Abbiamo incontrato Frank Spotnitz, la mente, insieme a Chris Carter, della serie tv cult degli anni ’90, durante la Master Class a lui dedicata: ecco cosa ci ha raccontato
Sembra ieri e invece sono passati venti anni. La prima serie del telefilm X-Files fu trasmessa infatti per la prima volta nel 1993, per nove stagioni, fino al 2002. Le indagini dei detective dell’FBI Dana Scully (Gillian Anderson) e Fox Mulder (David Duchovny) su intrighi politici, cospirazioni internazionali, fenomeni paranormali e la costante ricerca della verità sull’esistenza di extraterrestri, furono tematiche innovative, soprattutto in un’era pre-internet. L’ispirazione per la creazione della serie? Veniva da tutto, come afferma Spotnitz: «Una volta ho preso spunto per la stesura di un episodio da un libro di cucina che stavo leggendo!». Ma alla base c’era la voglia di creare un prodotto che fosse innovativo, «soprattutto che spaventasse. Perché negli anni ’90 non c’era niente di spaventoso in televisione».
Tematiche quanto mai attuali, riprese e omaggiate in altri serial di successo (leggi fra gli altri Fringe). La chiave del trionfo di X-Files risiede non solo in questo, ma anche in una scrittura solida e innovativa. Onore al merito dunque per uno dei fautori di questo successo, Frank Spotnitz. Ex giornalista laureatosi in letteratura inglese alla UCLA (con tanto di dottorato in scrittura presso l’American Film Institute) lascia l’avviata carriera nel mondo dei media (era uno dei collaboratori più assidui di Entertainment Weekly) per dedicarsi alla scrittura di sceneggiature. E quando il cinema lo tradisce il mondo della televisione lo accoglie a braccia aperte. Noi lo abbiamo incontrato in occasione della Master Class a lui dedicata nell’ambito del Roma Fiction Fest, ecco cosa ci ha raccontato.
Da giornalista a sceneggiatore, che cosa l’ha spinta verso il mondo della fiction televisiva?
Frank Spotnitz: «Sono stato due anni a Parigi come corrispondente estero ma sentivo che il giornalismo non era quello che volevo fare realmente nella vita. Sono cresciuto amando i film e la televisione. C’è qualcosa di perfetto in un film, in due ore contiene un universo a sé stante. Ma non amo il mondo dell’industria cinematografica, è una cosa che spezza il cuore per uno sceneggiatore, ti rende ricco, ma incredibilmente triste. Tutti i processi sono gestiti a livello economico e conta solo quell’aspetto. La televisione invece migliora sempre, è più ambiziosa, sperimentale, ed è un posto favoloso in cui lavorare. Mi piacerebbe avere la possibilità di sdoppiarmi e scrivere velocemente per portare a termine tutti i lavori che ho in mente. Ho tante idee e vorrei scriverle tutte!»
Nella realizzazione di X-Files come trovavate e strutturavate le storie da raccontare?
FS: «Chris Carter, l’ideatore della serie, aveva creato un modo semplice di raccontare la storia dei due protagonisti intorno ai quali si sviluppavano innumerevoli varianti. Questo ci ha dato la possibilità di spaziare molto. L’ispirazione veniva da tutto. Giornali, vecchi film, una volta persino da un libro di cucina! Le deadlines poi sono la fonte più grande d’ispirazione. L’ansia dei tempi di consegna accelera i processi creativi in maniera significativa!»
Come facevate a non cedere alle aspettative del pubblico, pur tenendone conto?
FS: «Come serie siamo cresciuti con internet. Già dal 1997 c’erano i gruppi di discussione e ricevevamo responso dai fan tramite il web. Anche se è difficile e doloroso andare a leggere i commenti io puntualmente ogni settimana mi collegavo online e leggevo le reazioni del pubblico alla puntata, ero veramente curioso. Il nostro intento era fare meglio di quello che avevamo fatto in passato, fare uno show che la gente avrebbe rivisto nel corso degli anni, specie in un periodo come questo in cui molte serie tv non vengono seguite o vengono viste solo una volta. X-Files ha ancora un seguito forte, e questo è motivo di orgoglio per tutti noi».
Uno dei punti di forza di X-Files era la qualità innovativa della narrazione. Venti anni dopo come spiega questo successo di pubblico?
FS: «Lo show parla di poliziotti che investigano su argomenti di fantascienza. Una sorta di procedura poliziesca investigativa del soprannaturale. Ma la validità della scrittura era anche quello di poter mantenere due punti di vista, in modo da attirare non solo i fan del genere sci-fi. Il personaggio di Scully era funzionale in questo, era la scettica della coppia e permetteva a tutti di poter seguire una serie come la nostra, allargando così il bacino del pubblico. E in tutto questo dovevamo tenere alto il livello di scrittura per i nostri fan, davvero intelligenti e brillanti».
Cosa è accaduto che ha fatto inceppare questo meccanismo perfetto?
FS: «Lo studios dopo il successo del botteghino del primo film tratto dalla serie voleva immediatamente un altro film, ma ci sono stati problemi tecnici dal 2002 al 2007 purtroppo. Ogni giorno aspettavo la chiamata per realizzare il secondo film, ma quando decisero finalmente di produrlo il budget previsto era la metà della stima iniziale, perché avevano smesso di credere al progetto come prima. La storia scelta probabilmente non andava bene per il secondo capitolo cinematografico, molto atteso dai fan. La tematica era troppo cupa e tetra, non c’era l’agognato arrivo degli alieni e il periodo scelto per distribuirlo fu l’estate, quando invece per le tematiche trattate sarebbe stato meglio fare uscire il film in inverno. Non abbiamo mai concluso la storia degli X-Files. Forse dovremmo farlo».
Possiamo dunque sperare in un ritorno di Mulder e Scully?
FS: «Io lo spero ancora!»
Ha già ipotizzato una storia a riguardo?
FS: «Si ci penso da molto e saprei come muovermi e cosa scrivere. Io e Carter ne abbiamo parlato a lungo. La storia di questa serie fa parte della memoria collettiva e sarebbe molto importante per noi poter onorare quell’immaginario. Dopo l’11 settembre del 2001 è stato difficile concludere la serie, perché X-Files non era più in linea con la morale degli Stati Uniti di allora. La ferita era fresca e la paranoia alta, non solo negli Stati Uniti ma in tutto il mondo. Ora però, a distanza di dieci anni, le persone sono di nuovo nel “mood” giusto per prodotti audiovisivi come il nostro».
In contemporanea continua a scrivere soggetti bellissimi, come Hunted. Quanto è difficile per lei staccarsi dalla mitologia di X-Files?
FS: «Sono molto scettico, non sono fan delle teorie della cospirazione nella realtà ma le adoro nel contesto della fiction. Se vuoi raccontare una storia creando fenomeni soprannaturali devi avere qualcosa da dire altrimenti risulterà stupida, e la gente riderà della tua storia. Quando creo la mitologia di una serie, come X-Files o Hunted, è qualcosa in cui credo davvero. Le tue ambizioni devono essere così alte che devi puntare il più in alto possibile altrimenti, atterrai basso, troppo in basso».
Il giorno più bello sul set di X-Files?
FS: «Se sei un autore non sei spesso sul set. Il giorno migliore è stato senza dubbio la premiere del primo film. Lo studio aveva affittato un pulmino e abbiamo fatto il giro di tutti i cinema di Hollywood, cosa che non ti capita spesso di fare. Abbiamo visto in diretta le reazione del pubblico. Al Chinese Theatre c’era una stanza segreta nel retro e ci hanno portato li. Quando arrivò il momento del quasi bacio tra Mulder e Scully abbiamo sentito in diretta la reazione di quasi 5000 persone, tra sospiri e urla. Cosa poteva essere meglio di questo?».