, per non riuscire ad arrivare a lei.

“Tu devi ascoltarlo” la voce era dolce e bassa, ma il tono non ammetteva repliche o rifiuti. Era imperativo.

“Chi? Chi devo ascoltare?”. L’uomo iniziava ad essere disperato.

Desiderava avere un contatto con lei… non la vedeva da tanto, tanto tempo…

“Ascoltami Fox! Presta ascolto a qualsiasi cosa lui ti dica… promettimelo!”.

Il corpo della ragazza, avvolto da un candido vestito bianco, cominciò a farsi meno concreto, sempre meno definito nei contorni.

L’uomo ebbe paura e la guardò con le lacrime agli occhi.

“Non andare… ti prego…” la voce era rotta dal pianto.

“Promettimelo Fox!”. La ragazza era quasi un tutt’uno con l’aria.

Negli occhi quasi invisibili aleggiava una muta, ma energica, preghiera rivolta a lui.

L’uomo non poté fare altro che acconsentire.

“Si, certo… te lo prometto! Te lo prometto Samantha!”. Urlò le ultime parole al vento, per timore che lo spirito di sua sorella non potesse udirlo da dove si trovava, ma un grazie sussurratogli all’orecchio gli fece capire che lei era ancora nell’aria, che lo avvolgeva nel calore delle sue braccia di ragazzina e che vegliava sul suo sonno irrequieto.

 

Mulder aprì gli occhi nel buio pesto di una stanza dormiente.

Il cuore gli batteva forte e la gola era secca e dolorante, come se avesse urlato nel sonno.

Al suo fianco, il respiro regolare e profondo di Scully gli disse che stava dormendo serenamente.

Si mise a sedere, stando attento ai movimenti. Non voleva svegliarla.

Il suo lavoro all’ospedale, nelle ultime 4 settimane, era stato frenetico e logorante. Rispondere alle domande di migliaia di persone, che ogni giorno affollavano il Pronto Soccorso, con il braccio scoperto, pronte per l’iniezione che vedevano come un miracolo della medicina, la stremava e la faceva sentire in colpa.

Doveva mentire in continuazione e non le piaceva affatto.

Mulder allungò una mano verso la bottiglia d’acqua appoggiata al comodino, e ne bevve una lunga sorsata. La gola lo ringraziò per quell’ordinario gesto, che la rinfrescò e le tolse quella fastidiosa sensazione di arsura.

Davanti agli occhi aveva ancora l’immagine di Samantha.

Era bellissima, eterea, irraggiungibile.

E gli aveva lasciato una sensazione di pace che sapeva per esperienza sarebbe scomparsa con le prime luci del giorno, ma che per ora voleva assaporare in ogni sua sfaccettatura, lasciandola scorrere sotto la sua pelle, a sconfiggere l’adrenalina che in quei giorni gli percorreva le vene, a lenire la tensione nei muscoli, a guarire l’oppressione sul cuore.

Si chiese distrattamente, mentre riappoggiava la bottiglia sul comodino, cosa avesse voluto dirgli con le sue parole.

Promettimi che gli presterai ascolto.

Non aveva idea a chi o a cosa si riferisse, ma sapeva nell’animo che doveva prestarle attenzione, che doveva onorare la sua promessa.

Quando fosse arrivato il momento, avrebbe compreso le parole di sua sorella.

Ne era certo.

I miracoli, a volte, bussano alla porta

Scully stava spalmando una dose generosa di marmellata di ciliegie sopra una fetta di pane tostato, mentre Mulder versava del caffè bollente nelle tazze di entrambi.

Si era concessa il lusso di una colazione abbondante e lenta, perché nell’ultimo mese la sua vita si era rivelata troppo frenetica.

Erano passate 4 settimane da quando il Presidente aveva annunciato l’arrivo negli ospedali del vaccino e da allora lei era costantemente al lavoro.

Però era soddisfatta del numero di persone che si stavano vaccinando. Le cifre erano davvero alte e nel resto del mondo la situazione era la medesima. Per uno strano gioco del destino, erano proprio i paesi più poveri, come l’Africa, quelli che stavano rispondendo con entusiasmo e fiducia a quella protezione dal male.

Alcuni paesi “civilizzati”, invece, avevano la tendenza ad essere scettici e diffidenti nei confronti di una malattia ricomparsa così improvvisamente. Alcuni governi, probabilmente quelli che non avevano apprezzato il volta faccia del Presidente degli Stati Uniti, stavano conducendo una controproducente campagna anti vaccino. Incoraggiavano le folle a diffidare di un medicinale di cui non si era mai sentito parlare prima, nonché di una malattia ricomparsa così misteriosamente.

Non che avessero tutti i torti. Se la gente avesse prestato più attenzione alle parole del Presidente, avrebbe percepito alcune note stonate nel discorso, passaggi che non tornavano, anelli mancanti di una catena di paura.

Ma la gente, per istinto di sopravvivenza –o forse per abitudine a non prestare attenzione- aveva dato per scontato che tutto questo fosse stato fatto per loro, per la loro sicurezza e basta, senza interrogarsi su faccende che reputavano futili o non a loro collegate direttamente.

Il paese che aveva dato più filo da torcere alla storia della malattia antica e mortale era stata l’Italia.

Il suo governatore, che non era mai andato molto d’accordo con l’attuale Presidente americano, aveva subodorato la falsità della sua storiella e aveva agito di conseguenza, fomentando il suo popolo a diffidare dall’iniettarsi sotto la cute un liquido di cui non conoscevano l’esatta natura.

Molto probabilmente, il Primo Ministro italiano, che era, invece, molto legato al precedente Presidente degli Stati Uniti, stava continuando a lavorare per i super soldati, fregandosene altamente della sicurezza e della vita del suo popolo.

Fortunatamente non tutti gli italiani gli avevano prestato ascolto, e una buona parte di loro aveva voltato le spalle alle parole di uomo di cui, molto probabilmente, non si fidavano. Purtroppo non erano la maggioranza.

Mulder, invece, passava gran parte delle giornate assieme a Skinner, a studiare incartamenti e foto di Mount Weather. Due volte erano riusciti, grazie a tecniche degne di un hacker (suggerite loro dal trio incorporeo formato dai Lone Gunmen), a rubare foto e video satellitari del presidio. La prima volta avevano notato movimenti piuttosto concitati e sospetti. Si aveva quasi l’impressione che gli occupanti del posto si stessero preparando alla fuga, ma la volta successiva il luogo era ancora ampiamente abitato.

Di sicuro stavano tramando qualcosa…

Probabilmente il volta faccia del Presidente era stato un duro colpo e ora i super soldati, che fungevano, almeno secondo il pensiero di Mulder, da guardie del corpo al progetto di invasione aliena, stavano sicuramente escogitando qualche piano alternativo, nonché qualche ritorsione ai danni del Presidente, degli altri governatori che gli avevano dimostrato fiducia e dell’umanità intera.

Ma fino a quel giorno, non era ancora accaduto nulla di eclatante. E Mulder era certo che la loro ripicca sarebbe stata qualcosa di memorabile.

Doggett e Reyes continuavano la loro esplorazione nel New Mexico, tenendosi giornalmente in contatto con Mulder e Scully.

Avevano individuato un sito che corrispondeva alle loro esigenze.

Era uno spazio di svariate miglia, formato da una serie di cunicoli e grotte naturali, ai piedi di collinette aride e rossicce. Tutto quel paesaggio naturale era pieno di magnetite.

Non erano ancora riusciti a trovare Gibson Praise, ma non demordevano.

Se volevano escogitare un modo per sterminare i super soldati, quel ragazzo avrebbe fatto loro estremamente comodo.

Mancavano due settimane e mezza alla data fatidica… era un sabato… il loro tempo scarseggiava, ma non si volevano dare per vinti. Non l’avrebbero fatto, mai.

Mentre Mulder stava sorseggiando il caffè, allontanando in fretta la tazzina dalle labbra, perché la bevanda era bollente, il campanello di casa suonò tre volte consecutive.

Scully lo guardò stupefatta.

Era presto, e non aspettavano nessuno.

Mulder fece per alzarsi, ma Scully gli posò una mano sul braccio e si alzò da tavola.

Quando aprì la porta il suo cuore perse un battito.

 

Gli occhi disorientati e spaventati di un ragazzino dall’aria sveglia si guardavano intorno, senza sosta.

Era alto quasi quanto lei, magro. Le sue iridi erano di un blu intenso e i suoi capelli castani erano brillanti, ma molto scompigliati. L’aria fredda di quella mattina di inizio dicembre non aiutava certo a mantenerli in ordine.

Indossava un paio di jeans di un blu scuro e un paio di stivaletti Converse All Star, del modello invernale che andava in voga quell’anno. La giacca a vento, rosso fuoco, era chiusa con la cerniera fino al mento, dove si intravedeva una sciarpa nera di lana.

Il ragazzino fissò i suoi occhi in quelli di Scully e la guardò senza capire. Il suo sguardo era perso, smarrito. Appariva quasi sull’orlo delle lacrime.

Scully cercò di ripescare un po’ di aria nei polmoni.

“William…” sussurrò al ragazzino.

Questi la guardò sbarrando gli enormi occhi blu.

“Come… come…” ma non riuscì a terminare la frase.

Scully lo vide barcollare e accasciarsi al suolo, privo di sensi, come fosse al rallentatore.

Fece in tempo ad afferrarlo per le ascelle, prima che toccasse il suolo, ma si rese conto che non riusciva a sostenerne il peso, men che meno a trascinarlo in casa.

“Mulder!” gridò. Nel tono della voce c’era tutta l’urgenza e lo spavento tipici di situazioni così inaspettate ed emotive.

Mulder corse alla porta e rimase interdetto vedendola sorreggere il corpo di un ragazzino di circa 12 anni.

“Aiutami a portarlo dentro” gli ordinò in tono perentorio.

Mulder obbedì, senza prestare troppa attenzione alla fisionomia del ragazzo.

La aiutò a sollevarlo e insieme lo portarono in casa, dove lo adagiarono sul divano.

Solo in quel momento, mentre era sdraiato, con gli occhi chiusi, si accorse che nei suoi tratti c’era qualcosa di familiare. I capelli erano dello stesso identico colore dei suoi e i tratti del viso assomigliavano al viso di bambina di sua sorella.

Vide Scully avvicinarsi, per accertarsi del suo stato fisico.

Gli sollevò una palpebra, per controllare la dilatazione della pupilla.

Quando Mulder vide il blu delle sue iridi, capì.

“William?!”. Disse quel nome a bassa voce, con un fervore controllato, ma quasi reverenziale. Una nota sbalordita nel tono.

Scully si voltò a guardarlo, gli occhi colmi di lacrime che stava disperatamente cercando di ricacciare indietro. Annuì semplicemente.

“Che è successo?” le chiese con ansia.

Lei scosse il capo, asciugandosi le lacrime che le stavano scorrendo sulle guance.

“Non lo so… me lo sono ritrovata di fronte… poi è svenuto”. Un singhiozzo le scosse il petto. “Sembrava del tutto confuso, disorientato… e spaventato. Ho pronunciato il suo nome… poi si è accasciato al suolo… Mulder…”.

Pronunciò il suo nome come una preghiera.

Lo stava implorando di darle una spiegazione, di trovare un senso alla presenza di loro figlio in quella casa, dopo tanti anni. Di sostenerla, perché lei stava per crollare.

Ma Mulder non rispose, né si mosse. Era completamente spiazzato.

Le braccia erano abbandonate lungo il busto, il suo corpo era immobile, quasi sotto shock, gli occhi non riuscivano a capacitarsi che loro figlio, quel bambino tanto agognato e tanto pianto, quel miracolo vivente, quella gioia inattesa, fosse lì, davanti a loro.

Mosse istintivamente una mano a toccargli il viso, mentre Scully si sedeva sul bordo del divano e gli accarezzava i capelli. Rapita.

“Perché?...” il suono le uscì spezzato dalle labbra, come non riuscisse a trovare abbastanza aria o abbastanza energia per pronunciare quella singola domanda disperata.

Mulder scosse la testa.

Senza volerlo, il tocco della sua mano registrò la levigatezza e la morbidezza della pelle sulla guancia di William. Gli ricordò molto la sensazione che provava ogni volta che toccava la pelle di Scully.

Era bellissimo.

Mentre rifletteva su queste cose senza senso in quegli istanti infiniti, il corpo di William si mosse.

Scully si mise subito all’erta, asciugandosi velocemente le lacrime che continuavano a scendere. Non voleva che lui la vedesse piangere non appena avesse aperto gli occhi.

Mulder le si sedette in fianco, afflosciando il cuscino del divano sotto il suo peso.

William aprì gli occhi molto lentamente, poi sbatté le palpebre alcune volte e si guardò intorno, disorientato. Quando vide Mulder e Scully, che gli stavano sorridendo dolcemente, aggrottò le sopracciglia.

“Dove sono?”.

Parlò con una voce ancora acerba, ma che racchiudeva in sé già le prime note di un tono più adulto, mascolino.

“Sei al sicuro…”. Scully sentì le sue stesse parole scivolarle dalle labbra. Le sembrarono inappropriate, ma allo stesso tempo estremamente giuste.

Era con i suoi genitori, era al suo posto, quel posto che gli spettava di diritto. Quale situazione poteva essere più sicura? Ma Scully sapeva per esperienza che le cose non stavano esattamente in quel modo… in quel frangente più che mai.

“Hai bussato alla nostra porta… come sei arrivato fin qui?” Mulder parlò con un tono di voce baso, tranquillizzante.

William li osservò per qualche istante.

Poi cercò di mettersi a sedere.

Scully allungò le mani, per aiutarlo, ma lui gliele allontanò, con un gesto timido, ma che sottintendeva la sua volontà di farcela da solo.

Si portò le ginocchia al petto e chiuse gli occhi, espirando rumorosamente. Poi prese a mordicchiarsi nervosamente il labbro inferiore.

Mulder sorrise. Quante volte aveva visto Scully fare lo stesso gesto…

“Io non so cosa mi sia successo…”. William prese a parlare ininterrottamente, come se avesse di fermarsi, come se le parole gli potessero far accettare più tranquillamente quello che gli era successo.

Mulder e Scully lo lasciarono parlare, in silenzio.

“Stavo per prendere l’autobus che mi avrebbe riportato a casa, dopo la scuola, ma ho sentito un bisogno pressante… non potevo ignorarlo… e mi diceva di allontanarmi dal marciapiede, di raggiungere la stazione dei treni, di prendere il diretto per Washington DC… e così ho fatto.

Avevo con me dei soldi, fortunatamente sono bastati per il biglietto… di sola andata… non so perché.

Il treno ha impiegato 14 ore ad arrivare a destinazione, perché ad un certo punto abbiamo trovato un cumulo di neve che impediva di proseguire. Abbiamo dovuto aspettare che arrivasse lo spazzaneve e che liberasse le rotaie, ma poi ha ricominciato a nevicare…

Io ho cercato di dormire, ma c’era sempre qualche rumore, qualche movimento che mi svegliava.

E’ come se io avessi percorso tutti quei chilometri in trance, nulla contava, se non il bisogno di arrivare qui.

Quando il treno è arrivato a destinazione, ho raggiunto la stazione degli autobus più vicina, chiedendo indicazioni ai passanti.

Sono sceso alla fermata che c’è a pochi metri da qui… e poi ho bussato alla vostra porta…”.

Alzò gli occhi a guardarli.

“Sapevo che ero arrivato, che ero nel posto giusto… ma non appena lei è venuta ad aprire, la sensazione mi ha abbandonato e mi sono ritrovato completamente spaesato…”.

Aggrottò le fronte, guardando Scully.

“Come conosci il mio nome?”.

Scully gli rivolse un sorriso stanco, poi guardò Mulder.

Senza dirsi una parola ritennero corretto dirgli la verità. Forse non avevano nemmeno altre possibilità…

“Prima permettimi di farti una domanda…” gli disse Scully con una voce gentile “Dove vivi?”.

“A Shepherd, uno sperduto paese nel Montana. Io e i miei genitori ci siamo trasferiti là circa 7 anni fa…”.

Quando sentirono William pronunciare la parola genitori, Mulder e Scully ebbero un tuffo al cuore.

“Accidenti!” esclamò subito dopo William. “Non sono rientrato a casa! Saranno fuori di testa!!!”.

Si frugò nelle tasche con urgenza, estrasse il cellulare e si accorse che era spento. Lo accese, ma non appena il display si illuminò, il simbolo della batteria iniziò a lampeggiare ansiosamente e il telefonino si spense di nuovo.

“Merda!”. William lo scosse tra le mani, con un’espressione di stizza.

Mulder e Scully non riuscirono a trattenere un sorrisetto divertito alla parolaccia pronunciata dal bambino. Ma allo stesso tempo si resero conto che avrebbero preferito non sentirgliela pronunciare.

Mulder si alzò e prese il suo Blackberry dal tavolino. Glielo tese con un sorriso.

“Chiamali con questo”.

William gli sorrise in risposta. Il suo volto sembrava l’immagine allo specchio del viso di Mulder.

A Scully mancò l’ennesimo battito del cuore.

“Grazie” disse componendo il numero “Saranno preoccupatissimi…”.

Si portò il telefonino all’orecchio e attese, in silenzio.

Poco dopo le sue sopracciglia si aggrottarono, perplesse.

“Strano… non rispondono…”.

“Li hai chiamati a casa?”.

“No, sul cellulare, non abbiamo un telefono di casa fisso”.

Restituì il cellulare a Mulder e sbuffò sonoramente.

“Mi sembra di essere approdato in una realtà parallela…”.

Scully gli sorrise, comprensiva.

“William… i tuoi genitori… hanno altri figli?”. Cercò di arrivare a dirgli come stavano le cose nel modo meno traumatico possibile. Non sapeva se lui era al corrente del fatto che era stato adottato quando aveva circa un anno.

William scosse il capo.

“No. Purtroppo non possono avere figli. Io sono stato adottato” fece spallucce “Non me l’hanno mai tenuto nascosto”.

Scully sentì il sollievo invaderle lo stomaco.

Sentì anche la mano di Mulder posarsi sulla sua spalla, per incoraggiarla a dirgli chi erano.

Lei posò la sua mano, ghiacciata e sudata, su quella del compagno.

“Non hai mai saputo chi sono i tuoi veri genitori?”.

William scosse nuovamente il capo.

“No. Mamma e papà mi hanno sempre detto che la mia madre biologica ha dovuto darmi in adozione, ma senza dire il motivo…”.

Scully lo guardò. Sentì altre lacrime addensarsi dentro gli occhi.

“Mi sono chiesto spesso il motivo…”. William abbassò lo sguardo e si perse per un attimo in pensieri ai quali Mulder e Scully avrebbero tanto voluto poter accedere.

Un dolore antico e mai dimenticato prese nuovamente possesso del loro petto, quando si resero conto che, se fossero stati loro a crescerlo, probabilmente conoscerebbero ogni singolo pensiero inespresso del ragazzo.

Quando William rialzò lo sguardo, il sorriso che gli illuminava il volto andò spegnendosi gradatamente, quando incontrò lo sguardo disperato di Scully. Alzò gli occhi verso Mulder e vi notò la stessa opprimente tristezza.

Ebbe l’impulso inaspettato di abbracciare quelle due persone e di consolarle, ma resistette a quel desiderio, dicendosi che non li conosceva, che non aveva senso sentire pena nei loro confronti.

“William…” Scully lo fissò negli occhi con estrema attenzione. “Quello che ti diremo ora non sarà semplice da accettare… ma ti preghiamo di credere che è la verità… e ti prego, ti scongiuro, di perdonarmi…”.

William osservò quella bella signora senza comprendere le sue parole, ma annuì ugualmente, perché, in cuor suo, sentiva che era giusto così.

“Noi… “ Scully prese un profondo respiro, e sentì le dita di Mulder stringersi sulla sua spalla.

“Noi siamo i tuoi genitori biologici… siamo noi…”. Le parole si confusero con le lacrime e il viso di William apparve sfuocato ai suoi occhi.

Mulder si sedette ai piedi del ragazzo, annuendo.

“E’ così…” aggiunse, con un sorriso che chiedeva perdono sulle labbra.

William li osservò per un tempo infinito, senza battere ciglio. Sembrava stesse valutando la situazione.

All’improvviso i suoi occhi si spalancarono e si batté una mano sulla fronte, ridendo sommessamente.

“Ma certo! Ecco perché sono arrivato fin qui! Come ho fatto a non arrivarci subito… quando hai detto il mio nome sulla porta, questa fretta di arrivare… è ovvio…”.

Mulder e Scully si guardarono, uno sguardo interrogativo solcava i loro volti.

Ovvio? Erano spiazzati dalle parole di William, e ancora di più dalla sua reazione, per nulla scioccata… sembrava quasi… sollevato.

William sorrise a entrambi, un sorriso caldo, aperto, senza ombre.

“Sono contento di conoscervi! Vi ho immaginati spesso…”.

Scully si sentì invadere da una gioia talmente forte e travolgente che il pavimento smise di esistere sotto i suoi piedi. Attorno a lei tutto iniziò a svanire.

Rimasero solo lei, Mulder e William.

La sua famiglia.

Vedendo che i suoi genitori non accennavano a muovere un muscolo, né a pronunciare nessuna parola, sventolò davanti ai loro occhi una mano.

“Ciao! Ci siete???”. La sua voce da ragazzino non nascose una nota ironica, quasi da presa in giro.

Mulder gli sorrise.

“Scusaci… è che siamo un po’ spiazzati da tutto… questo” fece un gesto ampio con il braccio.

“Trovarti qui, dopo 12 anni in cui non sapevamo nemmeno dove fossi, se stavi bene, come vivevi… e ora sei qui… e poi la tua calma…

Sei così tranquillo, e sereno… ci aspettavamo una reazione un po’ più … isterica!”.

William rise, divertito.

Il suono cristallino della sua risata sincera si perse nella stanza, riempiendo l’aria  di una ilarità, di una spensieratezza e di una buona dose di innocenza, che non sentivano più da molti mesi.

“Sono davvero felice di conoscervi” disse William, dopo aver smesso di ridere “E sono anche sollevato all’idea che il mio viaggio avesse un senso compiuto”.

Scully guardò Mulder di sottecchi.

“Ti è capitato altre volte di avere queste… chiamiamole sensazioni?” gli chiese in tono pacato.

“Due o tre volte…”. Alzò gli occhi verso il soffitto, con lo sguardo perso in chissà quali ricordi.

“Ricordo quella volta che il mio cane, Toby -come quello di Red e Toby, nemiciamici- si era cacciato nei guai, andando a fare amicizia con la cagnetta dei vicini… ho avuto una netta visione di un bastone che gli calava con violenza sulla schiena… mi sono precipitato dal vicino, e l’ho bloccato appena in tempo, prima che riuscisse a picchiare il mio cane… poi l’ho pure denunciato… è saltato fuori che picchiava la sua cagnolina… che abbiamo poi adottato”. Sorrise, ricordando i suoi cani.

“Sono rimasti a casa con i tuoi… genitori?” gli chiese Mulder, dimostrando interesse per la vita sconosciuta di suo figlio.

William scosse la testa, un’ombra di tristezza gli attraversò il volto da ragazzino.

“Purtroppo l’anno scorso sono morti entrambi di una malattia che ha colpito molti animali nella zona… non l’ho mai detto a nessuno… ma ho passato ore e ore in camera a piangere…”.

Scully si sentì invadere il cuore di tenerezza. E di orgoglio. Li aveva reputati degni di conoscere quella che lui considerava una debolezza. Poi, però, sul suo petto, scese un’ombra di rammarico… Probabilmente non lo aveva detto perché li riteneva meritevoli di conoscere i suoi segreti, ma perché, essendo due estranei, non si preoccupava troppo del loro giudizio.

Mulder non replicò a questa piccola confessione, sapeva per certo che cercare di consolarlo, o di dirgli che non c’era nulla di male a piangere, l’avrebbe fatto sentire debole.

“Oh…” disse dopo un po’ William, “Poi c’è stata quella volta in cui…”.

Ma non terminò la frase.

I suoi si fecero vacui e l’espressione sembrò pietrificarsi in uno sguardo vuoto, inespressivo.

Scully si sentì mancare vedendolo così, quasi fosse privo di vita.

Il suo spavento le fece allungare le braccia verso di lui, per scuoterlo, per farlo riprendere, per accertarsi che fosse vivo, che stesse bene, ma le mani di Mulder arrivarono, repentine, a bloccarla.

Lei lo guardò con gli occhi spalancati, sul suo volto passò una muta domanda disperata. Aprì la bocca per protestare contro quel gesto incomprensibile, ma lui le fece cenno di tacere, portandole una mano sulle labbra.

Si avvicinò al suo orecchio.

“Sta bene… lascialo tranquillo”.

Lei continuò a guardarlo con gli occhi sbarrati, un velo di rabbia oscurava le sue pupille.

Mulder le accarezzò i capelli, per tranquillizzarla, ma lei si scostò dal suo tocco, con un movimento repentino e stizzito.

“Perché? “ disse a voce bassissima.

“Secondo me sta avendo una visione… o sensazione… come la vuoi chiamare”.

Scully lo osservò per qualche istante, le sopracciglia aggrottate, poi fissò lo sguardo sul volto di suo figlio.

Effettivamente non sembrava stare male. Respirava normalmente, il suo corpo emanava calore, ma vederlo così immobile, con lo sguardo fisso, le metteva addosso una strana angoscia. E non le piaceva affatto.

Sia lei che Mulder rimasero fermi a guardarlo, per un tempo che le parve infinito.

Quando William riprese a muoversi, emettendo un lungo respiro, e i suoi occhi riconquistarono la loro naturale vitalità, entrambi si rilassarono visibilmente.

Ma il sollievo durò una frazione di secondo. Lo sguardo del ragazzo non prometteva nessuna lieta notizia.

“Ho visto immagini confuse… ma… non mi era mai capitato di avere sensazioni così intense…”. Poi si voltò verso Mulder e gli strinse le dita della mano destra sul braccio.

“Dovete spiegarmi ogni cosa… tutto… ma prima, ti prego, cerca di rintracciare i miei genitori… li ho visti scappare, avevano paura, più per me che per loro stessi… ho visto un’immagine confusa, troppo veloce per focalizzarla, della mia casa. Era tutta sottosopra…”.

Mulder annegò nel dolore che si agitava come un mare in tempesta negli occhi di William.

Gli fece un cenno secco d’assenso col capo e si alzò in piedi.

“Qual è il nome dei tuoi genitori?” chiese perentorio.

“Van De Kamp. Eleonor e Mark Van De Kamp”.

Prese il cellulare e si diresse verso l’altra stanza.

Aveva un’idea.

 

Il suono monotono della linea telefonica gli rimbombava nell’orecchio come un fastidioso orologio a cucù. Quando infine la voce di Doggett giunse dall’altro capo del telefono, gli parve d’aver atteso quella risposta per secoli.

“John, sono Mulder”.

“Problemi?”

“Temo di sì… tu e Monica dovete farmi un favore grandissimo”. Non dette il tempo al suo interlocutore di replicare. “Prendete il primo aereo che trovate per il Montana. Arrivate in un piccolo paese chiamato Shepherd e cercate casa Van De Kamp. E’ urgente”.

Doggett provò a protestare, pur sapendo che sarebbe stato inutile.

“E il nostro compito qui?”.

“Rimandato. Questa faccenda ha la massima priorità”.

“Posso almeno sapere perché?” Doggett fece l’ultimo tentativo per avere informazioni.

“Si… è la casa dei genitori adottivi di William”.

Violazione di domicilio

John Doggett stava guidando l’auto a noleggio lungo le strade deserte dello stato del Montana. La luna piena illuminava una notte buia, senza luci artificiali.

Al suo fianco, Monica se ne stava in silenzio, la testa poggiata contro il finestrino, gli occhi chiusi.

John non seppe dire se stava dormendo o meno, ma preferì non parlare per non disturbarla.

Lui aveva avuto modo di riposare durante il volo dal New Mexico al Montana.

La conversazione avuta con Mulder, la sua voce rauca per via della pessima ricezione dei telefonini, gli risuonava ancora nella memoria, così chiara che gli pareva di essere ancora nel deserto. Risentiva le loro parole, rivedeva lo sguardo incuriosito di Monica di fronte alla sua espressione di stupore, percepiva ancora il tocco della sua mano calda sul braccio, a scuoterlo per avere notizie.

“E’ la casa dei genitori adottivi di William…”

“Cosa?! E tu come lo sai?”

“William ha bussato alla nostra porta questa mattina presto… è difficile da spiegare, ma… è come avesse delle sensazioni che lo guidano in diverse direzioni… ci ha trovati, senza sapere nemmeno chi eravamo… e poco fa ha detto di aver visto i suoi genitori fuggire, spaventati, la sua casa sottosopra… Vi prego, andate là e accertatevi che stiano bene… chiamatemi non appena avrete notizie. A qualsiasi ora”.

Contrariamente alle aspettative, lui e Monica non avevano discusso molto di questa svolta nella vita di Mulder e Scully (e di conseguenza nella loro). Il ritorno di William aveva sconvolto la loro esile e ingarbugliata routine alla ricerca di magnetite e di Gibson.

Avevano speso poche parole per esternare il loro stupore dinnanzi questa svolta inaspettata, si erano interrogati sull’effetto emotivo e psicologico che il suo ritorno poteva aver provocato in Mulder e Scully, concordando sull’idea che, probabilmente, combattevano tra la gioia e l’angoscia.

Se William ero ritornato, proprio ora, proprio in quel preciso momento storico, trovando la loro casa e la loro vita in comune senza sapere nemmeno chi stesse cercando, un motivo c’era, e di certo Mulder l’aveva già intuito.

I poteri di cui disponeva il bambino, quegli strani fenomeni che succedevano attorno al suo corpicino di neonato, ai quali Monica aveva assistito in prima persona, probabilmente si erano risvegliati –o forse non erano mai scomparsi del tutto, malgrado le rassicurazioni di Spender- e ora, molto probabilmente, il suo destino, quello che era stato scelto per lui, prima ancora che nascesse, si stava compiendo, inesorabile.

John allungò il viso verso il parabrezza e rallentò l’andatura dell’auto.

Il cartello bianco indicava che stavano per entrare nella proprietà privata dei Van De Kamp.

“Monica, siamo arrivati”. Parlò a bassa voce, per non spaventarla in caso stesse davvero dormendo.

Lei si girò verso di lui, due profonde occhiaie le incorniciavano i begli occhi scuri.

E in un attimo lui ripiombò con la mente a due sere prima.

 

Erano le 10 passate, quando John sentì bussare alla porta.

Posò il malloppo di fogli e cartine geografiche che stava studiando e andò ad aprire.

Fuori soffiava un vento caldo, il cielo era costellato di stelle e la notte portava con sé profumi e aromi che raccontavano storie antiche e surreali.

Il volto sorridente di Monica si incastrava in quel paesaggio da Mille e una Notte come se vi fosse sempre appartenuta. Bellissima, sensuale e misteriosa.

Gli tese una bottiglia di birra ghiacciata e gli fece segno di uscire.

John la seguì all’esterno del motel e si sedette in fianco a lei sul marmo grezzo di una piccola fontana posta al centro del cortile.

Fecero tintinnare le loro bottiglie di birra e sorseggiarono il freddo liquido, dal gusto intenso, lentamente, facendolo scivolare sulla lingua e sul palato, godendosi le note amare e alcoliche che il luppolo portava con sé.

Chiacchierarono con parole frivole, risero di racconti passati, ricordarono momenti trascorsi assieme, senza malinconia, senza malizia, ma con la voglia di condividere pensieri e sensazioni.

John non seppe dire come, né perché, né cosa li spinse a farlo, ma all’improvviso, le sue labbra sottili e disilluse si ritrovarono premute contro quelle morbide e promettenti di Monica.

Sulla sua lingua percepiva il gusto intenso della birra, oltre a un sapore più dolce, più femminile, che corrispondeva perfettamente all’essenza di lei.

La sua mano si fece rapidamente strada sotto la sottile maglietta, percependo il calore e il velluto della pelle di Monica. La sua schiena si inarcò al suo tocco, mentre la lingua intrecciava giochi appassionati con la sua.

Senza interrompere il contatto, si spostarono in camera da letto di Monica.

La magia della quale si erano inconsapevolmente ritrovati a far parte, li prese nel suo vortice di scintille, di stelle, di fuochi d’artificio.

Emozioni e sensazioni seppellite da molto tempo nei loro cuori trovarono la strada per uscire e scontrarsi con la realtà, abbattendo i muri della paura, dell’angoscia, del dolore.

Si amarono senza riserve, senza domande, senza pretese.

Quando, appagati e sfiniti, si addormentarono abbracciati, una nuova consapevolezza li travolse.

La consapevolezza che potevano essere le ultime occasioni per regalarsi qualche bagliore di felicità. Avevano sopportato troppa solitudine nella loro vita, troppe rinunce.

Ora non c’era più ragione per negarsi il piacere, fosse questo di natura fisica, mentale o sentimentale.

 

Scendendo dall’auto, cercarono di abituare gli occhi all’oscurità circostante.

Monica tastò la tasca del suo giubbotto, dove una pietra estremamente appuntita attendeva. L’aveva raccolta dal sito zeppo di magnetite che avevano trovato quella stessa mattina poche miglia più in là del canyon nel quale avevano lavorato per giorni e giorni.

Non seppe perché aveva raccolto quella pietra, ma era abituata a fidarsi del proprio istinto e delle proprie sensazioni, e quella pietra l’aveva chiamata a sé subito dopo la telefonata di Mulder.

Non appena le pupille si adattarono all’oscurità, John e Monica si resero immediatamente conto che qualcosa non andava.

Misero mano alla pistola e si avvicinarono alla casa.

John, dopo aver lasciato l’FBI, aveva deciso di diventare un investigatore privato, non di quelli da scappatelle matrimoniali, ma di quelli alla Philip Marlowe, che non si muovevano senza la pistola nella fondina. In quel momento ringraziò il suo buon senso per aver operato quella determinata scelta di vita. Senza pistola, non sarebbe mai entrato in quella casa.

Dal canto suo, Monica continuava a lavorare al distaccamento FBI di New Orleans, e continuava a seguire i casi legati ai riti satanici, perciò la sua pistola d’ordinanza la seguiva in ogni quando e in ogni dove.

La porta della casa era spalancata e tutt’intorno regnava un silenzio irreale.

Con movimenti sincronizzati e cauti, Monica e John, entrarono in casa.

Spianarono le pistole davanti ai loro occhi e perlustrarono l’atrio con movimenti veloci e tesi.

Il silenzio irreale che si respirava all’esterno impregnava anche le mura di una casa che doveva aver assistito a risate, urla e ai rumori tipici di una famiglia con bambini.

Si guardarono per un veloce istante, annuendo impercettibilmente.

Passarono in rassegna tutte le stanze del piano terra, dove, oltre alla confusione tipica di una casa violata da qualche estraneo in cerca di qualcosa, o di qualcuno, non trovarono tracce di persone, vive o morte.

Salirono silenziosamente, uno di fianco all’altra, le scale che portavano al piano superiore.

Le camere da letto e il bagno erano ridotti nello stesso stato di disordine e oltraggio delle stanze del piano inferiore.

Dopo essersi accertati che in casa non c’era anima viva, Monica accese la luce della stanza da letto nella quale si trovava.

Era la stanza di William.

Alle pareti erano appesi diversi poster di campioni del baseball. Erano le uniche cose rimaste intatte nella camera. Il letto era ribaltato, ovunque si trovavano sparsi libri e giocattoli.

Monica percepì una sgradevole sensazione di fastidio alla bocca dello stomaco.

Qualcuno aveva osato violare la privacy di una tranquilla famiglia e questa era una cosa che non riusciva proprio a sopportare. Lo scempio che ne era stato fatto era un oltraggio alla vita di persone buone, che non avevano nessuna colpa, se non quella di aver amato un bambino dalle straordinarie capacità soprannaturali.

Si ricongiunse con John, che aveva acceso anche le luci delle altre stanze e aveva iniziato a frugare tra il disordine.

Tutta la casa trasudava ore di vita quotidiana, di pranzi e cene consumati in famiglia, di amore e fatiche, di sudore e soddisfazioni.

Su una mensola della sala da pranzo era rimasta intatta la foto dei signori Van De Kamp, che stringevano tra le braccia un piccolo bambino dagli occhi blu, che sorrideva divertito verso l’obbiettivo.

William doveva avere circa 3 anni in quella foto.

Monica si guardò attorno, poi si chinò verso il pavimento e raccolse da terra una cornice con il vetro rotto. Al suo interno faceva bella vista una foto di William in tenuta da baseball.

Doveva essere recente, perché dimostrava una decina d’anni circa.

Una lacrima scese a bagnare il vetro spezzato. Monica mosse il pollice sulla goccia, per pulire la foto di un bambino che non vedeva da anni, ma alla quale era affezionatissima.

John le si inginocchiò accanto e la prese tra le braccia. Rimasero fermi in quella posizione, fino a quando Monica non staccò la testa dal petto di Doggett, scusandosi per avergli imbrattato la giacca di lacrime.

Lui le dette un leggero bacio sulle labbra, poi la aiutò a tirarsi in piedi. E proseguirono la perlustrazione.

Fortunatamente non trovarono nessun cadavere.

Sfortunatamente non trovarono nessun indizio che indicasse loro se i coniugi Van De Kamp erano riusciti a scappare o se erano stati rapiti.

Accesero le loro torce e perlustrarono l’immenso cortile che circondava la proprietà.

John si imbatté in una serie di impronte di scarpe impresse sul fango ancora fresco.

Fece un segno a Monica e iniziarono a seguirle.

Si immedesimarono nelle tracce lasciate da quei piedi, chiaramente in fuga, tanto che iniziarono a correre anche loro, come se stessero rivivendo l’angoscia, la fretta, la paura che aveva attanagliato l’animo di quei due genitori.

Corsero per alcune miglia, poi arrivarono ad un piccolo scolo pieno di acqua melmosa.

Le impronte indicavano chiaramente che i Van De Kamp si erano buttati nell’acqua.

Provarono a setacciare l’argine del fiumiciattolo, avanti e indietro, provarono con la sponda opposta, ma senza risultato.

Avevano perso le loro tracce.

“Maledizione!” esclamò John, tirando un calcio rabbioso a una piccola montagnola fangosa, facendo schizzare terra ovunque.

Monica, le mani sui fianchi, il respiro affannoso, rifletté che era in momenti del genere che le mancava il rilassante sapore del fumo di sigaretta.

John prese il telefono cellulare dalla tasca interna della giacca e compose il numero di Mulder.

“No” la voce di Monica gli fece bloccare le dita sui tasti. La guardò interrogativamente.

“Prima è meglio se andiamo a chiedere alle forze dell’ordine della zona se sanno qualcosa. Non so da quanto tempo la casa sia in quelle condizioni, ed è anche vero che è piuttosto isolata, ma ho trovato strano che non ci fossero i nastri della polizia lungo le mura”.

John si dette dello stupido per non aver fatto caso all’assenza di segni che potevano far capire che la polizia era stata a casa Van De Kamp. Rimise il telefonino in tasca e fece un segno a Monica.

“Hai ragione. Andiamo”.

Vecchi amici

John spense il motore dell’auto davanti a una costruzione squadrata e grigia, che ricordava molto una caserma militare.

Avevano dovuto spostarsi in un paese distante poche miglia da Shepherd per trovare la stazione di polizia.

Dall’edificio non proveniva nessuna luce e la cosa non stupì Monica e John. Provarono a suonare, ma dall’interno non giunse alcuna risposta.

Con una smorfia contrariata e un’imprecazione che sgusciò malignamente dalla labbra di John, rimontarono in auto e decisero di attendere l’arrivo del capo della polizia, o chi per lui, cercando di dormire o almeno di recuperare le forze.

Evidentemente, quella era una zona poco incline al crimine, per quel motivo non era possibile reperire nessuna forza dell’ordine nel cuore della notte. Loro erano troppo abituati alle vicissitudini criminali di grandi città, dove chi lavorava al servizio della sicurezza delle persone non aveva orari.

Il raggio di un debole sole invernale picchiettò impaziente al vetro del finestrino, dove i corti capelli di Monica erano appoggiati. Sbatté le palpebre alcune volte, poi si massaggiò il collo, dolorante per la scomoda posizione assunta per ore.

Sperando ardentemente di sentire il calore e il vigore di un caffè bollente scivolarle nello stomaco, scosse la spalla di John, addormentato con il capo appoggiato al poggiatesta dl sedile, leggermente reclinato all’indietro.

John grugnì per un momento, cambiò leggermente posizione, ma non si svegliò.

Monica sorrise teneramente.

Si sporse e gli dette un bacio a fior di labbra, percependo il profumo della sua pelle e la barba ispida del mattino.

John sbatté le palpebre e, quando l’ebbe messa a fuoco, le sorrise con un gesto sonnolento.

Notando che alla stazione di polizia non era ancora arrivato nessuno, andarono a fare colazione in un piccolo bar che si trovava a pochi passi dalla grigia costruzione.

Mentre stavano sorseggiando il loro caffè, il capo della polizia entrò nel bar salutando con il cappello i pochi avventori che, riuniti in un angolo, giocavano a carte.

Era un uomo dall’aria ingenua, di circa 60 anni. Folti capelli grigiastri incorniciavano un volto smunto e rugoso. I baffi erano compatti e ben curati e gli occhi testimoniavano una vita di lavoro sedentario e monotonia.

Quando si accorse di John e Monica li osservò per qualche istante, un’espressione incuriosita sul volto, poi rivolse loro un saluto formale. Evidentemente non erano molto abituati a ricevere forestieri da quelle parti.

John fece un cenno del capo in direzione del poliziotto, poi si rivolse a Monica.

“Meglio se ti presenti tu, che hai ancora in tasca un tesserino dell’FBI”.

“D’accordo… Sherlock Holmes…” lo prese in giro, dirigendosi verso il capo della polizia.

“Buongiorno” gli disse, estraendo il tesserino dalla tasca della giacca “Sono Monica Reyes, FBI. Lui è John Doggett” e indicò il suo partner “La stavamo aspettando, dobbiamo farle alcune domande”.

L’uomo osservò il tesserino, poi le sorrise, allungando una mano verso di lei.

“Io mi chiamo Edward Ward. Cosa posso fare per voi?”.

“Le dispiace se ne parliamo in un posto più… adatto?”.

Ward scosse la testa.

“Nessun problema”.

Pagò il suo caffè e offrì la colazione ai due forestieri, poi li guidò verso la stazione di polizia.

Uscendo, a John parve di vedere la sagoma, in controluce, di qualcuno che li osservava, ma poi, quando cercò di ripararsi gli occhi dal riverbero del sole, non vide più nessuno.

Pensò fosse colpa della notte pressoché insonne che aveva trascorso in auto.

Entrando nella stazione di polizia, lui e Monica notarono subito che l’ambiente era piccolo e molto disordinato, come si conviene ad un paese di piccole dimensioni e dai pochi abitanti.

Ward li fece accomodare su due sedie poste di fronte a quella che doveva essere la sua scrivania e unì le mani davanti allo stomaco, guardandoli, in attesa.

“Veniamo subito al dunque” esordì John “Ha avuto qualche notizia della famiglia Van De Kamp nelle ultime ore? Abitano a Shepherd, poche miglia da qui…”.

Ward annuì, pensieroso.

“Si, li conosco bene. Si sono trasferiti da queste parti circa 7 anni fa.

Mark Van De Kamp mi ha telefonato ieri, verso le 5 del pomeriggio, dicendomi che il figlio, William, non era rientrato da scuola. Il pulmino aveva riportato a casa il figlio dei Torres –la famiglia che abita a poche miglia da loro- ma non c’era traccia di William. L’avevo sentito piuttosto sconvolto, e lo potevo pure capire. William è la loro ragione di vita.

Mi ero messo subito a contattare la scuola, per avere notizie del ragazzino, ma dopo neanche mezzora, Mark ha telefonato di nuovo, dicendo che il figlio era tornato a casa sano e salvo. Aveva perso la corriera e si era fatto dare un passaggio da un amichetto.

Ero sollevato, ovviamente, ed ero contento per loro”. Fece una pausa, vedendo che l’agente dell’FBI e il suo compagno si scambiavano un’occhiata perplessa.

“Perché li cercate?” chiese, più incuriosito che preoccupato.

“Signor Ward, noi siamo stati questa notte a casa dei Van De Kamp e non abbiamo trovato nessuno, tranne la porta spalancata e un disordine che può essere stato provocato solo da ladri… o da qualche persona che comunque voleva nuocere a quella famiglia”.

Edward Ward assunse un’espressione stupefatta. Poi aggrottò le sopracciglia, preoccupato.

“Siete sicuri?” chiese, pur conoscendo già la risposta affermativa.

Monica annuì. “E possiamo anche dirle per certo che William non può essere tornato a casa, perché da ieri mattina, il bambino si trova, al sicuro, a casa di alcuni nostri colleghi”.

“State scherzando? E come c’è arrivato?”.

“Questa è una cosa strana… William ha preso il treno e li ha raggiunti di sua spontanea iniziativa”.

Ward si appoggiò contro lo schienale della sua sedia imbottita.

“Mi lasciate letteralmente senza parole…”.

Monica e John si scambiarono un’occhiata.

“Che ne dice di andare a dare un’occhiata alla residenza dei Van De Kamp?” propose Doggett.

Il poliziotto assentì, lo sguardo perso e preoccupato.

 

Ward si tolse il cappello e si passò una mano tra i capelli, perplesso e innervosito.

Monica e John gli avevano mostrato lo scempio a casa Van De Kamp e le tracce che si perdevano nello scolo, poco lontano.

Un rigurgito acido gli salì in bocca, quando si rese conto che Mark ed Eleonor potevano essere morti.

Mentre si dirigevano di nuovo verso la casa (Ward stava chiamando i suoi supposti per fare i rilievi del caso) un rumore di vetri infranti attirò la loro attenzione.

Si misero a correre e quello che si presentò davanti ai loro occhi quando arrivarono alla dimora, fece mancare alcuni battiti del cuore a Edward.

Mark Van De Kamp, sulla soglia della porta, con un’espressione di rabbia sul volto, stava facendo a pezzi alcuni vasi di vetro.

Monica e John avvertirono la morsa del pericolo prendere possesso dei loro istinti. Estrassero la pistola, ma non fecero in tempo a fermare Ward, che si stava dirigendo a passo veloce verso Mark Van De Kamp.

“Aspetti!” gli urlò Monica, ma l’uomo non le prestò attenzione.

“Che cosa stai facendo?” lo sentirono chiedere, con voce sconvolta, al signor Van De Kamp.

L’uomo, invece di rispondere, si mise a correre lungo il perimetro della casa.

Monica e John scattarono immediatamente, alle calcagna di Ward, che si ero messo ad inseguire il fuggitivo.

“Fermati! Fermati!”.

Vedendo che l’uomo non accennava a fermarsi, Ward estrasse la  sua Colt dalla fondina e la puntò in alto, nel cielo.

“Fermati maledizione!!!” e sparò un colpo a vuoto.

Mark Van De Kamp si fermò immediatamente e si voltò verso Edward, che intanto gli si stava avvicinando, pistola puntata contro il suo petto.

Il sorrisetto maligno che comparve sul volto di Mark, prima che questo si trasformasse, davanti ai suoi occhi, in una persona completamente diversa, gli ghiacciò il sangue nelle vene.

Lo stupore e la paura gli fecero battere forte il cuore nel petto e, quando vide quell’uomo imponente avventarsi su di lui, istintivamente sparò tre colpi d’arma da fuoco.

Il bruciore che avvertì immediatamente agli occhi e i gemiti di dolore che iniziarono a salirgli alle labbra, gli impedirono di vedere il sangue verde che colava dal petto dell’uomo.

Monica e John assistettero terrorizzati alla scena, ma si tennero a distanza di sicurezza.

Quando, quello che ormai avevano capito essere il cacciatore di taglie alieno, cominciò ad avanzare verso di loro, fecero dietrofront e corsero verso la casa.

John si mise a frugare tra gli attrezzi da lavoro che aveva visto sparsi per terra la notte prima e prese un cacciavite dalla sommità estremamente appuntita.

Monica comprese subito quello che John voleva fare e si spaventò.

“John! Non puoi avvicinarti a lui!”.

“Scappa, fa in modo che ti segua…” gli rispose tranquillo lui “Io gli piomberò alle spalle”.

Monica fece per protestare, ma i passi strascicati del cacciatore di taglie risuonarono al di là delle pareti della casa.

Monica si mise a correre all’esterno, si voltò per assicurarsi che il cacciatore la seguisse, sparandogli qualche colpo vicino al corpo, in modo da attirarlo nella sua direzione.

Vide John uscire dalla casa, silenzioso e acquattato.

Il suo piede entrò in collisione con lo spuntone di un sasso, perse l’equilibrio e cadde rovinosamente a terra.

Quando si voltò vide la sagoma del cacciatore incombere su di lei.

Rotolò in fianco appena in tempo, prima che il corpo dell’alieno cadesse nell’esatto punto dove lei si trovava fino ad un attimo prima, e si sciogliesse, esalando il suo tossico sangue verde.

John le tese la mano e la aiutò ad alzarsi.

Si allontanarono velocemente dal corpo in decomposizione e stettero a guardare la macchia verdastra che corrodeva il terreno.

“Stai bene?” le chiese John.

Monica si massaggiò il gomito destro, trattenendo una smorfia di dolore.

John le sollevo il braccio e constatò che aveva una leggera abrasione sulla pelle, ma niente di grave. Il giubbotto e la maglia erano strappati.

“Temo dovrai rifarti il guardaroba” disse, per sdrammatizzare.

Monica gli sorrise.

“Chiamo un’ambulanza per Ward”.

Monica annuì e si incamminò verso il punto in cui il corpo privo di sensi del poliziotto giaceva immobile.

Si chinò verso di lui per accertarsi che fosse vivo. Gli tastò la vena sul collo e sentì che pulsava, seppur debolmente. Gli occhi erano contornati da pelle irritata e arrossata.

John le si avvicinò.

“L’ambulanza sta per arrivare, assieme agli uomini di Ward”.

Doggett si guardò attorno, le mani piantate sui fianchi, la pistola di nuovo nella fondina.

Al di là di un piccolo appezzamento di alberi da frutto vide di nuovo la sagoma che aveva pensato di aver immaginato fuori dal bar.

Estrasse nuovamente la pistola e la puntò in direzione del profilo.

“Esci immediatamente di lì!” gli intimò.

Monica si mise immediatamente in piedi e ripeté gli stessi movimenti di John, puntando la pistola in direzione della sagoma che si stava avvicinando a loro attraverso gli alberi.

Era una donna, giovane, sui 25 anni. Capelli biondi lunghi fino alla schiena, dritti e lucidi, carnagione bianchissima e corporatura leggermente abbondante.

Si avvicinò a loro con le mani alzate, ma sul suo volto non c’era nessuna espressione di paura. Più che altro sembrava divertita.

“Chi sei?” chiese John.

La ragazza si mise a ridere, in un modo leggermente sguaiato.

“Lo sai benissimo John… hai già incontrato qualcuno dei miei… fratelli”.

John aggrottò le sopracciglia, ma la sua curiosità fu presto soddisfatta.

Sempre tenendo le braccia alzate sopra la testa, la ragazza si voltò e dette loro le spalle. Abbassò leggermente la testa, e due escrescenze appuntite furono visibili sul suo collo.

John guardò per un attimo la pistola che stringeva tra le mani.

Se solo fossero stati in New Mexico…

Monica abbassò l’arma, si frugò in tasca ed estrasse la roccia appuntita.

Senza fermarsi a riflettere, si fece trascinare dall’istinto e prese a correre in direzione del supersoldato.

La ragazza si girò verso di lei, appena in tempo per vedersela arrivare addosso.

Monica conficcò la roccia satura di magnetite nel suo collo, esattamente nel punto dove passa la vena giugulare.

Il supersoldato gridò e la sua pelle iniziò a divenire grigia e dura, come metallo.

Ma la quantità di magnetite non era sufficiente ad ucciderla, cosa sulla quale Monica contava.

La strattonò per un braccio e la condusse da John, che la guardava con un’espressione stupefatta in volto.

“Portiamola via da qui ed interroghiamola”.

“Bella mossa!” si complimentò John, mentre raggiungevano l’auto e vi buttavano dentro la prigioniera.

Monica si sedette sul sedile posteriore, in fianco a lei, la mano saldamente ancorata alla roccia, ancora conficcata sul collo. John si mise alla guida.

Si allontanarono di qualche miglio, fermandosi in una zona nascosta tra gli alberi.

“Come ti chiami?” chiese Monica al supersoldato.

La ragazza non rispose.

Monica conficcò la roccia più a fondo nella carne, avendo cura di girarla sadicamente nella ferita.

La ragazza urlò.

“Mi chiamo…” ansimò preda del dolore “… mi chiamo Carmen”.

“Bene Carmen, cosa facevi in quella casa? E che cosa cercava il tuo amico alieno?”.

Carmen le scoccò un’occhiataccia.

“Cerchiamo il ragazzo” rispose semplicemente.

“Perché?” la incalzò Monica, nella voce un tono intriso di rabbia.

La ragazza provò a ridacchiare, ma le uscì un colpo di tosse spezzato.

“Lo sapete bene! Da quando è cominciato a circolare quel maledetto vaccino i miei capi sono sul piede di guerra…” tossì un’altra volta, con un rantolo che dette il voltastomaco a John.

“Che cosa volete da William?” Monica gridò. Il suo urlò riecheggiò tra le pareti dell’auto, rimbombando in modo fastidioso.

Carmen la guardò con uno sguardo carico d’odio. I suoi occhi neri come la pece brillavano di malvagità.

“Ucciderlo!”.

Monica estrasse lo spuntone di roccia dal collo e glielo conficcò sopra il seno sinistro.

Immediatamente il colore grigiastro della pelle del viso e del collo, si estese alle braccia. Monica le strappò parte della maglietta sul petto, constatando che il grigiore si era esteso anche lì.

“Dove sono i suoi genitori?” le chiese infine.

Carmen respirava affannosamente, mentre il corpo era scosso da una serie di brividi.

Aprì la bocca per parlare, ma uscirono solo dei rantoli.

“Parla!” le intimò Monica.

Carmen scosse la testa. Poteva significare che non erano riusciti a catturarli, o che non lo sapeva.

O che non voleva rispondere.

John aprì la portiera e trascinò il supersoldato fuori dall’auto.

La buttò per terra, senza troppi complimenti, poi le sparò un colpo di pistola alla testa.

Il proiettile penetrò nel cranio, ma la ragazza non morì.

Monica si inginocchiò accanto a lei e iniziò a conficcarle a viva forza lo spuntone di roccia in tutte le parti del corpo che le capitavano a tiro.

Era accecata da lacrime di rabbia e di dolore.

Non era mai stata una donna violenta, e non avrebbe mai pensato di arrivare al punto di accanirsi così crudelmente su di un corpo, ma in quel momento non le importava.

Smise solamente quando sentì le braccia di John afferrarla e allontanarla dal supersoldato che, tremante e rigido, scoppiò, lasciando sul terreno uno strato sottile di polvere di metallo.

Un figlio, quattro genitori

Giovedì 6 dicembre 2012

 

“Si, per il momento tornate pure in New Mexico… ho appena avuto un’idea, ma prima ne devo parlare con Skinner. Mi farò vivo il prima possibile”.

“State attenti a William, lo stanno cercando” si raccomandò la voce di Monica al di là del telefonino.

“Non ti preoccupare, è al sicuro… credimi… quando ti dico che sa badare a sé stesso”. Mulder sorrise contro il microfono del cellulare.

“D’accordo” la voce di Monica indicava che stava sorridendo anche lei.

“Ah, a proposito… i miei complimenti!”.

“Grazie! Ho seguito l’istinto…”.

“Sempre la miglior soluzione…” commentò, mentre interrompeva la comunicazione.

Stava per dirigersi in salotto, dove William e Scully stavano chiacchierando davanti ad un vassoio colmo di pasticcini, quando la figura slanciata di Kryceck gli si parò davanti al volto.

Sobbalzò.

Kryceck rise.

“Che c’è Mulder? Ti ho spaventato?” e continuò a ridacchiare.

“Era da un pezzo che non ti si vedeva…” si giustificò Mulder.

“Sì… perché io sono quello che viene a dare aiuti… mortali, se così li vogliamo chiamare. Vaccini, formule che salvano la vita… non fanno per me” sorrise maliziosamente della sua logica contorta.

Mulder non poté impedirsi di sorridere in risposta. In fondo, molto in fondo, i battibecchi con Kryceck, durante i loro scontri, gli mancavano.

Era sempre stato un tipo sagace e ironico, quindi adatto a giochi di parole e stuzzicanti dispute.

“Ottima la tua idea… Davvero bravo, mi devo complimentare con te…” iniziò a dire Kryceck.

Mulder lo fissò aggrottando le sopracciglia.

“Di che parli?”.

“Dell’idea che la tua mente malata ha appena partorito”.

“Ahhh… ma non è merito mio, l’idea me l’ha fatta venire il gesto di Monica”.

Kryceck sbuffò sonoramente.

“Non importa a chi va il merito, l’importante è che, di là…” e fece un gesto con il pollice, ad indicare un punto non precisato alle sue spalle “… ti abbiamo accelerato il compito, visto che l’armageddon è alla porte”.

Si frugò nelle tasche del suo giubbotto e ne estrasse un dischetto, di dimensioni minuscole.

“Mostra il bluray a Skinner e fa in modo che una copia arrivi nelle mani di Reyes e Doggett.

Qui dentro ci sono molti passaggi e suggerimenti. Il bluray spiega come estrarre una considerevole quantità di metallo dalle rocce, e come, successivamente, inserirla nei proiettili.

Il video mostra il procedimento con un metallo che non è la magnetite, ma non cambia nulla. Il metodo che dovranno utilizzare gli uomini di Skinner è lo stesso.

Dovrà dire loro che la quantità di proiettili alla magnetite da produrre sarà ingente. E procuratevi dei mitragliatori, almeno non dovrete ricaricare in continuazione”.

Mulder prese il dischetto dalle inconsistenti mani di Kryceck, poi lo guardò.

“Quanti proiettili servono per abbattere un super soldato?”.

Alex fece un gesto con le spalle.

“Dipende… se riesci a centrare cuore, testa e stomaco, con tre proiettili te la cavi, altrimenti ne servono di più”.

Mulder annuì, pensieroso.

“Dove li attaccheremo?”.

Kryceck scosse la testa.

“Non mi è dato saperlo… o rivelarlo. Lo saprai a tempo debito”.

E con queste ultime parole svanì dallo studio di Mulder.

Lui rimase per qualche istante ad osservare lo spazio vuoto dove, pochissimi istanti prima, si trovava uno dei suoi più acerrimi nemici. La cosa che ancora lo lasciava spiazzato era l’assurdità della situazione, e non tanto per il fatto che vedeva fantasmi, tanto per il fatto che anche i suoi non-sostenitori si scomodavano a passare nuovamente nell’al di qua per aiutarlo.

Scuotendo la testa si diresse verso il salotto, dove lo accolsero le risa cristalline di suo figlio.

William alzò lo sguardo su di lui e i suoi occhi si illuminarono.

“Dana mi ha appena raccontato di quella volta che, durante un caso, una signora ti ha chiesto aiuto per riparare il tubo dell’acqua e tu le hai fatto cedere il pavimento in legno!” e riprese a ridere di gusto.

Mulder lanciò un’occhiataccia a Scully, che si strinse nelle spalle.

“Gliel’hai detto che poi, però, ho imparato ad essere un bravo ometto di casa?” le chiese con sguardo fintamente minaccioso.

Scully alzò le mani davanti al volto.

“Ora sei impeccabile”. Si votò verso William e gli fece una smorfia.

William rise, portandosi le mani davanti alla bocca, perché stava masticando un pasticcino.

“Chi era al telefono?” chiese Scully.

Mulder sospirò.

“Ok, fine dei divertimenti… Erano Doggett e Reyes…”.

Non ci fu bisogno di dire altro. L’atmosfera nella stanza si fece gelida, e carica di tensione.

Il giorno precedente, William aveva manifestato notevoli capacità soprannaturali.

Senza che nessuno gli raccontasse nulla, aveva percepito il pericolo che l’umanità stava correndo, non si era affatto stupito del fatto che la fine del mondo dovesse avvenire per mano aliena.

Sembrava quasi che qualcuno gli avesse raccontato come stavano le cose nella realtà fin da quand’era piccolo. E che lo avesse cresciuto nella consapevolezza che l’arrivo degli alieni lo avrebbe toccato da vicino… Quello che avrebbero fatto i suoi reali genitori…

Ma, come sapevano bene, così non era stato… la sua consapevolezza derivava da qualcosa di più grande, di più inaspettato, di più prodigioso.

Avevano parlato per molte ore, il giorno prima.

Mulder aveva deciso che non aveva senso nascondergli la verità, tanto, prima o poi, la sua straordinaria natura avrebbe coperto i loro buchi narrativi, facendoli passare per dei bugiardi, per degli estranei che non si fidavano di mettere a parte il figlio di fatti gravi e dai risvolti fantascientifici.

Scully aveva concordato pienamente con il compagno e si erano aperti con William, come non si erano mai aperti con nessuno, tranne che tra di loro.

Scully gli aveva raccontato della gioia che aveva provato quando aveva scoperto di essere incinta, del periodo difficilissimo che aveva passato mentre Mulder era in balìa degli alieni. Dei sacrifici, delle lotte, delle paure che avevano accompagnato i pochi mesi in cui l’aveva cresciuto. Gli raccontò di come Spender gli avesse iniettato un siero che inibiva i suoi straordinari poteri, ma che come si era rivelato in seguito, non li aveva zittiti per sempre.

Poi, con estrema vergogna ed estremo dolore, gli aveva raccontato della terribile, ma necessaria, decisione di farlo adottare, per metterlo al sicuro

William, dopo aver ascoltato le parole della madre, le aveva preso una mano tra le sue e l’aveva guardata dritta negli occhi, con uno sguardo tenero e rassicurante. Le aveva detto che l’aveva sempre saputo che non era stato abbandonato, che i suoi genitori non avrebbero voluto separarsi da lui, ma che ne erano stati costretti. Ovviamente non capiva cosa potesse esserci di così grave da rinunciare ad un figlio, ma era certo, in cuor suo, che un giorno l’avrebbe scoperto e che avrebbe capito la scelta dei genitori.

Si era commosso ascoltando il racconto di sua madre e aveva provato pietà per il padre, che non era nemmeno riuscito a conoscerlo, avendo passato con lui solamente 48 ore.

William non aveva idea di come sarebbe stato il suo futuro, e viste le notizie di cui era appena stato messo a parte non sapeva nemmeno se sarebbe arrivato a festeggiare il suo dodicesimo compleanno, ma sapeva per certo che, se gliene avessero data la possibilità, avrebbe voluto passare con i suoi genitori biologici del tempo.

Per capirli, per conoscerli… per amarli.

Si sentiva già legatissimo a loro, sebbene li avesse incontrati poche ore prima.

Ma sapeva anche che, a miglia di distanza, altre due persone lo amavano ed erano per lui come la luce del sole. Non avrebbe mai sopportato l’idea di dare loro pene e dolori… e non sopportava l’idea che ora fossero in pericolo.

Smise di mangiare i pasticcini e rimase in silenzio, ad ascoltare la voce di Mulder che raccontava, per filo e per segno, il dialogo che aveva appena avuto con Monica.

Portò i piedi, coperti da un paio di calzini di lana grigi, sulla sedia e si abbracciò le ginocchia, in un gesto di protezione che fece dolere il cuore di Scully.

Non sopportava l’idea di vedere suo figlio, quel bambino che le era mancato più di ogni altra cosa per 11 anni, soffrire, ma allo stesso tempo percepì una stupida e crudele fitta di gelosia verso quelle due persone che godevano ogni giorno del suo amore.

Quando Mulder terminò il suo racconto, William rimase per un po’ in silenzio, continuando a tenere strette le ginocchia, dondolandosi impercettibilmente avanti e indietro.

Poi alzò la testa verso suo padre.

“Forse sono riusciti a scappare…” disse, nella voce c’era poca convinzione, ma una buona dose di speranza.

Mulder si inginocchiò di fronte al suo viso ancora troppo infantile per poter sopportare certe notizie.

“Ti prego di credermi… non voglio né mentirti, né pronunciare parole vuote con il solo intento di alleggerire le tue pene… io voglio credere che siano riusciti a scappare, che siano riusciti a mettersi in salvo, a far perdere le loro tracce… ma se così non fosse, io ti prometto, ti giuro sulla mia stessa vita, che li troveremo. Fosse l’ultima cosa che faccio”. Osservò suo figlio con la determinazione scritta a chiare lettere sul volto.

William sorrise con un angolo della bocca, in un gesto che gli ricordava tantissimo i sorrisetti di Scully.

“Insieme?” chiese il bambino.

Mulder annuì, con aria grave.

Gli tese una mano e aspettò che William la stringesse.

“Insieme”.

La mano di Scully arrivò a coprire le loro mani unite.

“Insieme”.

William sorrise, il suo voltò si illuminò. D’improvviso rimise i piedi a terra e buttò le braccia al collo di Mulder, in un gesto spontaneo e dolce, che sciolse il cuore dell’uomo.

Lo strinse a sé, chiudendo gli occhi, e assaporando la sensazione di tenere tra le braccia la consistenza del frutto dell’amore per la donna che sedeva loro in fianco.

Scully osservò quella scena con il cuore che batteva a mille.

Finalmente, anche lui aveva potuto assaporare la sensazione di stringere a sé la prova vivente del loro amore.

In quei giorni i suoi occhi non facevano altro che versare lacrime, di dolore, di gioia, di commozione, di angoscia, di rabbia… fece forza su sé stessa per non mettersi a piangere di fronte all’immagine di suo figlio tra le braccia del padre. Non voleva che la sua vista venisse offusca da stupide secrezioni.

William si separò da Mulder e gli sorrise, sereno.

Prese un altro pasticcino e se lo mise in bocca.

Mulder si tirò in piedi e andò a sedersi in fianco a Scully, ancora turbato dal vortice di emozioni che lo avevano preso mentre stringeva suo figlio.

Lei si voltò a guardarlo.

“Che idea ti è venuta in mente?”.

Mulder le sventolò davanti agli occhi il minuscolo compact disc che gli aveva dato Kryceck.

“Vedrai!”.

Lei lo fissò, incuriosita.

“Devi andare da Skinner?”.

“Si, devo esporgli la mia idea e mostrargli il bluray, che gli servirà per renderla attiva. Gli chiederò anche di usare i suoi computer super protetti per inviare le immagini a Doggett e Reyes”.

“Mi piacerebbe conoscerlo…” disse William, guardando da tutt’altra parte rispetto al punto dov’erano seduti loro, come se stesse facendo una considerazione tra sé e sé.

“Ti andrebbe di venire?” gli chiese Mulder d’impulso.

William era a conoscenza di ogni cosa, in una maniera forse ancora più dettagliata grazie alle sue capacità, perciò non c’era motivo per cui dovesse stare lontano dalle loro operazioni.

Il ragazzino si illuminò e annuì vigorosamente.

“Sì! Mi piacerebbe un sacco!”.

Scully rise dell’entusiasmo del figlio.

“Però vengo anch’io, così dopo passiamo a comprarti qualcosa da vestire, giovanotto. Una stanza dove farti dormire ce l’abbiamo per fortuna, ma un guardaroba adatto no”.

William si mise in piedi con uno scatto e si portò la mano sulla fronte, in un gesto militare.

“Agli ordini capitano!”.

Venerdì 14 dicembre 2012

Mulder e Scully si abbracciarono sotto le calde coperte del loro letto matrimoniale.

La stanchezza di quei giorni iniziava a pesare sui loro corpi.

Lei sospirò, sfregandogli il naso freddo sul petto, nel tentativo di riscaldarlo. Lui si tirò indietro con uno scatto.

“Ehy!!! Per chi mi hai preso? Per la torcia umana?”.

Scully, per tutta risposta, gli ficcò i piedi gelati contro le gambe calde e pelose e si strinse di più a lui.

Mulder rabbrividì, avvolgendola con le braccia e stringendola a sé.

“Accidenti, sei gelata…”.

“Non mi sono di certa stretta a te per niente…” gli rispose ironicamente lei, la voce attutita nel petto di Mulder.

“Ah, è così???”. Mulder la allontanò da sé e in un attimo le sue mani erano sui suoi fianchi, le dita contratte sulla carne, a farle il solletico.

Scully iniziò a ridere e a contorcersi sotto le coperte.

“Basta! Ti prego basta!”.

Ma Mulder continuò fino a farla ansimare, crogiolandosi nel dolce gusto della vendetta.

Scully trovò la forza di allungare una mano verso l’inguine del compagno e gli lanciò un’occhiata eloquente.

“Se non la smetti subito te ne pentirai amaramente!” e sottolineò le sue parole con una leggera strizzata alle parti basse.

Mulder sollevò di scatto le braccia e se le portò sopra la testa, in segno di resa.

Scully si accoccolò di nuovo contro di lui.

“Così va meglio…”.

“Ricattatrice… però ti ho scaldata… il mio compito l’ho assolto”.

“Mm… per questa volta…”.

Risero insieme di quel momento di infantile superficialità.

Mulder la abbracciò stretta, tuffando il volto tra i suoi capelli profumati.

“Cos’avete fatto tu e William, mentre io ero all’ospedale?” chiese Scully, dopo un po’.

“Siamo andati al campo a giocare a baseball” rispose semplicemente Mulder.

Scully rise.

“Di nuovo?!”.

Mulder si strinse nelle spalle.

“Ci sa fare il ragazzo. Ma gli do del filo da torcere!” e rise di gusto.

Scully si scostò leggermente da lui per poterlo guardare negli occhi.

“Quante volte l’hai fatto vincere?”.

Mulder scosse la testa.

“Non ho barato, ho giocato al meglio delle mie possibilità senza mai agevolarlo. Infatti l’ho battuto 5 volte a 2!”. Si batté il palmo contro il petto. “Qui hai ancora un gran pezzo d’uomo, fidati!”.

Scully lo guardò con un sopracciglio inarcato, poi scosse la testa.

“Ma smettila… ormai sei vecchio!” lo stuzzicò, prendendogli il naso tra le dita.

“Vecchio?! Io?!” gli occhi di Mulder si spalancarono, in un moto di finto sdegno.

Mise il braccio fuori dalle coperte e irrigidì il muscolo, mettendo in risalto i bicipiti.

Scully gli tirò uno schiaffo sulla pelle.

“Piantala di fare il macho e rimetti quel braccio sotto le coperte, che fa freddo”.

Mulder obbedì, con un’espressione contrariata.

Scully si adagiò di nuovo contro il petto dell’uomo, sospirando.

“E’ davvero un ragazzino adorabile…” commentò, guardando un punto imprecisato del soffitto.

Mulder le accarezzò un braccio.

“Si… è ben educato, sveglio e intelligente. E non per ultimo ha uno spiccato senso dell’umorismo…”.

Scully sollevò il volto a guardarlo.

“Come il tuo…”.

Mulder le sorrise teneramente.

“Mi piacerebbe fosse davvero così… che avesse ereditato alcuni tratti dai me… ma chissà se è così davvero…”.

“Io ne sono convinta… vi assomigliate tantissimo… In tanti comportamenti, in tante espressioni del viso, in tanti modi di fare…”.

Mulder le baciò la punta del naso.

“Ai miei occhi assomiglia moltissimo a te… a parte gli occhi, che sono esattamente del tuo stesso colore, ti assomiglia anche nel modo di porsi, di parlare, di atteggiarsi… siete bellissimi, tutti e due…” le sorrise e la baciò teneramente sulle labbra.

Scully gli buttò le braccia al collo, e si lasciò trascinare dal calore e dalla morbidezza delle labbra di Mulder verso paradisi sconosciuti e mondi colorati.

Privi di paure, privi di preoccupazioni.

Accompagnati da un amore intenso e da una felicità senza ombre.

 

William mise le braccia dietro la testa e prese a fissare il soffitto.

Immagini nuove, ma così familiari da apparirgli quotidiane, si affollavano nel cassetto della sua memoria.

Erano stati giorni molto intensi per lui.

Aveva ritrovato i suoi genitori biologici, scoprendoli come li aveva sempre immaginati. Dopo poche ore che era in loro compagnia, aveva capito che, in fondo al suo cuore, non aveva mai smesso di chiedersi chi erano, com’erano e se lo stavano pensando, e non aveva nemmeno mai smesso di sperare di incontrarli.

Ma la felicità per il ricongiungimento era offuscata dalla tristezza e dalla preoccupazione per i suoi genitori adottivi. Quelle due persone meravigliose, che l’avevano cresciuto con un amore talmente intenso da creare un alone di perenne serenità intorno alla loro vita in comune.

Era in ansia per loro, avrebbe tanto voluto conoscere dov’erano, se stavano bene, se avevano bisogno di aiuto. E, inoltre, non riusciva a scacciare dal suo cuore un fastidioso e immotivato senso di colpa.

Nella sua testa si rincorrevano parole pesanti e accusatorie, che venivano dal suo stesso subconscio.

Se lui non avesse avuto quelle capacità sovrannaturali… se non lo avessero adottato… se non se ne fosse andato lasciandoli in balia di persone, umane o no, che cercavano lui…

William chiuse gli occhi, forte, e scosse la testa, cercando di scacciare quei pensieri.

La sua parte razionale sapeva perfettamente di non avere nessun tipo di colpa… ma quella irrazionale… quella comandata dal cuore.

“Basta!” sussurrò a sé stesso.

Riaprì gli occhi e cercò di pensare a qualcos’altro.

Sorrise quando il volto di Monica affiorò tra i suoi pensieri.

L’aveva conosciuta pochi giorni prima, nell’ufficio dello “zio” Skinner (l’aveva ribattezzato così per la lucida pelata, che gli ricordava lo zio Fester della Famiglia Addams, ma si era ben guardato dal dirglielo. Il vicedirettore era convinto fosse un modo affettuoso di considerarlo un suo zio mancato. Solo Mulder e Scully sapevano la verità… e ne avevano riso per ore) e gli era piaciuta fin da subito per il suo modo genuino di approcciarsi alle persone.

Era rimasto incantato dal suo modo di raccontargli che l’aveva fatto nascere, l’aveva curato nei momenti in cui Scully era impegnata… che una volta aveva provato a tranquillizzarlo imitando il richiamo delle balene, ma che l’idea aveva sortito l’effetto opposto.

Avevano riso per un sacco di tempo dopo questo aneddoto.

John Doggett gli aveva dato l’impressione di essere un uomo estremamente fidato, di quelli che, dopo che hanno deciso da che parte stare, si butterebbero nel fuoco per difendere i loro ideali e le persone che ne fanno parte. Era una persona seria, poco incline a sarcasmo e scherzi, ma molto socievole e disponibile.

Purtroppo, avevano potuto trascorrere insieme poche ore, perché il contrattacco ai supersoldati riduceva drasticamente il tempo per le frivolezze e i dialoghi.

Ma il piano navigava a vele spiegate verso la sua completa realizzazione.

William era molto orgoglioso degli sforzi che stavano facendo i suoi genitori per permettere alla vita di miliardi di persone sconosciute di continuare.

La sua strana capacità soprannaturale gli permetteva di percepire il pericolo scandito dall’arrivo degli invasori alieni con una sensibilità che andava oltre le paura e il terrore delle persone che ne erano a conoscenza.

A volte gli sembrava di riuscire a percepire i pensieri degli alieni stessi… di essere con loro nelle astronavi, di ascoltare i loro piani…

Era una cosa strana da descrivere, ma lui la percepiva chiaramente.

Mulder, quello strano padre che non amava essere chiamato per nome (e come dargli torto? Come si fa a chiamare un bambino, che un giorno sarà uomo, “volpe”?) doveva aver percepito la straordinaria portata delle sue sensazioni, perché, ogni volta che lo vedeva pensieroso, o completamente assorbito da qualche “visione”, si premurava di fare il possibile per alleviare il suo fardello, con gesti frivoli e infantili, ma che lo aiutavano tantissimo a non farsi sopraffare dal suo potere.

Era un uomo straordinario, pieno di forza, di sensibilità, di testardaggine… e di amore. Verso Dana, ma non di meno verso di lui.

William era stupito dalla portata del sentimento che provava nei suoi confronti, nei confronti di un figlio che non aveva conosciuto nemmeno quando era in fasce. Per Mulder lui era, in fin dei conti, uno sconosciuto… eppure questo non gli impediva di amarlo di un amore incondizionato, totale, profondo.

Mulder non glielo aveva mai detto a parole, ma lui lo sapeva. Glielo leggeva negli occhi.

Come riusciva a leggere il sentimento di puro abbandono e fiducia che lo legava a Dana.

Dana… sua madre.

In lei percepiva una forza che a volte lo lasciava a bocca aperta.

Nulla le era stato regalato nella via, aveva dovuto soffrire, lottare, cadere e poi rialzarsi… da sola. E l’aveva fatto, con determinazione… era riuscita a credere in un futuro migliore, e ancora ci credeva, seppure il pessimismo insisteva a bussare alla sua porta.

William aveva l’impressione che il suo ritorno l’avesse resa… diversa.

Più serena, più felice, più ottimista.

Una sera Mulder, mentre lei era all’ospedale, glielo aveva confessato: non vedeva Scully così spensierata da molto tempo.

E di questo lui era estremamente lusingato e felice. In un periodo come quello che stavano vivendo, in cui paura e dolore erano all’ordine del giorno, era bello sapere di essere un faro di speranza per qualcuno.

William si girò su un fianco, rannicchiandosi sotto le coperte e sorrise di un sorriso dolce e amorevole.

Amava quelle due persone sconosciute, ma familiari. Le amava tantissimo, tanto quanto amava i suoi genitori adottivi.

Piano piano, si addormentò, rivolgendo una muta preghiera per la loro salvezza a chiunque la volesse ascoltare.

 

William si svegliò di soprassalto nel cuore della notte.

Buttò l’occhio verso la sveglia che si trovava sul comodino alla sua sinistra. Erano le 11.56 della notte.

Si prese la testa fra le mani e aprì la bocca, esalando un muto grido di dolore.

Li vedeva…

Erano tutti pronti a sferrare un attacco, percepiva l’eccitazione che li pervadeva.

Le lunghe dita grigie erano posate su una serie di bottoncini rossi e neri, su di una console dall’aspetto fantascientifico.

Un mormorio incomprensibile serpeggiava tra di loro e gli enormi occhi neri erano sbarrati, accesi di aspettativa.

Camminò tra di loro come un fantasma, scrutando, provando a capire…

D’improvviso l’occhio gli cadde su di un pulsante tondo, molto grande con delle coordinate che, come un ologramma, uscivano dalla superficie plastificata e si modellavano nell’aria, quasi avessero solidità.

Seppe, senza sapere come, che si trattava delle coordinate che rappresentavano la Casa Bianca.

Sbarrò gli occhi nell’oscurità della sua cameretta.

Sabato 15 dicembre 2012

William scese in fretta dal letto e corse nella stanza dove dormivano Mulder e Scully, ma la mezzanotte batté il suo ultimo rintocco mentre percorreva quella breve distanza.

Un lampo accecante illuminò l’oscurità di una fredda notte di dicembre.

Un boato assordante squarciò il silenzio di una città addormentata.

Un tremore innaturale scosse le fondamenta delle case.

Mulder e Scully si svegliarono di soprassalto.

Scully scese immediatamente dal letto per recarsi da William, ma se lo ritrovò di fronte appena fuori dalla porta. Lo strinse a sé, protettiva.

Mulder si accertò che stessero bene con un occhiata, poi si diresse alla finestra, dove una luce rossastra, a poche miglia di distanza, lanciava i suo bagliori infuocati nella notte.

Una seconda esplosione rimbombò nuovamente tra le vie cittadine.

Per un riflesso incondizionato, dettato dallo spirito di sopravvivenza, si abbassarono tutti e tre verso il pavimento. Mulder corse, mezzo acquattato, verso Scully e William e li circondò con le braccia, in un gesto inutile se l’attacco avesse dovuto arrivare fino a loro, ma rassicurante.

Quando gli scossoni al terreno terminarono e lo strascico dell’assordante rumore cessò, Mulder andò di nuovo alla finestra. Scully e William lo seguirono.

Il riverbero dell’esplosione infastidiva le retine degli occhi.

In strada, molti vicini di casa stavano uscendo dalle loro abitazioni e stavano parlando concitatamente, additando il bagliore.

Le sirene delle ambulanze e dei vigili del fuoco iniziarono a urlare il loro lamento verso il cielo.

“E’ la Casa Bianca. Il Presidente, la sua famiglia e tutti quelli che abitavano lì sono morti”.

William disse queste parole con voce piatta. Gli occhi sbarrati, persi in luoghi lontani.

Mulder si voltò a guardarlo, sul volto un’espressione incredula, arrabbiata, impaurita.

Scully lo guardò, scuotendo piano il capo, le labbra strette in una linea diritta.

“Sono stati loro..” William alzò un dito verso il soffitto. “Sono sopra di noi, dentro una nave spaziale enorme, ma invisibile ai nostri occhi. Sono… esaltati… felici!”.

William sbatté gli occhi e ritornò alla realtà, ai volti sconvolti dei suoi genitori.

Mulder lo prese per le spalle.

“William, è importante… attaccheranno tutta la popolaz…” non riuscì a terminare la frase, perché William scosse convinto la testa.

“No. Questa notte attaccheranno solamente i governi che hanno osato ribellarsi”.

Mulder e Scully si guardarono e tra loro passarono parole che ricordavano paure passate e presenti, sensazione nuove e già vissute, una determinazione condivisa e un comune pensiero.

Scully prese William per mano e insieme si diressero al piano inferiore, dove Mulder accese la televisione.

Come previsto, tutti i programmi erano stati cancellati, per permettere alle edizioni straordinarie dei telegiornali di aggiornare le persone. Inviati con sguardi assonnati erano già davanti al cumulo di macerie che una volta era stata la Casa Bianca. Sui loro volti si leggeva lo sconcerto e la paura per questo atto, che loro già chiamavano “terroristico”.

Le immagini della residenza presidenziale americana erano quelle che scorrevano sulla maggior parte dei canali, ma alcune reti straniere mostravano le immagini degli altri paesi rimasti senza un capo a governarli.

Russia. Giappone. Francia. Spagna. Sudafrica…

Fuoco, fiamme, urla, pianti, disperazione, scene di pazzia collettiva bucavano lo schermo, penetrando nell’animo di chi stava guardando.

Mulder e Scully si accasciarono sul divano, stremati senza aver fatto nulla.

William rimase in piedi, accanto a loro, guardando lo schermo.

Nessuno parlò.

 

“Perché cazzo Skinner non risponde?”. John Doggett batté rabbiosamente il palmo della mano contro il legno del tavolo.

Lui e Monica si trovavano a casa di Mulder e Scully, stavano cercando di contattare Skinner da più di un’ora, senza risultati apprezzabili.

“Calmati John, con la rabbia non andiamo da nessuna parte. Probabilmente l’FBI è in fibrillazione dopo questa notte, è probabile che non abbia tempo per rispondere al telefono…”.

John guardò Monica con un’espressione carica di nervosismo.

“Ma la nostra operazione è più importante!”.

Mulder lo prese per un braccio.

“Lo sappiamo John, ma non possiamo chiedergli di fare miracoli. Quando sarà libero, sarà lui stesso a chiamarci, vedrai”.

William era seduto su di una sedia, a gambe incrociate, osservava quelle tre persone affaccendarsi intorno al tavolo e si sentiva impotente.

Da ore non aveva nessun tipo di sensazione, nessun tipo di aiuto da parte del suo potere.

Si sentiva inutile e vuoto.

Avrebbe voluto dare una mano, aiutare…

Invece se ne doveva rimanere lì, buono e fermo, ad ascoltare voci concitate e parole al vento.

Scully era andata all’ospedale, a controllare che tutto fosse a posto, che Montrand stesse bene… era terrorizzata all’idea che anche lui ci fosse andato di mezzo. Se così fosse stato, il significato sarebbe stato palese: gli alieni avevano capito da chi era partita l’operazione vaccino.

Ma Scully aveva telefonato pochi minuti prima, dicendo che Montrand stava bene e che non aveva ricevuto nessuna minaccia, né lui, né la sua famiglia.

Il campanello della porta suonò, tre volte consecutive.

Le teste di tutti scattarono nella direzione del suono.

Prima che potessero fermarlo, William si alzò in piedi e si diresse verso l’entrata.

Quando aprì la porta si trovò di fronte due volti sconosciuti, e il muso schiacciato di un bell’esemplare di boxer, che se stava ritto e fiero ai piedi del più anziano dei due.

Quello più giovane, un ragazzo che portava spessi occhiali dalla montatura tonda, lo osservò con un’intensità che mise in imbarazzo William.

“William…” disse poi il ragazzo, con suo grande stupore “… dobbiamo parlare con tuo padre”.

William, ancora attonito, si scostò dalla porta, facendoli passare.

Mentre l’anziano si recava nella stanza dalla quale sentiva arrivare le voci, il ragazzo si voltò verso William e gli sorrise.

“Ti chiederai come conosco il tuo nome…”. Allungò una mano verso di lui. “Io sono Gibson Praise”.

William strinse la mano di Gibson e immediatamente seppe, con estrema chiarezza, chi era, come conosceva Mulder e Scully e quale tipo di abilità intellettuale possedeva.

Gli sorrise in risposta.

“Molto lieto di conoscerti”.

Gibson lo guardò. Avendo letto nel pensiero di William, si era reso conto della portata delle sue capacità.

“Davvero straordinario…” commentò tra sé e sé.

Insieme si diressero verso la sala da pranzo.

Quando Mulder vide Gibson scattò immediatamente verso di lui.

Si fermò a pochi centimetri dal volto emaciato del ragazzo. Non lo abbracciò, ma dal suo sguardo si percepiva chiaramente quanto fosse felice di vederlo. E preoccupato.

“Piantala Mulder!” gli disse Gibson “So badare a me stesso”.

Mulder gli sorrise, scuotendo la testa e gli dette una pacca affettuosa sulla spalla.

“Bentornato tra noi allora”.

“Grazie”. Poi si voltò verso Monica e John, che lo guardavano sorridenti.

“Eviterei di perdermi in saluti affettuosi, ne avremo il tempo quando questa storia finirà”.

“Sembri ottimista… “ commentò John.

Gibson rispose con un’alzata di spalle, che voleva dire tutto e niente.

“Come vi conoscete?” Mulder fece un segno ad indicare Jared, che, in disparte in un angolo, osservava con occhio incuriosito la casa.

Quando si sentì chiamare in causa, fece due passi verso il centro della sala e si rivolse a Mulder.

“Lo sai che sono bravo a rintracciare le persone…” e sorrise in quel suo modo strano e accattivante.

Scully varcò la soglia di casa in quel preciso istante. Rimase qualche secondo immobile e silenziosa, quando vide i due nuovi arrivati. Poi sorrise, raggiante.

Mulder, rendendosi conto che non era di certo il momento più adatto, pensò che era bellissima. Con il passare degli anni la sua bellezza si era affinata, rendendola affascinante e delicata. Sentì una bolla di orgoglio gonfiarglisi nel petto all’idea che quella donna bellissima e straordinaria era sua, per sempre.

Scully andò incontro a Gibson e, al contrario del suo compagno, non si fece problemi a stringerlo in un abbraccio di bentornato.

Quando si staccò lo osservò con aria di rimprovero.

“Come sei magro!”.

“Mi dispiace Doc. Diciamo che il cibo non era sempre alla portata in questi ultimi anni”.

“Dove hai vissuto?”.

Gibson scosse la testa.

“E’ troppo lunga. Ora abbiamo cose più urgenti a cui pensare. I nostri comuni amici sono sul piede di guerra, non so se ve ne siete accorti…”.

William rimase impressionato vedendo la celerità con cui, dopo un momento di emotività e ricongiungimenti, le persone in quella stanza ripresero a studiare piani e strategie.

Lui si accostò al cane, che prese a leccargli affettuosamente la mano.

Mentre lo stava accarezzando, una sensazione molto forte e terribilmente caotica gli esplose nel cranio.

“Oh..” fu l’unica cosa che riuscì a dire, mentre le immagini gli si rincorrevano nel cervello senza sosta.

Flash  Quattro alieni grigi intorno ad un oggetto dalla forma strana e familiare allo stesso tempo.

Flash  Case viste dall’alto, tetti, camini, tetti e camini, camini e tetti… una serie infinita.

Flash  Persone, tante persone, troppe persone. Vive, ferite, morte. Urla, grida, pianti, lamenti.

Si prese la testa tra le mani, nel tentativo di arginare quelle visioni.

Zar guaì paino al suo fianco, attirando l’attenzione generale.

Scully corse immediatamente al suo fianco e gli passò le braccia intorno alle spalle.

“Cosa? William, cosa vedi?” nella voce c’era paura, ansia e urgenza.

William sbarrò gli occhi blu verso il volto della madre. Ma avevano qualcosa di diverso, di strano, di inquietante. Sembravano brillare di luce propria.

Alcuni oggetti in casa iniziarono a sollevarsi, come trascinati da una forza invisibile, ma potente.

Iniziarono a fluttuare al di sopra dei mobili dov’erano posati, senza allontanarsi troppo.

Sembrava di essere sulla scena di un poltergeist.

Scully e Monica sapevano bene che la forza invisibile arrivava da William. L’avevano già visto accadere quand’era ancora in fasce.

Come tutto era iniziato, all’improvviso il galleggiamento degli oggetti cessò.

Gli occhi del ragazzo ritornarono ad essere normali e una parola uscì dalle sue labbra.

“Ora!”.

Nello stesso istante, la terribile sensazione del terreno che balla ricominciò a scuotere le membra e il boato di un’esplosione investì le mura.

Mulder e John corsero immediatamente fuori, dove, poche miglia più in là, una casa era diventata un cumulo di macerie.

Un’altra esplosione.

Un’altra casa distrutta, assieme alle vite che vi risiedevano.

Ma le esplosioni erano molte, molte di più.

Doggett e Mulder, con un solo sguardo, capirono che il contrattacco alieno era iniziato.

Non avevano potuto distruggere l’umanità con un virus?

L’avrebbero fatto in un altro modo, più spartano, ma comunque efficace.

Le persone iniziarono ad uscire dalle case. I loro volti terrorizzati la dicevano lunga sull’orrore che avrebbe investito il pianeta.

“Uscite subito!” urlò Mulder, correndo verso Scully e William e aiutandoli ad alzarsi dal pavimento.

Uscirono tutti in strada, dove le urla dei vicini iniziavano a squarciare il cielo peggio dei boati delle esplosioni.

Mulder e John si assicurarono che ci fossero tutti, poi corsero alle auto.

Il suv di Doggett si accostò alla Ford di Mulder e tirò giù il finestrino.

“Dove andiamo?”.

“Raggiungiamo Skinner all’FBI… sperando che sia ancora in piedi…”.

Le esplosioni accompagnarono i rombi dei motori che partivano a tutta velocità.

Improvvisamente Mulder frenò, fermando l’auto. John si arrestò con uno stridio di gomme a pochi centimetri dal paraurti.

“Cazzo!”. Mulder scese dall’auto accompagnato dall’imprecazione.

Scully, spaventata, si sporse dal finestrino.

“Ma dove vai?”.

Mentre Mulder iniziava a correre verso la casa, si voltò verso di lei.

“A salvare i nostri piani!”. E riprese a correre senza più voltarsi.

A nulla servirono le urla di Scully, mentre gli diceva che era troppo pericoloso.

“Ma deve sempre fare di testa sua?” borbottò queste parole, mentre si metteva al posto di guida.

John scese e andò a parlarle.

“Che diavolo sta facendo?” nella voce c’era tutta l’urgenza e la rabbia tipiche di quelle situazioni.

“Non ne ho idea! Maledizione!”.

Scully si voltò verso Gibson.

“Che cosa gli è passato per la testa?”.

Gibson fece un vago sorriso di scuse.

“Abbiamo lasciato il computer acceso, con tutti i documenti riguardanti il vaccino e le armi alla magnetite acceso sul tavolo della sala. Ha pensato che, se per caso gli alieni risparmiano alcune case, e poi le perquisiscono… è terrorizzato all’idea che possano scoprire che è partito tutto da voi…”.

Scully lo guardò perplessa.

“Ha paura che, arrivando a voi, arriverebbero anche a William…”.

Scully si dette della stupida. Era ovvio che avrebbe pensato alla salvezza del figlio prima che alla loro. Cosa che avrebbe comunque fatto anche lei.

Ma non poté impedirsi di provare un moto di rabbia nei confronti di Mulder. Solo l’idea che avrebbero potuto distruggere la loro casa mentre lui era dentro… sentì un brivido ghiacciato percorrerle la schiena. Non voleva nemmeno pensarci.

Mentre rifletteva, William si mosse irrequieto sul sedile.

Poi il suo grido di agonia rimbalzò tra le pareti dell’auto, in un suono angosciante e terrificante.

“NOOOOOOOOO!!! Papà!!! Papà!!!”.

Scese dall’auto in tutta fretta e si mise a correre lungo la strada.

John, che era già fuori dalla macchina, lo inseguì e lo acchiappò. Scully, Monica e tutti gli altri, arrivarono subito dopo.

“Papà! Papà!!!”.

Scully era pietrificata dal terrore.

Che cos’era successo? Perché William era così disperato?

Poi vide tutto al rallentatore.

Mulder che usciva di casa col portatile sotto il braccio. La luce accecante di una specie di enorme raggio laser piombare dal cielo. La casa esplodere con un assordante fragore in un balenio di luci e scintille. Il corpo di Mulder venire sbalzato a diversi metri di distanza.

Scully sentì le sue gambe iniziare a correre nella direzione dove Mulder giaceva immobile, un terrore sordo le stringeva il cuore in una morsa dolorosa.

Si inginocchiò vicino a lui, le mani sospese sopra il suo petto, indecisa.

Si avvicinò cauta al volto dell’uomo, poggiando la guancia vicino al suo naso.

Respirava ancora.

“Mulder… Mulder… mi senti? Sono io, amore… rispondimi…”.

Sapeva che erano parole inutili, che si perdevano nell’aria senza essere state ascoltate, ma non poteva fare a meno di sperare di vedere i suoi occhi aprirsi e le sue labbra sorriderle.

William le si avvicinò, gli occhi colmi di lacrime.

“Papà? Papà? Mi senti?”.

Con la coda dell’occhio, Scully vide tutti gli altri rimanere in piedi, ad osservare, a sperare.

Poi si riscosse. In fondo era un medico… quello era il momento per scalzare via le paure personali e agire con freddezza medica.

Allontanò gentilmente William da Mulder e prese a tastargli il petto.

Non sentiva costole rotte, quindi non c’era pericolo che i polmoni si fossero bucati.

Il suo respiro era lento e debole, ma le vie respiratorie erano libere.

Tastò le gambe, le braccia… ma non sentì nulla di anomalo. Almeno le ossa erano intatte.

Per ultimo controllò il cranio. Sollevò lentamente e con gentilezza la testa di Mulder e la tastò piano. Sulle dita le si riversò un caldo fiotto di sangue.

Si chinò per vedere l’entità della ferita. Mulder aveva un lungo taglio dietro la testa, un po’ sporco per via della terra sottostante, ma abbastanza lineare.

In auto c’era un kit di pronto soccorso… forse era troppo poco, ma per il momento era la sua unica speranza.

Si voltò verso gli altri.

“Monica, per favore porta qui l’auto. John, Gibson… aiutatemi a metterlo sul sedile posteriore”.

Mentre tutto questo avveniva, nel cielo continuavano a piovere raggi luminosi, che precedevano esplosioni e tremori.

Non davano tregua…

Molto lentamente, caricarono il corpo privo di conoscenza di Mulder in auto. Scully prese il kit di pronto soccorso dal bagagliaio, poi si sedette sul sedile posteriore.

“Gibson? Sai guidare?”.

Il ragazzo annuì.

“Bene, portaci via da qui!”.

Gibson salì in auto, William al suo fianco, e partì a tutta velocità alla volta dell’FBI. John gli stette dietro con il suo suv.

Scully prese una pezza e la imbevette di disinfettante. Con molta cautela sollevò la testa del compagno e pulì la ferita, meglio che poteva.

Quando l’ebbe ripulita dallo sporco e dal sangue rappreso, constatò che non era profonda, molto probabilmente, se l’aveva pulita in tempo, non sarebbero serviti punti, solo una garza per proteggerla dall’esterno. Si sarebbe rimarginata da sola, col tempo.

Ma il rischio più grosso derivava dall’intensità della botta che aveva preso.

Ormai era privo di conoscenza da circa 5 minuti… era terrorizzata.

“Mamma…” la voce di William le giunse lamentosa.

Lo guardò e soffocò un moto d’ira per l’ingiustizia della loro vita.

Il loro unico figlio li aveva appena chiamati con gli appellativi che spettavano loro di diritto, mamma e papà, e loro non potevano gioirne…

“Starà bene…” ma lo disse più che altro per rassicurare sé stessa.

Prese un’altra garza e la bagnò con dell’altro disinfettante, poi gliela applicò sulla ferita, che continuava a sanguinare, anche se in maniera lieve.

L’auto sterzò bruscamente. Gibson aveva evitato per un pelo la collisione con un oggetto non meglio identificato, che era piombato dal cielo. Guardando nello specchietto retrovisore si accorse che era parte di un mobile.

Scully perse per un attimo la presa sulla testa di Mulder, che ciondolò per un po’ a destra e a sinistra.

Mulder emise un lamento.

Scully lo fissò intensamente.

William era completamente sporto verso la figura di suo padre.

“Mulder… Mulder…” Scully riprovò a parlargli “Sono io, sono qui… amore, ti prego, rispondimi…”.

Il volto di Mulder si contrasse in una smorfia dolorante.

Tentò di aprire gli occhi, sbatté le palpebre alcune volte, poi si guardò attorno.

Scully gli sorrise, dolcemente.

“Tesoro… sono qui… mi vedi?”.

Mulder girò la testa verso la provenienza della voce e vide il volto preoccupato di Scully.

Aprì la bocca per parlare, ma gli uscì solo un suono strozzato.

“Shhh, va tutto bene…”.

Mulder si bagnò le labbra con la lingua, poi riprovò. La voce gli uscì roca e debole.

“Che dolce visione…”.

Scully rise, di sollievo, di gioia, di nervosismo.

William sorrise alla madre e le strizzò l’occhiolino.

“E’ sempre il solito eh?” disse rivolto a Scully.

Mulder si girò verso di lui.

“Bentornato tra noi, papà!”.

Mulder accolse le parole del figlio come un unguento miracoloso che cancellava ogni dolore e ogni sofferenza.

Gli sorrise, come meglio poteva, visto che il doloroso pulsare sul retro della sua testa non gli dava tregua.

Scully gli posò una mano sulla guancia, ponendo una leggera pressione per farlo girare verso di lei.

“Come ti senti? Hai preso una brutta botta, hai un lungo taglio sul retro della testa…”. Gli mise davanti agli occhi tre dita. “Quante sono?” gli chiese.

“Tre” rispose sicuro Mulder.

Scully sospirò leggermente, più tranquilla.

“Ho indovinato?” chiese Mulder “Non mi sembrava troppo difficile, ne mostrate sempre tre voi dottori…” poi le sorrise.

Scully alzò gli occhi al cielo e gli mise davanti al volto un solo dito… quello medio.

“Mmmm… uno? Quello lungo?”.

Poi tossì una brevissima risata.

“Tranquilla dottoressa, ci vedo bene. Ho solo un gran mal di testa…”.

Scully riprese a tastargli le parti che potevano avere subito delle contusioni, come braccia e gambe.

“Ti fa male qualcos’altro?” gli chiese, seria.

Mulder stette in silenzio e prestò attenzione ai punti che Scully toccava.

“Un po’ il gomito…”. Scully gli toccò il braccio sinistro.

“Si, esattamente lì… ahia!” si lamentò Mulder, quando lei lo strinse un po’ più forte.

“Non è rotto, credo sia solo una bella botta… comunque ti visiterò meglio quando saremo arrivati a destinazione”.

“Il computer… dov’è?” chiese Mulder.

Gibson lo guardò attraverso lo specchietto retrovisore.

“Ho visto che l’ha preso Doggett… ma credo si sia rotto”.

“Meglio…” commentò Mulder.

Chiuse nuovamente gli occhi, gli scossoni dell’auto gli stavano provocando un po’ di nausea.

Dopo un po’ Gibson ruppe il silenzio.

“Guardate che roba…”.

Scully allungò il collo, William si voltò verso il parabrezza.

Sembrava il set di un film apocalittico.

C’erano macerie ovunque, fuoco, persone ferite che vagavano senza meta in mezzo alla strada…

Ambulanze, vigili del fuoco, polizia, squadre S.W.A.T… tutti a cercare di arginare i danni, di aiutare le persone… di salvare il salvabile.

Mulder tentò di tirarsi a sedere, ma Scully lo tenne giù posandogli una mano sul petto.

“Fermo lì”.

“Non so se vi siete accorti che hanno smesso di bombardare…” disse Gibson.

Scully non c’aveva nemmeno fatto caso, era troppo occupata a preoccuparsi per lo stato fisico di Mulder.

Lui tentò di tirarsi su di nuovo. Lei lo ammonì con un’occhiata tagliente.

“Sto bene…” si lamentò.

“Mulder, ti prego… non rendere sempre tutto più difficile…”.

Lui sbuffò sonoramente.

“Che cosa c’è da vedere?” chiese allora.

Scully sospirò, rassegnata.

Gli mise un braccio dietro le spalle e lo aiutò a tirarsi su, quel tanto che bastava a permettergli di vedere lo sfacelo che regnava per le strade di Washignton.

Mulder non disse nulla, rimase a guardare le immagini che scorrevano al di là del vetro, in silenzio. Poi guardò Scully e si fece aiutare a rimettersi sdraiato.

Poco dopo Gibson parlò.

“Buone notizie. L’Edgard Hoover Building è vivo e vegeto!”.

Si fermò sopra il marciapiede.

John bussò al finestrino.

“Come sta?”.

Mulder alzò una mano.

“Sono vivo…”.

Insieme lo aiutarono a scendere dall’auto e lo accompagnarono all’interno del palazzo. Mulder riusciva a camminare, anche se aveva la tendenza a sbandare.

Monica fece strada esibendo il suo distintivo.

Arrivarono all’ufficio di Skinner e spaventarono la sua segretaria, perché le intimarono di farli passare senza usare modi cortesi.

La segretaria aprì la porta, scusandosi con il vicedirettore, ma non ebbe modo di terminare la frase, perché Monica entrò di prepotenza.

La prima cosa che vide fu Skinner in piedi vicino al tavolo delle riunioni, e poi focalizzò sul gruppo di persone sedute sulle sedie, che la guardavano con occhi sbarrati.

Monica non perse tempo con loro e si rivolse a Skinner.

“Le dobbiamo parlare… subito!”.

Skinner si scusò con gli altri dirigenti federali e uscì assieme a Monica.

Vedendo Mulder piuttosto provato, stretto tra le braccia di Scully e  Doggett si spaventò.

“Che è successo?” chiese preoccupato.

“Casa nostra gli è esplosa troppo vicino… “ gli rispose Scully, laconica.

“Dove diavolo era finito?” gli chiese Doggett a bruciapelo.

Skinner li guardò uno per uno, soffermandosi con curiosità su Jared e il suo cane e con stupore su Gibson.

“Andiamo in un posto appartato” suggerì.

 

“Ho visto che stavate cercando di contattarmi, ma non potevo rispondere.

Dopo gli attacchi di questa notte, siamo stati convocati tutti d’urgenza per un brainstorming…

Le alte sfere mi hanno chiesto come mai non ci fosse stato sentore di un attacco di quella portata… e hanno anche saputo, non chiedetemi come, che in questi ultimi giorni sono stato molto impegnato con un progetto top secret…

Volevano conoscere tutti i dettagli e le motivazioni… ho dovuto fare i salti mortali per riuscire a dissuaderli dall’indagare, per fargli credere che erano solamente voci di corridoio e che io non ho mai sentito nominare questo fantomatico progetto top secret.

Sembra mi abbiano concesso il beneficio del dubbio, ma non posso garantire che non proveranno a scavare… mi spiace”.

Mulder gli sorrise, seduto su di una sedia, con Scully che gli medicava la ferita alla testa.

“Non si preoccupi Walter, tanto ormai il tempo stringe. Non ci sarà più bisogno di nascondere nulla… Credo sia arrivato il momento di passare all’offensiva”.

Skinner lo guardò, nel volto un’aria mesta.

“Sì… ma come? E dove?”.

Mulder fece spallucce.

“Un modo lo troveremo…”.

Skinner sbuffò col naso, poi abbassò il capo verso il pavimento, non sapendo che dire.

“Quante persone sono morte?” chiese Scully, senza rivolgersi a nessuno in particolare.

Tutti gli occhi guardarono Skinner, l’unico che poteva avere un’idea approssimativa del numero.

Lui scosse la testa, alzando le spalle.

“Milioni… milioni di milioni in tutto il mondo…”.

Nella stanza regno un religioso silenzio per qualche momento. Erano tutti immersi nel dolore dello sconcerto, della rabbia, dell’ingiustizia.

Milioni di milioni…

Skinner prese un respiro profondo.

“Sarà meglio che io torni di là, prima che si insospettiscano… Se avete novità… venite a chiamarmi… Potete stare qui per ora…”.

E detto questo girò sui tacchi e se andò.

Fuori iniziava a fare buio… un’altra giornata di morte e devastazione stava per terminare.

Le urla delle sirene penetravano nel cervello come punte di trapano, insistenti, impegnate a ricordare il tributo di vite che era stato pagato là fuori… e in tutto il mondo.

In quella stanza, calda e accogliente, si respirava un’aria opprimente, satura di dolore, di sensi di colpa, di sconforto.

Loro erano lì, ed erano vivi… e si stavano chiedendo se non avrebbero potuto fare qualcosa per fermare questa carneficina. Se si fossero mossi prima, se avessero scelto di combattere in un’altra maniera, se avessero affrontato a viso aperto i colonizzatori, se… se… se…

Ma sapevano che erano pensieri inutili, vuoti, privi di fondamento. E che non sarebbe stato loro d’aiuto perdere le speranze.

William se ne stava seduto in fianco a Mulder tenendogli la mano, non tanto per confortarlo, ma tanto per non perdere il contatto con la realtà. Aveva appena assistito a immagini che non dovrebbero essere mostrate ad un bambino di 12 anni, ma sapeva che quello, molto probabilmente, non era nulla, che il peggio doveva ancora accadere.

Da quando aveva avuto quella devastante visione del corpo di suo padre scaraventato lontano dallo spostamento d’aria provocato dall’esplosione, non aveva più avuto nessun tipo di contatto con le menti aliene. Non sapeva cosa avevano in programma, non sapeva se avevano in mente di bombardare ancora, o se avevano altri programmi per distruggere l’umanità.

Quel silenzio mentale lo disturbava. Avrebbe preferito sapere, rendersi utile, aiutare… combattere.

Era frustrante starsene lì seduti, a guardare ognuno i proprio piedi, mentre fuori impazzava l’inferno.

Le ore passarono e la notte scese a stendere il suo velo opaco su un mondo ferito e grondante sangue umano e animale.

Skinner li aveva spostati tutti nel suo ufficio, suggerendo loro di dormire un po’.

La stanchezza dettata dalla paura e dall’adrenalina prese il sopravvento sulla voglia di reagire e, a uno a uno, si addormentarono tutti.

Mulder, steso su di un divano, stringeva a sé William e teneva la mano di Scully, sdraiata su di una coperta sul freddo pavimento.

Domenica 16 dicembre 2012

William si mosse irrequieto nel sonno, svegliando Mulder.

Lo strinse un po’ più forte al petto, per timore che cadesse addosso a Scully, che dormiva appena sotto il divano.

Gli posò cautamente una mano sulla fronte e sentì che scottava e che era madido di sudore.

Provò a scuoterlo per svegliarlo, senza risultato.

“Scully! Scully!” la chiamò a bassa voce per non svegliare gli altri.

Il ronfare sereno del boxer Zar sovrastava il suo sussurro, così Mulder le scosse la mano che ancora era allacciata alla sua.

Scully si destò di soprassalto, tirandosi a sedere immediatamente. Per un attimo le girò la testa.

“Che succede?” chiese allarmata.

“William ha la febbre alta…”.

Scully gli posò le labbra sulla fronte, constatando di persona che Mulder aveva ragione.

Lo guardò con aria preoccupata.

“Forse ha preso freddo oggi…”.

Mulder scosse la testa.

“Non credo sia ammalato… credo sia colpa del suo potere… Secondo me sta vedendo qualcosa…”.

Scully rabbrividì leggermente.

“Hai freddo?” le chiese Mulder.

Scully scosse la testa.

“Sto bene”.

Mulder fece per tirarsi a sedere, per fare posto a Scully sul divano, ma gli occhi di William si aprirono di scatto e le sue labbra iniziarono a muoversi senza sosta, come se stesse boccheggiando.

“William! William, che succede?” Scully provò a scuoterlo.

Lui la guardò per un momento, spalancando i grandi occhi blu, poi si tirò in piedi di scatto, con un sorriso trionfante sulle labbra.

Mulder lo guardò esterrefatto.

“William… cos’hai visto?”.

“Tutto!!!” esclamò lui a voce alta, sollevando le braccia in un gesto di vittoria.

“Shhh…” lo ammonì Scully, facendogli segno che gli altri stavano dormendo.

“Ops…” William si portò la mano alla bocca e assunse un’espressione divertita. Poi si sedette in fianco a lei sul pavimento.

Mulder si sistemò di fronte a loro e prese William per le spalle.

“Cosa significa “tutto”?”.

William lo illuminò con un sorriso estasiante.

“So quando sarà il momento di sferrare l’attacco ai supersoldati e anche dove. Non ho visto cosa succederà in seguito, ma ho la netta sensazione che questo cambierà molte cose… e io spero le cambierà in meglio”.

Mulder e Scully si guardarono.

“Ti stavi agitando tantissimo nel sonno… ti è salita anche la febbre…”. Scully gli mise una mano sulla fronte, stupendosi di trovarla fresca, seppur ancora sudata.

William la guardò cambiando completamente espressione; assunse un’aria mesta.

“Perché ho visto che morirà ancora tanta gente… e questo non riusciremo ad impedirlo. Gli alieni si mostreranno all’umanità, portando terrore, dolore e morte… “.

Mulder lo guardò intensamente.

“Sei certo che non riusciremo ad impedirlo?”.

William annuì convinto.

“Forse era solo un brutto sogno…” provò a rincuorarlo Scully, pur sapendo che le sue parole suonavano false.

Mulder scosse la testa. E la guardò.

“Non ti ho mai detto che, poche notti prima dell’arrivo di William ho sognato Samantha… Mi chiedeva di prometterle, testuale, che gli avrei prestato ascolto, qualsiasi cosa mi avesse detto

Nel sogno non ha specificato a chi si riferisse, ma ormai sono certo che parlava di William.

Finora le sue “supposizioni” si sono rivelate tutte esatte…

In più c’è il fatto che i supersoldati e i cacciatori di taglie lo stanno cercando assiduamente.

Secondo me sanno che i suoi poteri hanno ricominciato a manifestarsi… e sanno anche che questo potrebbe far saltare tutti i loro piani di colonizzazione.

Ne sono certo. Lui sa che cosa dobbiamo fare”.

Concluse il suo monologo con un secco assenso del capo in direzione del figlio.

William gli sorrise, riconoscente della sua fiducia cieca.

Scully gli accarezzò i capelli, con un sorriso triste sulle labbra.

Avrebbe tanto voluto che non toccasse a lui… ma era sempre stato speciale, e con questa sua caratteristica avrebbe dovuto imparare a convivere.

“Allora dicci… cosa dobbiamo fare?”.

William le sorrise.

“Dobbiamo preparare le armi, ce ne serviranno almeno 5… se poi ne sono state preparate di più meglio. Qualcuno ne impugnerà due.

Dovremo recarci al presidio a Mount Weather tra due giorni… esattamente il…” si guardò attorno per cercare un calendario “… il 18 dicembre. Non chiedetemi perché, ma è il giorno giusto, me lo sento…”.

Mulder e Scully si guardarono, poi sorrisero a William.

“D’accordo giovanotto” gli disse Mulder “Ora vediamo di dormire ancora un po’. Domani spiegherai tutto per filo e per segno a tutti noi”.

William gli sorrise e annuì.

TERZA PARTE-Martedì 18 dicembre 2012

“Parcheggia qui”.

Skinner fermò il furgone con il quale avevano deciso di raggiungere Mount Weather, nel punto esatto in cui William gli aveva suggerito di fermarsi, in mezzo alla foresta che costeggiava il presidio militare.

“Siamo esattamente ad un passo dal perimetro recintato con il laser. Qui non ci possono vedere”.

“Ne sei certo?” chiese Doggett.

Gibson Praie gli mise una mano sulla spalla.

“Fidati di lui”.

John annuì. Era un po’ frustrante essere in auto con qualcuno che leggeva nel pensiero…

“Mi spiace!” si scusò Gibson con una risatina. John sbuffò.

“Ok” continuò William “Ora prendete tutta l’attrezzatura e preparatevi per scattare verso la costruzione. Vi dirò io quando sarà il momento di agire”.

Obbedendo a William, Mulder, Doggett, Skinner, Gibson e Jared scesero dal furgone e indossarono resistenti giubbotti antiproiettile e copricapo rinforzat. Caricarono in spalla i mitragliatori, sistemandosi bene le cinture piene di proiettili attorno al torace.

Jared si sporse dentro il furgoncino e ne estrasse un altro.

“Qui ce n’è uno in più… se non vi spiace me lo prendo io”.

“Ce la fai a usarli insieme?” gli chiese Mulder.

Jared gli fece l’occhiolino.

“Ho combattuto in Vietnam, seppur per pochissimi mesi. So come si impugnano e usano più armi in contemporanea”.

Imbracciò le due file di proiettili e le incrociò sul petto a formare una X, poi si mise in spalla entrambi i mitragliatori.

Un rombo di tuono annunciò l’arrivo di un temporale.

Quel suono li fece rabbrividire inconsapevolmente.

Nei due giorni precedenti, c’erano stati altri attacchi alieni, ma, questa volta, le navi spaziali si erano rese visibili, provocando ondate di panico e isterismo di massa.

Le persone che non erano state uccise dai loro raggi mortali, si erano uccise tra loro scappando, cercando una qualsiasi via di fuga… Purtroppo l’orrore di guerre di quella portata era anche questo: il tributo pagato in nome del terrore e dello spirito di sopravvivenza.

Il giorno prima, alcuni alieni erano anche scesi sul suolo terrestre, e avevano seminato il panico tra la popolazione mondiale. Hanno saccheggiato, distrutto, rapito, ucciso…

Il mondo stava affrontando la sua peggior minaccia senza protezione, senza preparazione… senza dignità. L’eterna domanda: esistono o meno altre forme di vita intelligente nell’universo? aveva avuto risposta nel peggiore dei modi.

Loro aveva trascorso quelle due notti e quei due giorni stretti in quel furgoncino.

I luoghi che di volta in volta indicava William per fermarsi, si erano sempre rivelati sicuri e protetti.

La convivenza forzata in un ambiente così angusto non era stata di certo né piacevole, né semplice, ma si erano tutti adattati, con spirito di sacrificio, in nome di una lotta che intendevano vincere, lottando con le unghie e con i denti. Perendo se necessario.

William osservò il cielo, notando alcuni lampi dare bella mostra di sé nel cielo grigio del crepuscolo.

“Ci siamo quasi… state pronti”.

Scully si avvicinò a Mulder e, stando attenta a non spostargli le munizioni dal petto, lo strinse in un abbraccio carico d’amore e di tensione. Mulder si chinò a baciarla, con un’intensità che avrebbe potuto sradicare tutti gli alberi nel raggio di qualche miglio. Si persero entrambi, per un momento, nella dolcezza di quell’intimo contatto.

John e Monica fecero lo stesso.

Skinner, Jared e Gibson distolsero, rispettosamente, lo sguardo da quelle esternazioni di amore e congedo.

Scully si separò riluttante dalle calde labbra di Mulder e lo guardò con occhi lucidi.

“Sta attento, mi raccomando… io e William abbiamo bisogno di te…”.

Mulder le sorrise dolcemente, accarezzandole una guancia con la punta delle dita.

“Vi prometto che tornerò…”.

Le mise la mano alla base del collo e attirò la sua testa a sé.

Posò per un istante la sua fronte su quella di Scully, poi le avvicinò le labbra all’orecchio.

“So che non te lo dico molto spesso, ma ti amo… immensamente…”.

Scully chiuse gli occhi e sospirò.

Mulder si staccò da lei e si guardarono negli occhi.

“Lo so…”. Gli accarezzò la guancia un ultima volta, poi si allontanò da lui.

William prese il suo posto.

Si strinse a suo padre e cercò di trasmettergli parte del suo ottimismo.

“Buona fortuna”.

Mulder gli sorrise, poi si allineò assieme agli altri “combattenti”.

Scully strinse William contro il suo petto, mentre una pioggia sottile iniziò a cadere dal cielo.

Monica si mise al loro fianco, guardando il cielo farsi sempre più buio.

William chiuse gli occhi per un istante.

Un lampo squarciò il cielo e lo illuminò a giorno, seguito da un rombo di tuono fortissimo.

Il fulmine si scaricò a pochi metri da loro.

William riaprì gli occhi.

“Ora!”.

I cinque uomini presero a camminare in direzione del presidio.

Nessun allarme scattò, nessun movimento strano indicò loro che gli occupanti di Mount Weather si erano accorti del loro arrivo.

William sapeva che il fulmine avrebbe interrotto il sistema di difesa esterno.

Zar uggiolò piano, osservando il suo padrone andarsene.

William gli accarezzò la testa e, assieme a Dana e Monica, rimase a guardare le schiene degli uomini allontanarsi, fino a che non furono inghiottite dal buio della foresta.

 

Mulder si mise in testa alla fila e fece segno agli altri di acquattarsi.

Nascosto dietro un riparo naturale formato da piante e arbusti, osservò l’esterno del presidio.

L’aveva notato anche dalle foto satellitari, ma vedendolo di persona risultava più imponente. Rispetto a  10 anni prima, quando era andato in quel luogo per scoprire la verità sull’invasione aliena, avevano ampliato il complesso esterno aggiungendo due nuove aree chiuse.

Sembravano enormi casali di impronta colonica, ma era pronto a scommettere che dentro fossero dotati di tutte le tecnologie umane più avanzate… e di buona parte di quelle aliene.

Mentre rifletteva sul fatto che molto probabilmente l’allargamento esterno corrispondeva nella stessa misura, se non maggiormente, ad un ampliamento nel sottosuolo, due persone uscirono dalla parte laterale della costruzione di sinistra.

Mulder fece segno ai compagni di non fare rumore e affinò lo sguardo. Dalla corporatura sembravano due uomini, statura alta e spalle larghe. Mentre cercava di vedere altri particolari, uno dei due iniziò a trafficare con una specie di interruttore posto sul fianco della parete esterna.

Gibson si avvicinò a Mulder, silenziosamente.

“Stanno constatando che la corrente ancora manca, almeno all’esterno. Il fulmine ha messo fuori uso l’alimentatore”.

Guardarono uno dei due uomini sporgersi all’interno e lo sentirono urlare qualcosa di incomprensibile.

“Sta dicendo agli altri che non funziona ancora nulla…”.

L’uomo che era rimasto fermo all’esterno, si guardò attorno, con aria annoiata.

La pioggia iniziò a scendere insistentemente, rendendo difficoltosa la visuale.

In pochi istanti si ritrovarono zuppi e infreddoliti, ma non potevano ancora muoversi, non vedendo quasi ad un palmo dal loro naso. L’uomo del presidio era diventato un’ombra priva di contorni definiti.

Gibson toccò il suo braccio sinistro.

“L’altro sta per tornare in superficie, forse hanno aggiustato il guasto”.

L’altro uomo uscì e riprovò a premere sugli interruttori.

Il tipico ronzio dell’elettricità statica si unì allo scrosciare della pioggia e una serie di lampade semplicissime si illuminarono. Erano appese a dei cavi elettrici, che univano le sommità dei tre edifici formanti il presidio di Mount Weather.

Una luce ambrata e artificiale illuminò la zona circostante, permettendo ai cinque uomini di vedere meglio.

Le linee nette formate dalle gocce di poggia cadenti assomigliavano ad un fitto reticolato che circondava la zona.

Mulder si voltò verso l’interno della foresta, nella direzione da cui erano venuti, capendo che anche la protezione ai raggi laser, molto probabilmente, era stata ripristinata.

Ora erano… in trappola.

Potevano solo sperare di fare una strage di supersoldati… o di morire nel tentativo.

Ma quest’ultima opzione non era contemplata, almeno non per lui, che aveva fatto una promessa alle due persone cui teneva di più al mondo, e non aveva nessuna intenzione di infrangerla.

I due uomini all’esterno del presidio indossavano divise mimetiche sui toni dell’arancione e sembravano davvero dei militari, soprattutto per il loro portamento fiero ed eretto.

Gibson lesse nel pensiero di Mulder e scosse la testa.

“Sono supersoldati… lì dentro sono tutti supersoldati…” disse le ultime parole in tono monocorde, come se fosse stanco e scoraggiato.

“Che intendi?” chiese Doggett.

Gibson fece un segno con la testa in direzione del presidio.

“Gli umani, gli uomini del governo ombra, sono rinchiusi in specie di celle sotterranee… Sono denutriti, vivono al buio, in uno spazio molto ristretto… assieme ai loro bisogni corporei…

Due di loro sono morti nelle scorse settimane…”.

Si voltò verso gli altri.

“Questo si guadagna a prendere le parti del nemico…”.

Skinner abbassò il capo, come se si vergognasse, invece Jared alzò le spalle in un gesto indifferente.

“Ben gli sta…” sussurrò a voce talmente bassa che lo sentì solo Mulder, che gli era accovacciato di fianco.

“Bene…” disse Mulder per interrompere quella situazione di stallo “… Gibson, hai una panoramica della situazione all’interno? Come consigli di procedere?”.

Gibson annuì.

“Facciamo fuori quei due all’esterno e poi entriamo dalla porta dalla quale loro sono usciti. Il sottosuolo è un’unica enorme stanza… lì inizieranno i giochi!”.

Mulder assentì con un gesto secco.

“Pronti?”.

Un convinto fece eco alla sua domanda.

“Allora si aprano le danze!”.

Come fossero stati un’unica entità, i cinque uomini si alzarono e si misero a correre verso i due supersoldati che stavano maneggiando una cassa di legno dall’aria pesante.

Quando sentirono i pesanti passi della corsa della squadra capeggiata da Mulder schizzare fango ovunque si girarono, pronti allo scontro, ma furono investiti da una raffica di proiettili alla magnetite.

Sui loro volti si dipinse un’espressione di totale incredulità prima che i loro corpi esplodessero in milioni di granelli di polvere di metallo.

Mulder sorrise raggiante verso i suoi compagni. Fino all’ultimo aveva temuto che il loro piano non avrebbe avuto esiti positivi. Temeva che sarebbero serviti troppi proiettili per uccidere singoli supersoldati, invece, seguendo il consiglio di Kryceck, aveva mirato ai punti vitali, uccidendo velocemente il supersoldato che aveva acceso le luci all’esterno. Si stupì anche di avere ancora una mira così precisa, dopo tanti anni senza impugnare una pistola.

Silenziosamente, ma velocemente, si avvicinarono alla porta arrugginita.

Mulder si mise sul fianco destro, Doggett sul sinistro.

Si guardarono e si scambiarono un segno d’assenso col capo.

Poi Mulder alzò la mano davanti al volto.

3…

2…

1…

Un calcio ben assestato contro la porta.

La porta cedette con un gran fragore, ma a loro non importava.

Dall’interno si sentirono arrivare voci e movimenti concitati.

Fu un sollievo, quando entrarono, non sentire più la pioggia martellare incessantemente sui loro corpi. Il suo rumore scrosciante si udiva debolmente all’interno dell’edificio, e creava un effetto di sottofondo adatto ad un luogo romantico.

Mulder sorrise del suo pensiero incoerente.

Il gruppo si mosse con movimenti coordinati lungo un buio e stretto corridoio che si snodava in discesa. L’ambiente trasudava il nauseante odore di muffa e di chiuso. Goccioline di umidità cadevano sul capo degli uomini, contribuendo a bagnare le loro teste già fradice.

Verso la fine di quello stretto tunnel si scorgeva una minuscola luce splendente, segno che l’uscita era ancora molto lontana. La sua luminosità venne presto oscurata dall’arrivo di un gruppo di supersoldati armati.

Senza attendere, Mulder iniziò a sparare.

I supersoldati riuscirono a rispondere al fuoco per pochissimi secondi, prima che le loro membra si irrigidissero nell’attimo precedente la morte.

L’oscurità non aiutava di certo la mira, perciò servirono molti più proiettili per disintegrare quel gruppo formato da quattro elementi.

Jared si mise al fianco di Mulder e, con i suoi due mitragliatori, falciò tre supersoldati che arrivarono per dare sostegno al primo gruppo.

Il rumore degli spari riecheggiò fastidiosamente lungo le pareti.

“Fate attenzione alla polvere sul pavimento!” Mulder gridò le sue parole mentre correva verso la fine del tunnel. L’eco della sua voce rimbalzò un paio di volte, poi si perse nell’aria stantia.

Quando arrivarono alla fine dello stretto corridoio, i loro occhi si strinsero per un momento. L’intensità della luce all’interno del bunker era davvero accecante, soprattutto per le loro iridi, abituate all’oscurità del tunnel.

Quando i loro occhi si abituarono al riverbero, una serie di colpi di pistola arrivò rasente i loro corpi..

Istintivamente si abbassarono ed iniziarono a sparare.

Un gruppo consistente di supersoldati venne loro incontro. Impugnavano armi d’ordinanza militare e sparavano con l’intento di uccidere.

I proiettili alla magnetite che li raggiungevano, anche se non in punti vitali, avevano il potere di rallentarli, di farli vibrare di dolore, cosicché la loro presa sulle pistole risultava precaria e inconsistente e i colpi sempre meno precisi.

Quando anche quel gruppo si disintegrò in mille piccoli granelli, Mulder fece segno di avanzare con cautela.

“Gibson… hai una stima del loro numero?”.

Gibson stette in silenzio per un momento, ascoltando quante più voci mentali aliene riuscisse.

“C’è un gruppetto formato da sei elementi che sta giungendo a noi. Gli altri sono tutti fermi molti livelli sottostanti. Stanno lavorando su di una tavola trasparente… non vedo bene, ma non sono tantissimi, circa una cinquantina di supersoldati… Poi ce n’è un altro gruppetto di circa 20… sono i  difensori e ci attaccheranno se questi non dovessero riuscire a farci fuori.

Sono leggermente ansiosi… non sanno chi siamo, né perché gli altri non siano già riusciti a falciarci.

Non sento altro, per ora”.

Mulder assentì.

“Quelli attorno al tavolo non hanno intenzione di attaccare?”.

“No, almeno fino a quando non si riterrà necessario. Sono concentrati su qualcosa…”.

Ma Gibson non fece in tempo a terminare la frase, perché il rumore di passi in corsa arrivò alle loro orecchie dalla scala metallica che si trovava a pochi metri di distanza da loro.

“Pronti a sparare. Cercate di colpire cuore, fronte e  stomaco, così risparmierete proiettili”.

Doggett gli si mise in fianco, seguito da Skinner.

Mulder fece segno a Jared di posizionarsi al suo fianco.

Guardò Gibson.

“Tu rimani il più nascosto possibile”, poi guardò gli altri. “Cercate di proteggerlo”.

Gibson sbuffò.

“Non sono più un bambino Mulder!”.

“Lo so” rispose secco lui “Ma rivesti un ruolo importante nella nostra operazione, non possiamo rischiare di perderti”.

I passi lasciarono il posto ai corpi massicci di quattro supersoldati di sesso maschile e alle figure alte e longilinee di due supersoldati di sesso femminile.

Erano due ragazze di bellissima presenza, visi d’angelo, su corpi perfetti, visibili anche sotto la divisa militare che indossavano.

Un bel trucchetto per ingannare ignari esseri umani…

Le mitragliatrici iniziarono a sputare proiettili modificati addosso ai sei nemici, che ebbero appena il tempo di sparare alcuni colpi di pistola, prima che i loro colpi divenissero incontrollabili.

Mentre i suoi compagni si disintegravano, uno dei supersoldati, colpito di striscio al braccio, si spostò di lato, tentando una manovra evasiva, ma Jared, che teneva d’occhio la situazione con entrambe le sue appendici armate, lo vide allontanarsi e sparare.

Il proiettile del supersoldato lo colpì dritto al cuore. Jared sentì una forza enorme spingerlo indietro e un dolore lancinante al petto.

Gibson corse in suo soccorso distruggendo il supersoldato che l’aveva colpito.

Si inginocchiò di fianco a lui e lo aiutò a farsi forza per rialzarsi.

Jared era sicuro che gli si fossero incrinate alcune costole, il colpo era stato parato da una distanza piuttosto ravvicinata. Il giubbotto aveva protetto i suo torace, ma il contraccolpo era stato decisamente potente.

“Tutto ok?” si informò Mulder.

Jared si tirò in piedi con una smorfia di dolore, ma con il pollice alzato gli fece cenno che era tutto ok. Si fece forza e proseguì con il suo gruppo.

Scesero le scale dalle quale erano arrivati i supersoldati, armi spianate, sguardi attenti.

I cinque uomini si guardarono attorno.

L’ambiente era molto grande, ma molto spoglio, almeno nel primo livello.

A molti metri di distanza, sotto di loro si scorgevano macchinari e aggeggi dall’aria arrugginita.

Mulder indicò un punto sotto di sé.

“Riconosco quella specie di pontile di ferro… E’ da dove ho buttato Knowle Roher sui fili dell’alta tensione sottostanti… Abbiamo già percorso tutta questa strada?”.

Doggett si guardò intorno.

“Il tunnel iniziale era molto lungo, probabilmente si snodava per molti metri… I macchinari là sotto, però…” e con un gesto del mento indicò il punto sottostante “… sembrano in disuso da un bel po’…”.

Mulder non poté che concordare. Sembravano cimeli risalenti alla seconda guerra mondiale. Eppure, quando vi era entrato, 10 anni prima, erano funzionanti e all’avanguardia.

Molto probabilmente, erano stati abbandonati per macchinari tecnologicamente molto più avanzati di natura aliena.

“Gibson” lo chiamò piano. “Riesci a vedere com’è fatto quel tavolo sul quale sta lavorando il gruppo di supersoldati?”.

Gibson si concentrò, chiudendo gli occhi per vedere meglio le immagini che scorrevano nella mente degli alieni.

“E’ di grandi dimensioni. Quadrato, o rettangolare, non capisco bene. E’ bianco, semitrasparente… appena sotto la sua superficie scorgo dei simboli, dei numeri… sembrano coordinate, ma non ne sono certo.

Li muovono con le mani, tipo quel film con Tom Cruise, vi ricordate? Minority Report…”.

Aprì gli occhi, scuotendo la testa.

“Non riesco ad essere più preciso. Le menti sono troppe, è un brusio di voci e un sovrapporsi di immagini… mi mettono in confusione…”.

Skinner gli mise una mano sulla spalla.

“Va benissimo così, tranquillo”.

Mulder sottolineò le parole del vicedirettore scoccandogli un sorriso di gratitudine.

Proseguirono lungo una serie di pontili di metallo, sospesi su profondi scavi. Alcuni punti erano molto arrugginiti, poco curati, ma mentre si inoltravano verso livelli più profondi, le scale e i pontili iniziarono a farsi più curati, più moderni. Il materiale con cui erano costruiti assomigliava molto al metallo, ma al tatto appariva caldo. La sua consistenza era la medesima del ferro, ma aveva qualcosa di diverso, sembrava quasi malleabile.

“Ma che cos’è?” chiese Doggett, mentre provava a buttarsi con tutto il peso contro la balaustra. Questa si modellò contro il suo corpo, respingendolo.

“Accidenti!” Jared sputò quell’esclamazione di stupore con una smorfia di dolore. La sua mano salì a massaggiarsi le costole.

“Tecnologia aliena?” chiese Skinner, grattandosi una guancia ancora umida di pioggia e sudore.

Mulder si strinse nelle spalle.

“Deduco di sì… Se questa storia finisce bene sarà meglio che ce la facciamo prestare… Possiamo usarla per fabbricare auto, guardrail… ci sarebbero meno incidenti mortali!”.

Mentre proseguivano lungo il cammino che li avrebbe condotti faccia a faccia con i supersoldati e i loro piani di conquista, iniziarono a fantasticare su tutte le applicazioni che quello strano materiale avrebbe potuto avere nel loro mondo umano.

Quelle piccole fantasie servirono a stemperare un po’ la tensione che li aveva accompagnati da quando erano scesi da quel furgone. Erano consapevoli dei rischi che comportava la loro operazione, ma sapevano anche che essere troppo tesi avrebbe solamente contribuito a far fare loro qualche passo falso.

Il peso delle mitragliatrici e delle cinture piene di proiettili bastava a ricordare loro il terribile fardello che gravava sulle loro coscienze. Non si trattava delle loro vite soltanto, si trattava delle vite dei loro cari, delle loro famiglie, e di miliardi e miliardi di altre persone sparse per tutto il globo.

Non si aveva ancora una stima precisa del numero di vittime complessive che gli attacchi alieni dei giorni scorsi avevano mietuto. La radiolina portatile che avevano con loro non dava notizie molto particolareggiate, anche perché erano davvero poche le stazioni che ancora trasmettevano.

Le televisioni, ormai, erano pressoché mute e piene di solitarie righe grigie. Nessuno se la sentiva più di trasmettere telegiornali. Nessuno se la sentiva più di perdere istanti preziosi di vita incollato alla televisione.

Mano a mano che la squadra, denominata Ouroboros, proseguiva, uno strano odore arrivò alle loro narici. Quasi tutti i nasi si levarono in aria, annusando, tentando di capire.

“Lo sentite quest’odore?” chiese John.

“Si…” rispose Skinner “E’ molto dolce, mi brucia quasi il naso” e a sottolineare le sue parole se lo sfregò energicamente.

“Avete mai sentito qualcosa di simile?”.

Nessuno rispose.

Mulder stava riflettendo. Quell’odore non gli era nuovo, ne era certo. Era sicuro d’averlo già sentito da qualche altra parte, ma non ricordava né dove, né in quale contesto, né a cosa appartenesse.

Il passo rapido di un’altra squadriglia di supersoldati interruppe le sue elucubrazioni.

“Ci risiamo! Mi sembra di essere dentro il gioco di Resident Evil! Cammini per un po’ tranquillo, poi arrivo lo zombie a guastarti la festa!” commentò Mulder, mentre impugnava stretto il mitragliatore, imitato da tutti gli altri.

Iniziarono a sparare non appena le sagome dei supersoldati si fecero avanti.

Avevano preso tutti confidenza con il grilletto della mitragliatrice e il suo lieve rinculo. I proiettili mortali finirono quasi tutti nei punti vitali degli alieni, prima che questi riuscissero a sparare un colpo.

Quando anche l’ultimo dei supersoldati morì, un rumore di mani che urtano tra di loro rimbombò nell’aria.

“I miei complimenti!”.

Una voce che Mulder conosceva bene arrivò alle loro orecchie, prima che la sagoma di Billy Miles, a braccia alzate, in segno di resa, facesse la sua comparsa.

Calpestò con aria divertita i resti polverosi dei suoi compagni alieni, poi rivolse un sorriso beffardo a Mulder.

“Ci rivediamo Mulder…”.

“Non posso dire che sia un piacere… Ti è ritornata la voce? Le ultime volte che ti ho visto eri piuttosto taciturno…” rispose Mulder ironicamente.

Billy abbandonò le braccia lungo il busto e alzò le spalle in un gesto indifferente.

“Parlo solo se necessario…” sorrise con gli angoli della bocca.

Mulder scoccò la lingua, con aria falsamente incuriosita.

“Ne deduco che tu abbia qualcosa da dire…”.

Billy annuì, poi sospirò con aria mesta.

A John e Skinner tutta questa messinscena non piaceva per nulla. Li innervosiva.

“Devo comunicarti, con mio grande rammarico, che tu e i tuoi amici non state godendo della simpatia dei miei superiori… proprio per niente…”.

“Sono desolato…” rispose Mulder.

“Già… ma vedi… non è molto saggio inimicarsi persone del calibro dei miei superiori. Sono qui per condurvi da loro… per un’offerta… di pace”.

Mulder rise di gusto. La sua risata profonda e leggermente rauca per via dell’alto tasso di umidità presente in quel luogo, echeggiò tra le pareti di roccia e raggiunse le orecchie dei supersoldati assiepati attorno al tavolo, pochi metri sotto di loro.

Le poche guardie rimaste al fianco dei supersoldati di grado superiore si guardarono incuriosite. Non erano abituati a essere dei facili bersagli per fragili e stupidi umani. Il coraggio di quei cinque uomini li lasciava interdetti, e leggermente irrequieti.

I loro superiori sembravano non curarsi troppo della strana situazione che si stava piano piano avvicinando a loro. Erano troppo concentrati sui loro piani di colonizzazione per distrarsi.

Dalle celle stipate pochi gradini sotto di loro, giunse il lamento di un uomo. Seguì un tonfo sordo. Un altro gemito di dolore, poi più nulla.

Billy guardò Mulder con un luccichio divertito negli occhi.

“Non mi credi?”.

“Per niente! Però ti trovo molto divertente!”.

Billy Miles rispose con una smorfia indispettita.

John sbuffò sonoramente e si mise davanti a Mulder e Gibson, spalleggiato da Skinner. Jared si spostò leggermente di lato, in modo da proteggere il più giovane fra loro.

“Sai che ti dico?”. Doggett gli si rivolse con tono annoiato. “Mi hai stancato!”.

Premette il grilletto quattro o cinque volte, gli occhi puntati sul corpo di Billy Miles. Vide il suo volto farsi grigiastro, metallico, poi lo vide tremare e esplodere in mille granelli di polvere.

Mulder scosse la testa.

“Come sei maleducato… stavamo conversando…”.

Iniziarono ad incamminarsi verso l’ultima rampa di scale, che li avrebbe condotti faccia a faccia con i restanti supersoldati.

Gibson accelerò il passo e posò una mano sulla spalla di Mulder.

“Aspetta… “.

“Cosa c’è Gibson?” Skinner gli si mise di fronte e lo scrutò con aria preoccupata.

“Questi sono molti di più dei piccoli gruppetti con cui ci siamo scontrati fino ad adesso… e molto più potenti. Credo siano anche dotati di poteri telecinetici. Dobbiamo fare molta attenzione…”.

Doggett proseguì con aria risoluta.

“Lo sapevamo che non sarebbe stata una passeggiata, finora c’era andata fin troppo bene… Forza!”. Fece loro segno con la mano di seguirlo.

Mulder, mentre avanzava assieme agli altri, si concesse un istante per pensare a Scully e a William.

Erano al sicuro là fuori? Stavano bene? Avevano freddo? Erano al riparo?

Mille pensieri, mille preoccupazioni, mille immagini gli si affollavano nella mente.

Tutti i preziosi momenti passati con Scully -non solo da quando stavano assieme, ma appartenenti anche alla loro vita da semplici colleghi dell’FBI- iniziarono a sovrapporsi all’immagine di William. Il suo visetto di neonato, in quegli unici due giorni che gli erano stati concessi per stare assieme si mescolava al volto di piccolo adulto che si era abituato a vedere in quelle ultime settimane.

E Scully. Ancora Scully.

Il suo angelo, la sua vita, la sua forza. Il suo amore.

Si riscosse quando, senza accorgersene, andò a sbattere contro la schiena di Jared.

Il gruppo si era fermato.

Davanti a loro una schiera di supersoldati sbarrava loro la strada.

Allungandosi leggermente sulle punte dei piedi, Mulder vide che, dietro il muro alieno, c’era il famoso tavolo di cui aveva parlato Gibson. Attorno vi era circa una decina di supersoldati.

Questo significava che molti di loro avevano abbandonato la loro postazione “privilegiata” per combattere.

I loro volti erano tesi, ma agguerriti. Uomini e donne, schierati uno di fianco all’altro, li guardavano con aria di sfida, ma anche con una buona dose di curiosità.

La prima fila, formata da circa una ventina di elementi, impugnava armi che Mulder e gli altri non avevano mai visto, se non nei film di fantascienza.

Le linee retrostanti, invece, erano formate da supersoldati vestiti in abiti civili e non impugnavano nessun’arma, ma a Mulder fecero scorrere dei brividi lungo la schiena.

Non erano i volti inespressivi dei supersoldati che era abituato a vedere… Questi avevano un luccichio malvagio che accendeva le loro pupille scure e un ghigno appena accennato che tendeva le loro labbra.

Non seppe dire bene perché, ma gli fecero correre un brivido di puro terrore lungo la schiena.

Senza dire una parola, i supersoldati in prima linea alzarono le loro armi.

“Tutti giùùùù!!!” Mulder urlò l’ordine a squarciagola, e, mentre rotolava assieme agli altri sul pavimento e iniziavano a sparare contro gli alieni, lampi verdi e violetti iniziarono a saettare sopra le loro teste. I punti in cui si andavano a schiantare esplodevano con un gran fragore. La roccia della caverna fu ben presto piena di buchi e crepe. Il raggio viola provocava delle vampate infuocate, prima di scheggiare il muro, mentre il verde congelava la parete, disintegrandola.

Cercando di non venire colpito da un raggio vagante, John si alzò e si spostò sulla sinistra, in modo da controllare il gruppo di combattenti da un’altra angolazione.

Mentre uccideva il più vicino dei supersoldati, il raggio violetto scagliato durante il tremore da quest’ultimo, lo sfiorò all’avambraccio sinistro. Immediatamente la pelle iniziò a scottargli e prese fuoco, incendiando anche la manica del suo giubbotto.

Il dolore lo fece urlare a squarciagola, attirando su di sé l’attenzione dei supersoldati ancora in vita.

Mulder si accorse della situazione e iniziò a sparare a più non posso.

“Aiutate Doggett! Io vi copro!”. Si abbassò appena in tempo per schivare un raggio verde che gli saettò sopra i capelli.

Impugnò saldamente il mitragliatore e si tirò in piedi velocemente. Iniziò a sparare a raffica, avendo cura di uccidere i nemici in velocità. Con la coda dell’occhio vide Skinner togliersi il cappotto e sbatterlo ripetutamente sul braccio infuocato di Doggett. Jared era dietro di lui e lo aiutava ad annientare i supersoldati, mentre Gibson si assicurava che  John rimanesse fermo.

Mulder vide un raggio verde dirigersi inesorabilmente verso il petto di Jared. Dubitava che i giubbotti antiproiettile avrebbero aiutato con armi di quel tipo.

Senza pensarci si tuffò su di lui e lo buttò a terra, appena un attimo prima che il raggio li investisse.

“Grazie…” sussurrò Jared.

Mulder si tirò in piedi, stando bene attento a non incorrere nella traiettoria di un gruppo di raggi di entrambi i colori e riprese a sparare, uccidendone due con pochi colpi.

“Fa fuori questi bastardi e sarò ampiamente ripagato” gli rispose Mulder, ansimando.

Jared lo prese in parola e iniziò a far fuori quanti più supersoldati poté.

Skinner, accertatosi che Doggett stava bene, ritornò in prima linea e aiutò gli altri due a terminare il lavoro.

Quando anche l’ultimo raggio viola andò a morire, in un alone di fuoco, contro la parete rocciosa, poterono tirare un sospiro.

Almeno la prima linea dei soldati armati era stata distrutta.

John si tirò in piedi e recuperò la sua arma. Gibson lo osservò, per accertarsi che non avesse bisogno di aiuto, poi si allinearono ai loro compagni, davanti al plotone dei supersoldati disarmati.

Questi strinsero leggermente gli occhi.

Nello stesso istante le loro mitragliatrici iniziarono a tremare tra le loro mani. Una forza invisibile iniziò a tirarle, a cercare di strappargliele di mano.

Mulder strinse i denti. E osservò attentamente i volti dei supersoldati.

Facendo forza sulla sua arma, nel tentativo di tenerla tra le sue mani, si accorse che gli occhi degli alieni non erano puntati sulle armi, bensì nei loro occhi.

Forse la sua deduzione era sbagliata, forse aveva portato i suoi amici in un campo di battaglia dal quale sarebbero usciti sconfitti, ma era l’unica possibilità che avevano.

Fece qualche passo indietro e distolse lo sguardo dagli occhi magnetici dei supersoldati.

All’iniziò non cambiò nulla, ma poi, a poco a poco, la sensazione di essere in lotta con una forza invisibile che lo voleva disarmare cessò.

Due dei supersoldati si staccarono dal gruppo e provarono ad avvicinarsi a lui. Cercavano i suoi occhi.

Mulder li chiuse, serrando forte le palpebre.

“Chiudete gli occhi!” disse agli altri.

“Che cosa?!” chiese Doggett, nella voce lo sforzo che stava facendo per tenere con sé il mitragliatore.

“Chiudete gli occhi! Non hanno poteri telecinetici, ma riescono a farti credere quello che vogliono con lo sguardo! Gibson!!!” urlò il nome del ragazzo, poi aprì lentamente un occhio per riuscire ad individuarlo.

Quello che vide gli gelò il sangue nelle vene.

Gibson, lo sguardo vacuo e apatico, stava consegnando la sua arma a uno dei supersoldati, che lo prese poi per un braccio e lo condusse verso un piccolo antro alla loro sinistra.

“Gibson, nooo!”.

Vide nello sguardo degli altri lo stesso sconcerto che stava provando lui.

Una rabbia cieca si impossessò del suo corpo.

Dette un’occhiata veloce al consistente numero di supersoldati, si allineò ai suoi compagni, poi richiuse gli occhi, prima che questi potessero influire ancora sulle sue percezioni.

E iniziò a sparare.

Alla cieca.

Poco dopo, sentì il rumore ritmico delle armi degli altri unirsi al suono del suono. Il tonfo metallico dei bozzoli dei proiettili faceva da sottofondo al fragore degli spari e al suono attutito dei corpi alieni che esplodevano.

Aprì gli occhi e vide che i sopravvissuti, con uno sguardo estremamente crudele sul volto, si stavano avvicinando, le mani contratte. Se li avessero presi alla gola non avrebbero avuto scampo.

“Indietro!!!” urlò a squarciagola.

Il suo gruppo obbedì senza fare domande, sempre ad occhi chiusi.

Quando il piede di Mulder toccò lo scalino dal quale erano scesi pochi minuti prima capì che, ora, la loro sorte era tutta riposta nella precisione dei loro spari ciechi.

La scala era troppo stretta per salirvi allineati e farlo in fila era un rischio. Avrebbero potuto spararsi per sbaglio tra di loro.

“Aprite gli occhi per alcuni istanti e prendete la mira! E sparate, sparate …”.

Il coro delle scariche dei mitragliatori investì i loro timpani con potenza, senza dare tregua. Le orecchie iniziarono a fischiare fastidiosamente, ma non avevano tempo per dare peso ai loro malesseri fisici.

Mulder aprì un occhi, mentre continuava a sparare. Vide che l’aria era satura di polvere metallica, densa, fissa, come fosse nebbia. Il numero dei supersoldati si era notevolmente ridotto, almeno immediatamente davanti al suo corpo.

Prese un profondo respiro e si voltò verso i suoi compagni, per vedere se avevano bisogno d’aiuto.

Doggett, alla sua destra, teneva gli occhi ermeticamente chiusi e sparava con notevole precisione. I “suoi” alieni venivano annientati con facilità.

Spostò lo sguardo oltre e vide Skinner muovere le braccia a destra e a sinistra, mentre le dita premevano incessantemente sul grilletto.

Scaricando un’altra dose di proiettili contro i supersoldati, si spostò dietro Doggett e cercò di raggiungere in fretta Skinner.

La sua mira era meno precisa rispetto a quella di John e i suoi proiettili erano quasi terminati.

Si incuneò tra il vicedirettore e Jared, che aprì gli occhi per un istante, incuriosito dal suo arrivo.

“Quanti ne mancano?” chiese.

Mulder iniziò nuovamente a sparare, tenendo gli occhi aperti. Sentiva la forza aliena prendere possesso delle sue capacità motorie, ma l’esiguo numero di nemici gli permetteva di non farsi sopraffare.

“Non molti, tenete duro…”.

Jared annuì con convinzione, si voltò, ad occhi spalancati, verso il muro di supersoldati, impugnò strettamente le sue due armi e sparò. Sparò. Sparò.

Il peso dei mitragliatori iniziava a pesare sulle braccia di tutti, crampi dolorosi cominciarono a rendere i movimenti meno scattanti e più difficili da compiere.

Ancora pochi…

Quelle due parole li aiutarono a resistere, a stringere i denti per inibire il dolore alle articolazioni.

Quando tutti riaprirono gli occhi e videro, con enorme sollievo, che erano rimasti circa 10 supersoldati da abbattere, un urlo agghiacciante, pieno di dolore e angoscia, un suono che non avrebbero mai più scordato per tutta la loro vita, scalzò il momentaneo senso di rilassamento.

“Gibson!” Mulder sentì il sangue ghiacciarglisi nelle vene.

Jared si mise a correre nella direzione in cui prima era stato portato Gibson. Gli altri gli coprirono le spalle, uccidendo anche gli ultimi superstiti tra i supersoldati.

Uno spesso strato polveroso e grigiastro formava un manto sopra il pavimento di roccia.

Attorno al tavolo rimanevano sei supersoldati, ma nessuno, tra Mulder, Doggett e Skinner badò molto a loro. I loro sensi erano completamenti assorbiti dalla corsa di Jared verso il piccolo anfratto nel quale era sparito Gibson.

Così non videro uno degli alieni piegarsi, prendere una delle armi cadute di mano ai soldati morti, non lo videro puntarla contro la schiena di Jared…

Videro solamente il raggio verde attraversare la sala e andare a fermarsi dritto nella schiena di Jared.

“Nooooo!!” Mulder corse immediatamente verso di lui, incurante dell’arma aliena puntata contro di lui.

Doggett sparò ripetutamente all’alieno prima che questo potesse colpire anche Mulder.

Jared era immobile, un’espressione stupita dipinta sul volto. Il suo corpo, molto velocemente si fece rigido, bluastro. Poi divenne una spessa lastra di ghiaccio.

Cadde a terra e si ruppe in mille schegge.

Mulder si inginocchiò accanto ai frammenti, che ancora riportavano una vaga forma umana, e poggiò le mani a terra, ferendosi un palmo con una scheggia tagliente.

Un caro amico, forse il più caro che aveva avuto negli ultimi tempi, escludendo Scully, se n’era andato. Era morto lottando per l’umanità, per persone che nemmeno conosceva. Con coraggio, con rabbia… ed era morto senza nemmeno avere l’onore di sapere se il suo sacrificio era valso a qualcosa oppure no.

Un urlo di rabbia proruppe con forza dalle sue labbra. La gola bruciò per la potenza con cui l’aria uscì dai suoi polmoni e formò lo straziante suono passando attraverso le corde vocali.

Skinner gli si avvicinò e lo prese per un braccio.

“Non puoi fare nulla per lui. Doggett ha immobilizzato l’ultimo supersoldato. Vieni”.

Mulder si lasciò aiutare a tirarsi in piedi, lanciò un ultimo sguardo al corpo infranto di Jared, poi cercò dentro di sé la forza per guardare il volto ingrigito del supersoldato tenuto sotto controllo da John.

Doggett si voltò verso di lui.

“E’ l’ultimo rimasto. Li abbiamo fatti fuori tutti. Ho pensato che potevamo interrogarlo”.

Mulder si avvicinò al corpo dell’uomo steso a terra e gli assestò un poderoso calcio in mezzo alle gambe. Il supersoldato si contorse ed emise un gemito di dolore.

Mulder sogghignò.

“Ti fa male ora che sei debole, eh?”.

Skinner si mise a guardare i segni apparentemente privi di senso che affollavano l’enorme tavolo dalla forma rettangolare. Poi guardò l’alieno da sopra la superficie semitrasparente.  

“Che diavolo sono questi?”.

Doggett gli punto il mitragliatore all’addome.

“Rispondi prima che decida di aprirti un buco in pancia… hai idea di quanto faccia male?”.

Il supersoldato lo guardò ansimando.

“Sono i piani di colonizzazione del vostro pianeta” rispose semplicemente.

“Ma cosa significano?” lo incalzò Skinner.

“Sono per lo più punti strategici…” ansimò e poi deglutì, seppur a fatica.

Doggett lo scosse con un piede.

“Vedi di non morire prima di averci risposto, stronzo!”.

“Punti di convoglio… in cui gli umani che verranno risparmiati verranno portati, per essere contagiati dal virus e dare vita a nuovi alieni, tantissimi alieni…” tossì una rauca risata, che venne immediatamente interrotta da un altro calcio di Mulder.

“Nient’altro?”.

Il supersoldato sorrise malvagiamente.

“Alcuni verranno salvati e trasformati in ibridi, in schiavi per la nostra specie… come stanno facendo col vostro amico di là…” piegò la testa ad indicare l’anfratto nel quale era sparito Gibson.

Come se le parole dell’alieno l’avessero raggiunto, un altro angosciante urlo giunse alle loro orecchie.

“Che diavolo gli state facendo?” la voce di Mulder trasudava rabbia.

“Perché non vai a dare un’occhiata?” gli suggerì l’alieno con un ghigno.

Mulder si piegò fino a trovarsi con il volto a pochi centimetri da quello del supersoldato.

“Toglimi un’ultima curiosità… con quanta altra feccia come voi dovremo avere a che fare?”.

La risata roca e gutturale dell’alieno gli bastò come risposta.

Mulder si tirò in piedi e guardò John.

“Uccidilo. Io vado a vedere che stanno facendo a Gibson…”.

“Ma deve ancora darci delle risposte!” obbiettò Skinner.

Mulder scosse il capo.

“Anche se riuscissimo a farlo parlare e a farci dire nel dettaglio i loro pani, non riusciremo in ogni caso a contrastarli… su questo non ci sono dubbi…”.

Skinner lo fissò per qualche istante. Fissò i suoi occhi verdi, circondati da polvere, gocce di sudore e stanchezza. Poi annuì.

Alzò il mitragliatore e sparò i suoi ultimi colpi sul supersoldato, polverizzandolo.

John si mise al fianco di Mulder e spianò l’arma davanti a sé. Skinner li raggiunse, ma prima si fermò a raccogliere il mitragliatore di Jared e i proiettili.

Con cautela, entrarono nello stretto anfratto, scendendo alcuni scalini.

Il posto era buio, umido. L’odore dolciastro che avevano sentito prima si intensificava di passo in passo, mescolandosi all’odore acre di urina ed escrementi. La puzza era insopportabile.

Alla loro destra intravidero del movimento.

Tappandosi il naso con la manica del giubbotto, si diressero verso quelle che sembravano gabbie.

Gli occhi si abituarono all’oscurità e videro che si trattava di celle delimitate da sbarre di ferro. O almeno sembrava ferro, poteva benissimo essere qualche tipo di materiale alieno.

All’interno si trovavano degli uomini, due per ogni gabbia. Non riuscirono ad avere un’idea precisa del numero di prigioni… provando a spingere la loro visuale a destra e a sinistra, videro che un lungo corridoio si stendeva per chissà quanti metri.

Mulder si frugò in tasca ed estrasse la torcia.

Le gabbie a ridosso del muro si estendevano per tutta la sua lunghezza…

Uno degli uomini rinchiusi si avvicinò alla barriera, con fatica, trascinando le ginocchia sul pavimento e aggrappandosi con le mani alle sbarre.

Quando Mulder gli indirizzò sul volto la luce della torcia, questi si lamentò e si riparò gli occhi con un braccio.

“Aiutateci… vi prego…”. La sua voce era rauca, estremamente debole. Dovettero abbassarsi per riuscire a sentirlo.

John, facendosi forza contro la naturale repulsione per l’odore che quegli uomini emanavano, si inginocchiò davanti all’uomo.

“E’ il primo ministro inglese… è ridotto male…”.

Mentre Doggett cercava le parole giuste per rassicurare l’uomo, Mulder si voltò nella direzione opposta. Gli era parso di cogliere un gemito sommesso.

Con passo silenzioso si diresse verso un’apertura nella roccia, a pochi metri di distanza.

“Mulder, dove vai?” Skinner cercò di bloccarlo.

“Voi restate qui…”.

Ignorò le loro proteste. Qualcosa gli diceva che era meglio che proseguisse da solo.

Spense la torcia e impugnò la sua arma. Si accostò alla parete rocciosa e si sporse per vedere all’interno. L’odore dolciastro, che ora riuscì a collegare ai suoi ricordi, lo investì in pieno.

All’improvviso una luce fortissima gli ferì gli occhi, costringendolo a coprirsi il volto con una mano.

“Mulder!” la voce di Doggett lo raggiunse.

Mulder strizzò le palpebre per mettere a fuoco e fece segno a John e Skinner di rimanere dov’erano.

Quando gli occhi si furono abituati alla luminosità, quello che vide lo lasciò senza fiato.

Un alieno lo guardava.

Un tipico alieno grigio. La testa grande e rotonda, gli enormi occhi neri e opachi, le lunghe braccia che terminavano con quattro dita. Era nudo, privo di sesso, completamente glabro.

Stese una mano verso di lui, in un chiaro invito a seguirlo.

Mulder abbassò l’arma e lo seguì lungo un corto corridoio. Non seppe dire perché si fidasse di lui, ma c’era qualcosa nel suo sguardo che gli faceva credere di non correre nessun rischio.

Alla fine del piccolo corridoio, un gruppo di circa sette o otto alieni stavano fermi, riuniti attorno ad un lettino, nel quale era adagiato Gibson.

Sembrava stesse dormendo.

Mulder aprì la bocca per chiedere cosa gli stessero facendo, ma l’alieno che l’aveva scortato fin lì gli mise una mano davanti al volto.

Possiamo comunicare anche così…

Fu una sensazione stranissima quella che Mulder provò. Percepì chiaramente la “voce” mentale dell’alieno penetrare nei suoi tessuti cerebrali. Non faceva male, non inquietava… era semplicemente una sensazione curiosa.

Mulder non sapeva se l’alieno poteva leggerli ugualmente nel pensiero, ma nel dubbio pensò ad una domanda.

Cosa gli state facendo?

Studiamo il suo cervello… è veramente strabiliante. 

Mulder venne investito da un’acuta sferzata di rabbia.

Lo state torturando!

Mi dispiace, ma è necessario. Le sue reazioni ci dicono molto…

Siete dei bastardi! 

L’alieno rise con condiscendenza nella testa di Mulder. I grandi occhi neri brillarono per un momento.

E’ così diverso dai vostri esperimenti condotti in nome della scienza?

Mulder non seppe cosa ribattere.

Come immaginavo…

Mulder si detestò per un momento.

Avete intenzione di ucciderlo?

Certo che no!

Il tono era indignato.

Ci sarà molto utile per i nostri scopi… anche se…

Anche se? Mulder avvertì un brivido di terrore scorrergli lungo la schiena.

Aveva intuito perfettamente cosa l’alieno stava per dirgli…

Noi cerchiamo un talento ancora maggiore… un talento che sarebbe in grado di distruggerci… ma se l’avessimo dalla nostra parte…

Lasciò la frase in sospeso, in modo che il terrore prendesse possesso della mente di Mulder.

William…

L’alieno annuì, di nuovo quel luccichio negli occhi.

Nello stesso momento la terra vibrò sotto i piedi di Mulder.

Si voltò di scatto verso l’uscita e si mise a correre più forte che poté.

Sentì le voci di John e di Skinner chiamarlo.

Non si fermò, disse solamente un nome.

“William…”.

Sentì i pesanti passi dei due uomini seguirlo, ma non gli importava.

Non gli sarebbe importato nemmeno se avesse sentito le mani degli alieni ghermirlo.

Buttò a terra mitragliatore e cintura dei proiettili, e corse, corse, corse più velocemente che poté.

La terra vibrava sempre più forte sotto i suoi piedi. Inciampò, ma si rialzò subito.

Voleva raggiungere Scully, voleva accertarsi che suo figlio stesse bene…

Corse, corse, corse…

Martedì 18 dicembre 2012 (parte seconda)

Monica, seduta sul sedie del guidatore, girava lentamente la rotellina della radio portatile, nel tentativo di trovare una stazione radio che non trasmettesse solo un inquietante ronzio statico.

Provava ormai da più di mezzora, ma nessuna voce umana aveva risposto al suo disperato bisogno di sentire che la vita, fuori di lì, c’era ancora.

Sospirando rassegnata la spense.

Si votò verso il retro del furgoncino e guardò Scully, che era seduta contro lo sportello, le gambe incrociate.

“Niente da fare…”.

Scully la guardò per un momento, poi tornò a prestare attenzione a William, che stava giocando con Zar. Gli creava uno stato di apparente benessere guardare il figlio giocare e ridere.

Ma il suo cuore era in ansia. Non riusciva a smettere di pensare al suo uomo, ai pericoli che stava correndo assieme ai suoi compagni… se l’avrebbe mai rivisto.

Si dette della stupida… forse il mondo sarebbe terminato da lì a tre giorni, cosa importava se lo avrebbe perso in quel momento o tra settantadue ore?

Sospirò piano, senza farsi sentire da William, non voleva turbarlo. Almeno lui sembrava ottimista e sereno…

Monica la osservò, sul suo bel volto passò un piccolo sorriso di comprensione.

Scully la guardò.

“Prima…” le disse dopo un po’ “… mentre salutavo Mulder, ho visto che baciavi John…”.

Monica sorrise, dolcemente questa volta.

Poi annuì leggermente, prima di abbassare la testa.

“Si…”.

Scully le sorrise e Monica rialzò il volto. Nei suoi occhi leggeva la preoccupazione che anche lei provava a causa di quell’attesa senza notizie.

“Da quando?”. Scully non intendeva essere impicciona, voleva solamente perdersi in una storia dagli esiti positivi per qualche minuto.

Monica alzò le spalle.

“Poche sere prima del nostro ritorno a Washington… mentre eravamo nel New Mexico”.

Scully si distrasse per un momento, perché William era rotolato quasi fino a lei, nel tentativo di schivare le carezze bavose di Zar.

William le sorrise, poi tornò ad occuparsi del suo passatempo con il suo nuovo amico.

“Com’è successo?” Scully si rese conto che forse sembrava troppo curiosa, così scosse la testa.

“Scusami, non voglio ficcare il naso… è che sto cercando di non pensare troppo a…” lasciò la frase in sospeso. Monica avrebbe capito ugualmente.

“Non ti preoccupare. Fa bene anche a me parlare… “. Sospirò, persa nei ricordi. “Non so dirti come sia successo… ad un certo punto abbiamo sentito che era giusto, e ci siamo lasciati trasportare dagli eventi. Chi poteva sapere quanto ci restava da vivere? Abbiamo pensato che valeva comunque la pena di abbandonare i pesi e di scivolare insieme in un mare di sensazioni che ci eravamo negati troppo a lungo…”.

Scully le sorrise, in maniera solidale.

“Sono veramente felice per voi”. Le sue parole grondavano sincerità.

Il sorriso di Monica si ampliò.

“Ti ringrazio. Se proprio lo vuoi sapere… io sono estremamente felice per te e per Mulder, sono contenta che vi amiate e stimiate ancora così tanto… Ve lo si legge negli occhi, davvero. E da quando William è tornato tra voi… siete completi”.

Scully sentì un nodo di commozione stringerle lo stomaco. Sorrise a quella amica che non aveva visto per tantissimi anni, ma che ancora le era fedele.

Ancora si stupiva del fatto che tutte le persone che avevano interpellato si fossero buttate a capofitto in quella pericolosa e forse inutile avventura. Senza dubbi, senza remore.

Si erano fidati ciecamente di loro.

Questa fiducia incondizionata la lasciava piacevolmente colpita ed emozionata.

La pioggia continuava a picchiettare sul laminato del furgone, producendo un rumore incessante che provocava mal di testa. Lampi e tuoni creavano un’atmosfera da film dell’orrore… Scully pensò che la realtà non si distaccava molto da quelle mostruosa finzioni…

L’unica differenza rilevante, e inquietante, consisteva nel sangue… e nella morte. Che in quello scenario erano più veri che mai.

Monica, con un movimento fluido, si unì a loro nel retro del furgone. Si sedette accanto a Scully e rimase ad osservare i movimenti frenetici di William. Continuava a nascondere una pallina di gomma al boxer, che la cercava con la lingua di fuori e gli occhi accesi di eccitazione.

“Lo so… mi sento una stupida…” iniziò ad un certo punto Scully “… ma non riesco a non pensarci… L’idea di non rivederlo più…” la voce non pronunciò nessun’altra parola. Gli occhi completamente asciutti, ma pieni di una tristezza profonda e radicata, strinsero il cuore di Monica, che le mise un braccio attorno alle spalle.

“Perché dovresti sentirti una stupida?” le chiese con tono tranquillizzante.

Scully si strinse nelle spalle.

“Perché è assurdo temere di non rivederlo, quando potrei perderlo tra poche ore… quando potrei perdere tutti voi…”.

Monica la scosse leggermente.

“Provo le tue stesse paure… è normale, e non mi sento affatto stupida. Dana…” attese che Scully alzasse il capo e la guardasse “Tu ami quell’uomo, non c’è nulla di male nei sentimenti che provi…”.

“Ma mi sento così egoista… stanno rischiando la vita altre persone…”.

“Smettila” le disse Monica dolcemente “Non sentirti in colpa. So che sei preoccupata per tutti, ma è giusto che il tuo cuore ti indirizzi verso la persona che per te è più importante… ehi!” Monica spalancò gli occhi e si tirò in piedi di scatto, prendendo una capocciata sul tetto del furgone.

William, che aveva ascoltato tutta la loro conversazione, ma che aveva fatto finta di nulla, per non imbarazzare Dana, rise di gusto, additando Monica con le sue mani piene di bava di cane.

“Ho avuto un’idea! Perché non proviamo a rilassarci… imitando il richiamo delle balene?” disse le ultime parole con enfasi esagerata, spalancando le braccia e assumendo un’espressione di aspettativa.

William sbarrò gli occhi, poi tirò fuori la lingua, con una smorfia di disgusto.

“No, ti prego!!! Abbi pietà di noi!”.

Scully rise divertita vedendo l’espressione disgustata del figlio. Poi rise ancora più forte quando Zar gli si avvicinò e iniziò a guaire piano e a leccargli tutto il viso, perché era convinto che avesse qualcosa che non andava.

Monica rimase in piedi (semi piegata per via della sua altezza) e si godette il volto divertito di Scully. Aveva lanciato apposta l’idea delle balene, sapeva che li avrebbe fatti ridere.

Il suo cuore piangeva, come quello di Scully, piangeva per la lontananza di John… ma doveva farsi forza. Se fossero crollate entrambe, William avrebbe dovuto fare i conti con la depressione di due donne… e non era una cosa facile da affrontare per un bambino di quasi 12 anni che ne stava già passando troppe.

Scully aveva tutti i diritti di essere priva di forze, dopo tanti anni in balia di una realtà crudele, mitigata solamente dal suo rapporto amoroso con Mulder.

Ma Monica era certa che non avrebbe ceduto, che, se ce ne fosse stato bisogno, avrebbe tirato fuori nuovamente tutta la portata della sua vitalità.

Mentre rifletteva su queste cose, William smise di ridere e si tirò in piedi, con un’espressione preoccupata sul volto.

“Stanno arrivando…”.

Scully si tirò su, spolverandosi i pantaloni con un gesto automatico.

“Chi? I “nostri”?” nella sua voce si notava un’inflessione rasserenata.

William scosse la testa con aria mesta. Spinse la portiera del furgone e uscì, sotto il battere incessante della pioggia.

“Ma dove vai?” Scully e Monica gli corsero dietro, terrorizzate. Il boxer le seguì, ansimante e col naso per aria. Quando le sue narici incontrarono una scia dall’odore dolciastro, iniziò ad uggiolare.

“William, ma cosa…?”.

William alzò il dito verso il suo naso e le fece segno di tacere.

Un rumore di foglie smosse attirò l’attenzione di Scully e Monica. Si guardarono intorno. Monica estrasse la sua pistola dalla fondina.

William, stringendo gli occhi per via della pioggia battente, si avvicinò al limitare degli alberi, lentamente, ma con una certa sicurezza.

“William!” Scully lo chiamò a voce bassa “Ma dove vai?”.

Lui si voltò a guardarla e i suoi occhi avevano lo stesso inquietante bagliore che vi aveva scorto poco prima che la casa esplodesse per mano aliena.

Monica le mise una mano davanti al petto, per bloccarla.

“Non posso lasciarlo andare da solo!”.

“Shh… sai perfettamente che è consapevole di ogni suo gesto”.

“Si, ma…” le parole le morirono in gola, quando dal fitto della foresta iniziarono ad avvicinarsi esseri di bassa statura e dalla carnagione grigiastra.

I grandi occhi neri dei primi in fila scrutarono William con eccitazione, con ardore, con aspettativa.

“Oh mio Dio… “ esclamò a voce bassa Monica, abbassando l’arma. “Sono centinaia e centinaia… da dove sono arrivati?”.

Scully scosse la testa, e rimase ferma per un momento, ma poi corse verso William, a braccia aperte, pronta a prenderlo per portarlo via dal consistente gruppo di alieni, ma un dolore lancinante alla testa la lasciò improvvisamente senza fiato e priva di ragionamenti lucidi.

La sensazione le ricordava mani ghiacciate, dalle unghie lunghe come quelle di una strega, che le stritolavano il cervello.

Urlò, gridò. Il dolore era sordo, terribile, non lasciava scampo, se non la consapevolezza di essere inutile e priva di difese.

Raccolse a sé tutte le sue forze, tentando di combattere la potenza che le stava strangolando il cervello e allungò una mano verso William, o almeno, verso la direzione in cui pensava fosse William.

Il dolore aumentò immediatamente d’intensità, facendola gridare, versare lacrime brucianti. Cadde a terra, scossa da spasmi. Rantoli bassi le salivano dalla gola.

Sentì, come in un sogno, il cane uggiolare, poi guaire, infine piangere sempre più forte, sempre più forte, finché divenne un lamento talmente straziante da farle sperare che il suo tormento smettesse presto.

Come era arrivata, all’improvviso, la terribile sensazione che qualcuno le stesse stritolando il cranio svanì, lasciandola piacevolmente libera dal dolore. I suoi polmoni si riempirono dell’aria fresca e umida della foresta. Anche il cane smise improvvisamente di lamentarsi. Aprì gli occhi e lo vide tirarsi in piedi, facendo forza sulle zampe posteriori. Scappò immediatamente a nascondersi all’interno del furgone.

Scully lo invidiò. Almeno lui poteva permettersi il lusso di sottrarsi all’incubo.

Sentì le mani di Monica sorreggerla, mentre cercava di alzarsi.

Spostò il suo sguardo nel punto dove aveva visto William prima del terribile malessere, e ciò che le si presentò davanti agli occhi la lasciò nuovamente senza fiato.

William era in piedi, le dava le spalle, teneva le braccia aperte e la testa leggermente reclinata all’indietro.

L’immenso gruppo di alieni grigi era stanziato di fronte a lui, immobile, esterrefatto. I grandi occhi sembravano stupiti ed eccitati allo stesso tempo.

Guardando meglio la scena, Scully si accorse che si stavano muovendo impercettibilmente. Si stavano avvicinando tra loro. Erano quasi pressati.

Si voltò verso Monica con uno sguardo interrogativo stampato in volto.

“E’ William. Appena ha visto che vi stavano facendo del male… li ha guardati intensamente, poi ha allargato le braccia. Puoi credermi o meno, ma ho visto la sua energia, una specie di corda che li sta riunendo in un enorme cerchio…”.

Gli alieni sembravano stringersi tra loro sempre di più. Dal punto di vista di Scully e Monica sembravano tanti puntini neri che spiccavano su un enorme cerchio dalle sfumature grigiastre.

William alzò le braccia con un movimento lento e le portò sopra la testa.

Gli abeti iniziarono a scuotere i loro lunghi rami pieni di aghi, le radici uscirono piano piano dal terreno e si allargarono sopra il suolo. Poi, con un movimento che la natura terrestre avrebbe reputato impossibile, si piegarono sopra le teste degli alieni, che li guardavano attoniti, e formarono una specie di volta sempreverde sopra di loro.

“William…” Scully provò a chiamarlo, ma il ragazzino era troppo concentrato nella sua opera.

Quando il movimento dei tronchi si arrestò, William rilassò le braccia contro il busto e si voltò verso di lei. Gli occhi erano ancora accesi da quella strana e sconvolgente luce brillante.

“Mi spiace mamma, avrei dovuto prevedere che ti avrebbero attaccata… ti ha fatto molto male?”.

“Ora è passato… William… che stavi facendo?”.

“Cerco di renderli inoffensivi, almeno fisicamente. La potenza delle loro menti è stupefacente…”.

Scully lo osservò accigliata.

“Riesco a sentirli, sento i loro pensieri e loro sentono i miei… solo che io sono più forte!” disse queste ultime parole con un fervore soddisfatto.

Scully si avvicinò a lui, lentamente, tenendo d’occhio i movimenti degli alieni.

“Non preoccuparti...” la rassicurò William “… sanno che posso friggergli il cervello quando mi pare e piace, non ti faranno nulla”.

“Ma io sono preoccupata per te, non per me…”.

William la guardò con espressione estremamente seria.

“Non devi. So quello che faccio… sono nato per essere qui in questo preciso momento, per cercare di salvare la vita su questo pianeta. Lasciami fare…” le parole furono pronunciate con un tono pacato e calmo, ma gli occhi risplendevano di determinazione. E come a sottolineare le sue argomentazioni, mosse una mano. Rivolse il palmo verso il terreno e spinse, con forza, come se stesse schiacciando qualcosa.

Un lamento dal suono metallico uscì dalla piccolissima bocca di un alieno in prima fila. Scully vide le sue gambe cedere sotto un peso invisibile.

Guardò suo figlio.

“Basta… ho capito…”.

Lui la guardò annuendo e lasciò cadere la mano. L’alieno si rimise in piedi, seppure a fatica.

Premendosi una mano davanti alla bocca, Scully arretrò tra le braccia di Monica, soffocando i singhiozzi che l’ansia le stava spingendo su per la gola.

William si sentiva strano, ma perfettamente padrone di sé stesso.

Percepiva una forza nuova fluirgli sotto i muscoli, dentro le vene, raggiungere tutti i punti vitali. Il suo cuore pompava adrenalina, energia, i suoi nervi erano tesi nel percepire ogni minimo cambiamento nell’aria intorno a lui, la sua mente era allineata con quella del cospicuo gruppo alieno che li voleva attaccare.

I loro pensieri erano compatti, ragionavano come un unico essere pensante e per lui era semplice ascoltarli.

Vedeva chiaramente i piani di colonizzazione fluire tra i loro ricordi vividi.

Dopo che l’iniziale piano di contagiare tutti gli umani con l’epidemia di olio nero era stato smantellato, avevano deciso di attaccare direttamente l’umanità, mostrandosi agli uomini del pianeta senza indugi. Ma prima occorreva terrorizzarli, fare in modo che si sentissero impauriti, soli, persi, senza protezione.

Avevano attaccato i presidenti che avevano osato ribellarsi alla loro invasione non solo per vendetta, ma anche per seminare il panico, l’impotenza, l’insicurezza tra la popolazione.

Il secondo attacco, quello diretto sulla gente comune, aveva avuto il compito di creare, attraverso la morte, quello stato di caos, dettato dal terrore e dall’istinto di sopravvivenza, che avrebbe permesso loro di rapire, torturare, uccidere molto più facilmente.

Loro, gli alieni che ora si trovavano dinnanzi a lui, erano il frutto delle vittime degli incidenti ferroviari, stradali e metropolitani che avevano sconvolto il mondo poco più di un mese prima.

Erano usciti a viva forza dai corpi dei loro ospiti terrestri, per lo più barboni, senzatetto o malati terminali, ed erano stati sistemati nel presidio dai supersoldati, dove, dentro vasche piene di un particolare liquido semi trasparente, avevano abbandonato la pelle verde che li aveva protetti al momento della “nascita” e avevano assunto il loro naturale e attuale aspetto.

Un esiguo gruppo di loro si trovava ancora al presidio.

William vide, attraverso i loro pensieri, che erano intenti a fare veloci esperimenti sul cervello di Gibson. Sentiva anche la confusione degli spari…

William si rabbuiò quando vide la sofferenza solcare il volto di Gibson.

Guardò gli alieni con rinnovata rabbia.

Che gli stanno facendo?

Lo studiano… studiano le sue considerevoli capacità…

Quello che vorreste fare con me? William sogghignò con l’angolo della bocca.

Il piccolo alieno fece uno strano movimento con la boccuccia. William comprese che stava sorridendo.

Oh no! Tu sarai la nostra arma per la vittoria!

William si mise a ridere di gusto, attirando la curiosità e la preoccupazione di Dana e Monica.

Io non credo proprio!

Non potrai opporti…

Staremo a vedere! Intanto siete immobilizzati…

Ma possiamo usare altri tipi di forza…

William percepì chiaramente la forza fluire dalle loro menti, come un unico blocco di cemento che veniva lanciato da una considerevole altezza e che gli piombava addosso, ad una velocità elevatissima.

Avvertì la stoccata di dolore lambirgli il cervello, ma strinse i denti, e raccogliendo tutta l’energia che albergava dentro il suo corpo, creò uno scudo attorno a sé.

Ispirando profondamente chiuse gli occhi. Portò le braccia davanti al petto e abbracciò l’aria.

Poi riaprì gli occhi e spinse con potenza inaudita l’invisibile palla di forza che galleggiava intorno al suo corpo verso il gruppo alieno.

Un lamento metallico, sottile, ma penetrante, come un ultrasuono, uscì dalle piccole bocche e ghermì l’aria satura d’umidità della foresta.

Un lampo illuminò la scena e un tuono potente sovrastò le loro grida di dolore. La pioggia scese sempre più fitta.

William sorrise, sardonico.

Mi sa che mi avete sottovalutato… Alzò un sopracciglio in un gesto beffardo, a sottolineare il suo pensiero.

Gli alieni non gli risposero, ma iniziarono a pensare all’unisono al mondo che avevano intenzione di creare non appena la razza umana fosse scomparsa.

William non si stupì più di tanto. Erano scene che aveva visto e rivisto in molti film di fantascienza.

Macchine volanti, palazzi dall’aspetto ultratecnologico, robot come animali domestici…

Mi state prendendo in giro? Credo abbiate visto troppi film spazzatura… Il Quinto elemento non mi è mai piaciuto!

Le immagini cambiarono.

Vide desolazione, morte.

Cadaveri umani e animali sparsi lungo i cigli delle strade. Corpi in putrefazione, mosche e insetti che vi ronzavano attorno. Fosse comuni piene di corpi devastati, alcuni avevano parti aliene al posto delle braccia, delle gambe o della testa.

Umani ridotti in schiavitù, privi di coscienza, alla mercé degli alieni, ridotti a nutrirsi dei loro simili deceduti…

Case distrutte, strade abbandonate, fiumi rigurgitanti cadaveri…

E il cielo non esisteva più.

Enormi navi spaziali piene di attività oscuravano il sole, rendendo il pianeta freddo, arido… morto.

Preferisci questa visione?

William digrignò i denti. Sentiva la rabbia montargli nel petto come un fiume in piena.

Ma sentiva anche che questo non andava bene, che se avesse permesso ai sentimenti negativi di prendere il sopravvento sulla sua razionalità, avrebbe rischiato seriamente di perdere uno scontro con loro.

Uno dei tuoi amici è morto…

Lo so! L’ho percepito mentre ascoltavo i vostri pensieri di merda!

Prese qualche respiro profondo, per provare a calmarsi, ma era impresa tutt’altro che semplice…

Si voltò verso sua madre e Monica e cercò nei loro volti lo stimolo a calmarsi.

Il volto di Dana era una maschera di stanchezza, ma la determinazione che vi leggeva sotto lo fece sentire orgoglioso di essere figlio di una donna così forte.

Monica era illeggibile, si ritrovò a chiedersi cosa stesse pensando…

Questo bastò a calmarlo quel tanto che bastava per essere nuovamente in grado di affrontare uno scontro con la razza nemica.

Sospirò e le guardò con aria grave.

“Jared è morto…”.

Le labbra di Monica ebbero un guizzo, l’espressione di Dana si fece seria e triste. E preoccupata.

“Gli altri stanno bene?” chiese Monica, anticipando Dana di pochi secondi.

“Si… tranne Gibson… è stato catturato e ora è nelle grinfie di questi stronzi…” mosse il pollice in direzione del gruppo alieno, a sottolineare le sue offensive parole.

“Che gli stanno facendo?” chiese Dana. Il suo ruolo di medico le imponeva di essere costantemente preoccupata per la salute delle persone.

“Esperimenti… Aspetta…”. William chiuse gli occhi, per permettere alle immagini di arrivargli più nitide.

“Papà si sta avvicinando a loro…”.

Scully strinse convulsamente il lembo della giacca a vento.

“Sta bene?” non poté impedirsi di chiederlo.

William, sempre ad occhi chiusi, annuì.

“John e lo zio Skinner sono assieme ai prigionieri… “.

“Che prigionieri?” chiese Monica.

“Quelli del governo ombra… sono allo stremo delle forze…”.

“Aspetta un secondo…” Scully non stava prestando troppa attenzione alle parole del figlio, il suo cervello stava lavorando velocemente. “Come hanno fatto a catturare Gibson? Come mai non è riuscito a vedere che lo stavano per imprigionare?”. Quella domanda la stava quasi ossessionando. Gli era stato permesso di unirsi alla squadra solo perché era una valida arma di difesa contro gli attacchi imprevisti dei supersoldati…

William si rabbuiò di nuovo e gettò un’occhiataccia agli alieni grigi.

“Hanno schermato le loro menti… stanno cercando di farlo anche con me, ma non ci riescono… evidentemente le capacità mentali di Gibson hanno un punto limite…”.

Appena finì la frase William si immobilizzò, le spalle tese.

 

Avete intenzione di ucciderlo?

Certo che no! Ci sarà molto utile per i nostri scopi… anche se…

Anche se?

Noi cerchiamo un talento ancora maggiore… un talento che sarebbe in grado di distruggerci… ma se l’avessimo dalla nostra parte…

 

William vide sé stesso, in un luogo che non conosceva.

Era circondato dalla sua famiglia… gli alieni.

Scosse la testa, cercando di scacciare la visione, ma non ci riuscì.

Il cuore iniziò a battergli all’impazzata, quando la visione si ampliò e lui vide che, di fronte all’altro sé stesso, giacevano i corpi, nudi e tumefatti, di Mulder e Scully. 

Erano stati torturati e seviziati dagli alieni che lo circondavano, come punizione per aver osato ribellarsi al loro piano di conquista mondiale.

Seppe con certezza che Monica, John e lo zio Skinner erano già morti… per mano sua.

William iniziò a sudare quando si rese conto a cosa avrebbe portato quella visione.

Si vide alzare le mani con calma e naturalezza sopra i corpi martoriati dei suoi genitori, un ghigno malefico gli solcò il volto, facendolo diventare crudele, brutto, insensibile.

Mulder e Dana lo guardarono, chiedendo perché… ma a lui non importava… voleva solo ucciderli… e così fece.

Spalancò gli occhi sulla realtà, boccheggiando.

Un dolore sordo, che gli mozzava il respiro e gli stritolava il cuore, si impossessò di lui.

Non fu come con il sentimento di rabbia.

Questa calda sferzata di sofferenza lo aiutò ad incanalare con estrema forza ed estrema lucidità l’energia che lo possedeva.

Non voleva essere il ragazzo delle sue visioni. Mai!

Spalancò le braccia e lasciò che l’invisibile portata della sua potenza si spandesse lungo tutta la circonferenza, di svariati metri, che circondava gli alieni.

Il terreno prese a vibrare, gli alberi iniziarono a tremare in maniera incontrollabile, gettando aghi e rami sulla terra sottostante.

“Reggetevi!” urlò rivolto a Dana e Monica, che si strinsero contro il furgone e si ripararono la testa.

Un’aria gelida e violenta iniziò a soffiare intorno alla foresta.

Gli occhi gli divennero completamente bianchi, illuminati da una luce ghiacciata. Sui polpastrelli avvertiva la forza scorrere dall’interno del suo corpo, fino all’esterno.

Si concentrò sulla visione distorta degli alieni immobilizzati, sentiva la loro paura, percepiva l’odore del terrore, il sentore della sconfitta, l’odio cieco nei suoi confronti.

Tentarono di reagire, ma non vi fu nulla che riuscisse a contrastare l’impressionante ondata di pura energia positiva che da William si riversava su di loro.

Il terreno vibrò sempre più forte, gli alberi iniziarono a sradicarsi e fluttuare in aria. Uno atterrò vicino al furgone, facendo abbaiare Zar di terrore. Scully cercò di guardarsi intorno, ma la forza del vento le schiacciava i capelli contro il volto e le faceva lacrimare gli occhi. Non riusciva a vedere, non riusciva a capire…

William strinse i denti. Formulò un ultimo pensiero coerente e lo rivolse agli alieni.

MAI! IO NON LO FARO’ MAI!!!

Poi più nulla ebbe senso, sentiva solamente la forza addensarsi nel suo petto.

Senza riflettere, si lasciò trascinare dalle proprie sensazione e spinse le braccia in avanti, con potenza, con determinazione, con risolutezza.

Vide l’aria davanti a sé incresparsi, tendersi come un elastico, per poi scagliarsi con forza inaudita contro il gruppo di alieni, che lo osservava con sguardo indecifrabile.

Vide l’energia schiacciare le loro linee, una ad una. Vide le loro teste esplodere, i loro corpi accasciarsi, il loro sangue verde e nero scorrere sul terreno…

Era una scena raccapricciante, crudele, violenta, ma si sentì bene. Si sentì libero, leggero, sereno…

Quando anche l’ultimo alieno cadde sotto la potenza del suo potere, l’energia ritornò verso di lui, con uno slancio inaudito.

La sentì spingersi con aggressività dentro il suo petto e si ritrovò d’improvviso privo di forze.

Le gambe cedettero e il suo corpo stremato si accasciò al suolo.

Sentì il cuore battere sempre più lentamente, sempre più piano, piano… piano…

Poi fu l’oblio.

Sabato 22 dicembre 2012

William percepì una luce brillante al di là delle palpebre chiuse.

Per un momento si sentì disorientato.

Un momento prima si trovava nella sua casa, a Sheperd, circondato dai suoi genitori adottivi, e dai suoi genitori biologici, che conversavano amabilmente, poi si ritrovò steso in un letto, con le palpebre chiuse e una luce fastidiosa che gli disturbava gli occhi.

Con cautela provò a riaprirli. La luce gli provocò un immediato fastidio e fu costretto a sbattere alcune volte le palpebre.

“William…”. La voce di Dana gli arrivò alle orecchie, pacata e tranquillizzante.

Girò la testa verso la provenienza della voce, lentamente, lasciandosi dietro la testa il raggio di sole che entrava dalla finestra.

Il sorriso di Dana era radioso. La vide allungare una mano e sentì il suo tocco lieve accarezzargli la guancia.

“Ciao..” gli disse.

William si inumidì le labbra e si schiarì la voce.

“Ciao… “.

William si guardò furtivamente attorno.

La stanza era piccola, le pareti bianche e spoglie, nell’aria aleggiava odore di disinfettante.

“Dove siamo?”.

Scully continuò ad accarezzargli la guancia e i capelli scompigliati.

“Siamo nell’ospedale di Washington, quello dove lavoravo…”.

William si fece forza e si mise a sedere. Scully, prontamente, lo aiutò a sistemare il cuscino dietro la schiena. Poi lo guardò con aria seria.

“Finalmente ti sei svegliato… ero preoccupatissima…”.

William la osservò per alcuni istanti. Le occhiaie marcate sotto i begli occhi blu testimoniavano nottate insonni e scomode su quella sedia di plastica, il volto era serio, solcato da rughe di ansia e preoccupazione. I capelli erano sciatti, spenti e i vestiti sgualciti.

Doveva aver passato giorni terribili…

Le sorrise rassicurante, poi la abbracciò stretta, allacciandole le braccia intorno al collo.

Scully lo strinse al petto con gentilezza e respirò a pieni polmoni l’odore familiare della sua pelle.

Quando si separarono, William le prese una mano tra le sue.

“Da quanto tempo sono qui?”.

“Quasi quattro giorni… abbiamo davvero avuto paura…”.

Quando Scully usò il plurale, William si guardò nuovamente attorno e un brivido di paura gli corse lungo la schiena.

Guardò Dana.

“Dov’è Mulder?”. Strinse un po’ più forte del lecito la mano di sua madre. Temeva la risposta…

Scully gli sorrise rassicurante.

“L’ho mandato a mangiare qualcosa. Fosse stato per lui sarebbe morto di fame stando ad aspettare che ti svegliassi!”.

William si rilassò contro il cuscino e allentò la stretta delle mani.

“E gli altri?”.

“Monica, John e Skinner stanno bene. Per ora alloggiano all’FBI, ma passano spesso qui a trovarti. Gibson sta un po’ peggio… ma sono ottimista sulle sue condizioni. L’ho visitato personalmente e penso che presto si riprenderà”.

William alzò il viso ad osservare il soffitto, e con la mente tornò alla foresta.

Gli ultimi ricordi che aveva erano legati all’incredibile potenza che gli era ritornata nel petto, dopo che era riuscito ad uccidere tutti quegli alieni. Ricordava che si era sentito completamente privo di forze e che si era accasciato al suolo… poi più nulla.

I ricordi erano sfuocati, sbiaditi, come fossero permeati da un’aurea onirica. Se non fosse stato certo al 100% che quello che era accaduto era reale, avrebbe pensato ad un sogno stranissimo.

“Cos’è successo?”.

Scully si alzò dalla sedia e iniziò a camminare verso la finestra, dove si fermò, appoggiandosi al cornicione. Aprì le tapparelle e un bellissimo sole di mezzogiorno inondò completamente la camera con la sua allegra luce.

Scully evitò di guardare al di là del vetro. Lo spettacolo che si estendeva intorno all’ospedale era desolante, metteva addosso uno stato di tensione, di inutilità, che non le piaceva.

“Dopo che sei svenuto, in mezzo a quella foresta… io e Monica non sapevamo cosa fare. Era sicuro portarti via di lì? Dovevamo aspettare gli altri?...” Scully sospirò.

 

3 GIORNI PRIMA

Mulder arrivò al limitare della radura dov’era parcheggiato il furgone.

La pioggia lo sferzava con potenza e non lo lasciava respirare.

Oltrepassò la linea invisibile dei raggi X e sentì l’allarme scattare nel presidio, ma non vi fece caso.

“Mulder?” la voce di Scully lo raggiunse al di sopra dello scrosciare della pioggia.

Scavalcò la bassa sterpaglia e la vide.

Era assieme a Monica, china sul corpo di William.

Un terrore cieco si impadronì di lui… William…

Si accostò alle due donne con impazienza.

“Cos’è successo?”.

Scully scosse la testa.

“Non lo so! Ha ucciso tutti quegli alieni…” con la mano indicò la distesa di cadaveri di fronte a lei. Mulder alzò lo sguardo e spalancò gli occhi. Una serie infinita di piccoli corpi grigi decapitati si estendeva per un bel po’ di metri oltre la sua visuale. L’odore dolciastro del loro sangue impregnava l’aria e la rendeva pesante e densa.

Fu raggiunto da Doggett e Skinner che si soffermarono esterrefatti a guardare lo scenario di morte presente nella foresta. Gli alberi, sradicati e caduti al suolo incorniciavano la raccapricciante scena.

Mulder si sforzò di prestare attenzione alle parole di Scully.

“… poi si è accasciato al suolo, senza forze. Il battito è debolissimo. Dobbiamo portarlo via di qui, in ospedale!”. La sua voce era leggermente isterica e Mulder la capì.

Ospedale… chissà se esistevano ancora ospedali nel mondo devastato dalla potenza aliena…

Monica guardò John, nello sguardo una tristezza che la faceva apparire più vecchia di dieci anni.

“Portiamolo nel furgone intanto… all’asciutto” disse Doggett, senza troppa convinzione.

Mulder si piegò e lo prese sotto le spalle, mentre John si occupava di alloggiare le gambe di William sotto le sue braccia. Insieme si mossero verso il furgone, dove lo adagiarono a terra. Scully si sedette sul freddo pianale dell’automezzo e sistemò la testa del figlio sulle gambe.

Zar osservò immobile la scena. Guardò le persone che salivano sul furgone, le scrutò attentamente ad una ad una. Quando vide che il suo padrone non ritornava, si stese, appoggiando il muso schiacciato tra le zampe anteriori e si lamentò piano, soffocando i suoi uggiolii tristi, quasi non volesse disturbare il dolore altrui.

Mulder si sedette in fianco a Scully e la abbracciò stretta, facendole appoggiare il capo contro il suo petto. Scully si adagiò con l’orecchio sul suo cuore, sollevata di sentirlo battere con ritmo vitale.

John si mise alla guida del furgone, Skinner al suo fianco.

Le ruote slittarono sul fango del terreno, poi il mezzo si mosse con sicurezza lungo l’intricato sentiero poco battuto dalle auto.

Monica era seduta di fronte a Mulder e Scully e accarezzava con movimenti ritmici e calmanti la testa di Zar.

Mulder baciò i capelli bagnati di Scully, poi vi appoggiò la guancia, guardando il volto senza espressione di suo figlio.

“Stai bene?” la voce di Scully gli arrivò debole e preoccupata.

“Fisicamente si…”.

Scully voltò la testa per guardarlo, costringendolo a interrompere il contatto con i suoi capelli.

Lo scrutò a lungo, notando nel suo sguardo il dolore e il tormento che provava per la sorte di loro figlio. E probabilmente per la sorte di Gibson… abbandonato nelle mani degli alieni.

Improvvisamente il motore del furgone si spense, senza nessun motivo apparente.

John provò a girare e rigirare la chiave nel quadro, ma l’automezzo non dette segni di vita.

Batté un colpo a palmo aperto contro il volante.

“Maledizione! Che diavolo è successo?”.

Monica aguzzò le orecchie poi fece segno di tacere alle altre persone.

“Non sentite?”.

Tutti rimasero immobili ad ascoltare.

Skinner scosse la testa.

“Io non sento niente…”.

“Appunto...” disse Monica “Non si sente più il rumore della pioggia, né del vento, dei tuoni… né nient’altro…”.

John spalancò gli occhi, completamente sopraffatto. Il parabrezza del furgone continuava a venire sferzato da fredde raffiche di pioggia, ma le gocce non producevano alcun suono. I lampi continuavano ad illuminare l’oscurità del cielo, ma nessun rombo di tuono li seguiva. Gli alberi venivano piegati dal vento, ma nessun rumore sibilante arrivava alle loro orecchie.

“Ma com’è possibile?”. Il naturale scetticismo di John Doggett lo portò a porre la domanda, ma questa volta nessuno seppe rispondere, erano tutti paralizzati dallo stupore. E dallo spavento.

Il cielo, lentamente ma inesorabilmente, si fece sempre più buio, sempre più nero. Uno spesso e denso strato di oscurità coprì i lampi che ancora si ostinavano ad accompagnare la pioggia.

Quando il velo buio prese anche il furgone, penetrando all’interno e avvolgendo i suoi occupanti, tutti si strinsero, si sedettero l’uno vicino all’altro, impauriti, disillusi, sconfitti.

Il lugubre manto nero non lasciò agli occhi nemmeno un minimo spiraglio di luce.

Tutto svanì…

E un istante dopo si ritrovarono nell’ospedale di Washington, al capezzale di William…

 

“Che cos’era successo?” chiese William perplesso.

Scully scosse la testa.

“Non lo sappiamo… nessuno lo sa…”.

William aggrottò le sopracciglia.

“Nessuno?”.

“Alcune stazioni radiofoniche hanno ripreso a trasmettere. Sembra che tutta la popolazione mondiale abbia un buco nella mente di alcune ore…”.

William si chiese distrattamente perché la cosa gli apparisse così strana. Dopo tutto quello che aveva saputo e visto nelle precedenti settimane, non capiva perché si stupisse per una cosa “banale” come un buco nella memoria.

“Ci abbiamo riflettuto…” continuò Scully, dando una veloce occhiata fuori dalla finestra “Non ci sono più astronavi aliene nei cieli, nessun invasore per le strade, nessuna esplosione, nessuna arma strana pronta ad uccidere… dev’essere accaduto qualcosa di radicale… l’unica spiegazione a cui siamo arrivati è che sia tutta opera degli alieni ribelli, quelli che si sono sempre opposti all’invasione dell’olio nero, ma… non saprei… non saprei proprio…”. Scully sospirò, guardando il volto pensieroso di suo figlio.

William aggottò la fronte.

“Non mi convince… potevano arrivare anche prima, se avevano il potere di riuscire a sconfiggerli…”.

Scully si avvicinò e si sedette sul bordo del letto, osservandolo.

“Sono d’accordo… secondo me non è opera loro… ma… di qualcun altro…”. Il suo sguardo si perse lontano, in pensieri astratti e speranzosi.

William la osservò, e osservò soprattutto le sue mani che tormentavano la croce d’oro che portava al collo.

“Pensi sia opera di Dio?” chiese tranquillamente.

Scully sorrise vagamente con un angolo della bocca.

“Non lo so William, non lo so… So solo che qualcuno ci ha aiutati a sopravvivere. Siamo feriti e decimati, ma vivi… e chiunque sia stato, io non smetterò mai di ringraziarlo…”.

Epilogo

Mulder mosse lunghe falcate in direzione di William, che, ben coperto da una giacca a vento di qualche taglia più grande, osservava il paesaggio sottostante con sguardo assorto.

Era il 25 dicembre, il giorno di Natale… il suo compleanno.

E ancora erano ospitati dall’FBI, che si era dimostrata estremamente gentile e ospitale con tutte le persone che ne avevano avuto bisogno, offrendo loro vitto e alloggio. Lo spazio era tanto, ma anche le persone bisognose lo erano. I corridoi e le sale riunioni erano state adibite a dormitori, mentre il salone d’ingresso era diventato mensa, e tutte le zone pullulavano di gente stremata, sconfitta e disperata, che, però, aveva una grande forza e una grande voglia di ricominciare a vivere un’esistenza pressoché normale.

Ogni giorno, le associazioni umanitarie che ancora erano attive, facevano il giro dei quartieri portando pasti caldi, bevande bollenti e sostegno morale.

William era salito sul tetto del J. Edgard Hoover Building una decina di minuti prima. Osservava l’aspetto del mondo dopo l’attacco alieno.

Era uscito dall’ospedale da due giorni, ma, essendo ancora debole, aveva passato le ore chiuso tra le mura del palazzo.

Mulder gli arrivò in fianco, silenziosamente.

Seguì lo sguardo del figlio verso un punto lontano all’orizzonte.

Gli occhi incontravano macerie, case spezzate, ferite, disintegrate. Parchi aridi, alberi bruciati. Recinzioni, panchine, cartelli stradali divelti. Carcasse di macchine ingombravano le strade prive di traffico. Ogni tanto un’ambulanza squarciava l’aria statica del nuovo mondo con sirene lamentose e rombi di motori lanciati a forte velocità.

I cadaveri, che fino a pochi giorni prima ancora costellavano i marciapiedi e le soglie delle case distrutte, erano stati rimossi e sistemati provvisoriamente nelle celle refrigerate degli obitori che ancora erano in piedi.

Lo spettacolo era desolante.

Non esisteva parola più giusta per definire lo stato di malessere, fisico e psicologico, che quella visuale provocava alle persone.

“Bello spettacolo…” commentò Mulder, usando il suo abituale tono ironico per contrastare le situazioni troppo serie.

William sollevò la testa a guardarlo e gli sorrise con un angolo della bocca.

“Già…”. La risposta venne pronunciata a voce bassa, scoraggiata, una leggera nota sarcastica al suo interno.

Mulder lo osservò. William era estremamente serio. Il volto da ragazzino era solcato da occhiaie e le labbra erano una linea diritta, riflessiva e preoccupata.

“A cosa pensi?” gli chiesi Mulder. Gli sembrava ancora strano non riuscire a penetrare nei pensieri del figlio…

William prese un profondo respiro, piuttosto restio a rispondere alla domanda.

Mulder vide l’indecisione offuscare i suoi occhi blu, così uguali a quelli della madre, e si pentì di avergli rivolto quella semplice domanda. Seppure la sua voglia di conoscere i suoi pensieri era pressante, non voleva metterlo in difficoltà. Probabilmente gliene avrebbe parlato quando si fosse sentito pronto.

Così decise di stemperare quell’atmosfera imbarazzante con il suo solito sarcasmo.

“Ho capito…” disse sospirando rassegnato “… sei arrabbiato perché non ti abbiamo fatto un regalo di compleanno…”.

William sollevò lo sguardo verso Mulder, un’espressione sorpresa gli solcava il volto.

“Te lo ricordi? Io non c’avevo nemmeno fatto caso…”.

Mulder sorrise mestamente.

“Per me e Scully è un po’ difficile dimenticare il giorno in cui sei nato…”.

William annuì, un leggero rossore gli imporporò le guance.

“Già… scusami…”.

Mulder fu sorpreso dalle sue parole e dal tono grave con cui furono pronunciate.

“Perché mai dovresti scusarti?” gli chiese perplesso.

William lo guardò dritto negli occhi. Mulder scorse nei suoi un fiume di lacrime che minacciava di trasbordare.

“Perché mi sento terribilmente in colpa nei vostri confronti” disse con estrema sincerità.

Mulder scosse la testa, come a dire che non comprendeva le sue parole.

Una lacrima solitaria scese a bagnare la guancia di William. Prontamente la sua mano la lavò via dal volto.

“Mi sento in colpa perché… dopo tutto quello che fate per me, il bene che mi volete, la felicità che vi si legge negli occhi ogni volta che mi guardate… io non riesco a togliermi il pensiero dei miei genitori adottivi… mi tormento in continuazione”. Le lacrime presero a scorrere veloci sul suo viso. “Volervi bene… mi sembra quasi di tradirli, di fare loro un torto! E a preoccuparmi per loro, mi sembra di fare un torto a voi… mi sento un ingrato…”.

Mulder sentì il cuore stringersi nel petto. La sofferenza mal celata che provava suo figlio lo distruggeva. E lo capiva. Non doveva essere facile vivere una vita così.

Avere un dono che non si ha chiesto, averlo ricevuto in eredità. Scoprire che servirà ad aiutare il mondo a sopravvivere. Scoprire chi sono i tuoi veri genitori, perdere quelli che ti hanno cresciuto…

Troppi pensieri, troppe preoccupazioni per la sua età.

Mulder posò le mani sulle spalle di William, invitandolo a prestare attenzione a quello che stava per dirgli.

“Non devi sentirti in colpa nei nostri confronti, non ha alcun senso. Sei stato cresciuto da due persone che ti hanno amato, e che ancora ti amano. Sarebbe grave se tu ora ti dimenticassi di loro, se le lasciassi andare solo perché ti senti in colpa nei nostri confronti…”.

Mulder respiro piano, per riuscire a calmarsi quel tanto che bastava per parlargli come un vero padre.

“Io e Scully ti amiamo più di ogni altra cosa al mondo, non ti abbiamo mai dimenticato e mai ti dimenticheremo, e sappiamo perfettamente che nel tuo cuore c’è del posto per noi… ma sappiamo anche che dobbiamo condividerlo con due persone straordinarie, che non smetteremo mai di ringraziare per averti accolto con amore nelle loro vite quando noi non abbiamo potuto farlo”.

Passò il pollice lungo le guance del figlio, asciugandole dalle lacrime che non doveva versare.

“William, io ti ho fatto una promessa e intendo onorarla”.

Il ragazzo si avvicinò a quel padre che aveva immaginato per anni e che aveva conosciuto da poche settimane, e affondò il volto nel suo petto ampio e caldo.

Sentì le sua braccia forti avvolgerlo in un abbraccio protettivo. Lentamente si rilassò, cercando di scacciare dal suo petto quel senso di colpa che lo stava logorando.

Rimasero fermi in quella posizione per un po’, circondati da un mondo che doveva ricominciare a vivere. Il vento gelido di dicembre li sferzava, ma a loro non dava fastidio. Il calore dei loro corpi stretti li aiutava a combattere il freddo delle loro vite.

“E se non li ritroviamo?” chiese infine William, la voce attutita dal giubbotto di Mulder.

Mulder lo strinse un po’ più forte.

“Stanno setacciando tutto il paese, palmo a palmo. Molte persone si sono rifugiate in bunker sotterranei, in case abbandonate… vedrai che li troveremo…”. Lo prese per le spalle e lo allontanò leggermente da sé per poterlo guardare negli occhi.

William scorse una scintilla di determinazione illuminare lo sguardo di Mulder.

“Ma se così non fosse, non verrò meno al mio impegno. Li troveremo, ovunque essi siano… ovunque”.

William annuì un paio di volte, poi gli sorrise.

“Voi due! C’è un dolce natalizio che vi aspetta di sotto! Se non scendete immediatamente non vi resterà nemmeno una fetta…”.

La voce di Scully li distolse dal quel loro momento così intenso. Si voltarono nella sua direzione e la videro avanzare verso di loro.

I capelli ramati si muovevano a ritmo del vento, la sua pelle era arrossata per via del freddo. Si stringeva al collo una giacca troppo leggera e li osservava con un sorriso sereno sulle labbra.

Si avvicinò, tendendo una mano verso William.

“Almeno quella per festeggiare il tuo compleanno…”.

William le sorrise, prese la sua mano e la strinse.

“Ce n’è anche per Zar?”.

Scully rise.

“Zar sta già mangiando la sua porzione, ma ho l’impressione che non disdegnerà di ingoiare anche la tua!”.

Si incamminarono verso la porta, ma poi Scully si fermò, accorgendosi che Mulder non li stava seguendo.

Lo osservò incuriosita.

“Tu non vieni?”.

Mulder le si avvicinò e le dette un leggero, ma dolce, bacio sulle labbra, trovandole fredde e tremanti.

“Vi raggiungo tra un momento, voi andate pure”.

Scully annuì e lo lasciò ai suoi pensieri. Era certa che le avrebbe parlato delle sue riflessioni quella sera stessa.

Mulder si voltò nuovamente ad osservare il paesaggio sottostante.

Posò un piede sul cornicione e si sporse leggermente.

Il lato positivo di tutta quella terribile faccenda -l’unico lato positivo- era rappresentato dalla collaborazione tra le persone.

Contrariamente alle aspettative, non si era registrato nessun atto criminale da quando gli alieni se n’erano andati, nessun saccheggio, nessuna violenza, nessuno stupro. Sembrava che l’uomo avesse raggiunto il suo limite massimo di dolore, che avesse assistito alla crudeltà nella sua forma più primitiva, e che ora non ne volesse più sentire parlare.

Mulder non si illudeva. Sapeva che, prima o poi, quando il mondo avesse ripreso a vivere normalmente, le guerre e l’odio avrebbero bussato alla porta, a reclamare il loro tributo di morte e violenza, ma era bello sapere che, almeno per un po’, l’umanità sarebbe riuscita a vivere in pace, collaborando.

Mulder vide un gruppo di bambini uscire dal palazzo, cantando a squarciagola.

L’aria vorticante gli portò alle orecchio le note di solenni di una famosa canzone, a tema natalizio, di John Lennon.

 

And so this is Christmas (war is over)
For weak and for strong (if you want it)
The rich and the poor ones (war is over)
The world is so wrong
And so Happy Christmas
For black and for white
For yellow and red ones
Let's stop all the fight
A very Merry Christmas
And a Happy New Year
Let's hope it's a good one
Without any fear
 

 

Mulder sorrise tristemente, poi si incamminò verso la porta che portava all’interno dell’edificio.

Con un pensiero certo.

Il mondo non sarebbe mai più stato lo stesso.  

 

 

 

                                                                                                                                 THE END

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