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North Shore Film Studios, Vancouver Nord, Canada. La linea d’ombra passa da queste parti. Ma cosa avrà a che fare una tranquilla e boscosa città in perfetto stile americano con le vertigini senza fine, le aperture verso mondi paralleli o la metà oscura che alberga in ciascuno di noi? Insomma, con tutto l’armamentario irrazional-immaginifico di “X-files”, il telefilm più in voga del momento? Le cime innevate delle montagne racchiudono Vancouver in uno scenario da cartolina, ma qui la realtà può solo virare verso l’orrore a un costo molto minore di quello richiesto da Hollywood. Ecco perché, tre anni fa, ha piazzato qua il suo quartier generale una giovane e coraggiosa casa di produzione capitanate dal creatore della serie, Chris Carter. Cento persone, “una grande famiglia! Come amano definirsi, che producono gli episodi al ritmo di uno ogni otto giorni di lavoro. Costo: un miliardo di lire l’uno, cifra alquanto modesta per lo standard americano. Mi avvio verso lo studio uno dove si sta girando l’episodio “Josè Chung from outer space” (Josè Chung venuto dallo spazio lontano). Gli agenti Dana Scully e Fox Mulder lo stanno interrogando. “Sarà una puntata divertente”, ci rivela David Duchovny, alias Mulder, quando lo incontriamo durante un intercallo delle riprese. “Siamo a quattro puntate dalla dine della terza stagione e ci siamo resi conto che troppe persone vengono uccise ogni settimana, così per questa volta cerchiamo di stare sul leggero”. Le riprese ripartono, ma qualcosa va storto. Le luci devono essere riposizionate e John Bartley, direttore della fotografia, lo definisce un caso di “L.B.A. Lighting By Accident” (illuminazione accidentale). “Per quanto cerchiamo di impostare e controllare le luci in relazione alla scena e all’azioe degli attori, a volte succede qualcosa di strano”, spiega John che con gli X-files dagli inizi della serie. “E’ appena accaduto con la scena che stavamo girando: all’improvviso l’illuminazione è andata per conto suo, ha per così dire improvvisato da sola… c’è da aspettarsi di tutto quando sei a contatto con gli X-files”. Mi salta in mente la musica del programma, quella specie di lamento tutto giocato sulle note del flauto (al compositore Mark Snow ci vollero ben cinque tentativi prima di soddisfare Carter). Il suo potere evocativo mi circonda. Avverto il mistero aleggiare nell’aria. David mi fa cenno di seguirlo. Fuori dallo studio c’è il sole, cosa rara nella piovigginosa Vancouver. “La settimana scorsa ha diluviato continuamente”, mi dice David mentre osserva on interesse una copia di “Sorrisi”. “Il tempo ci da spesso problemi quando giriamo le riprese in esterni. Pensa: dovevamo girare la scena di un funerale in Florida dove, come sai, fa sempre caldo. Ebbene, quel giorno si è messo a nevicare. Abbiamo dovuto metterci sull’erba a sciogliere la neve con una ventina di asciugacapelli.

Mentre parliamo ci viene incontro il mastino napoletano fedele cane da guardia di Gillian. Di persona la metodica e razionale agente Scully è piccolina, molto sexy, e ha un delizioso sorriso che raramente vediamo in Tv. Adora l’Italia, che ha visitato con il marito Clyde Klotz, lo scenografo incontrato sul set di “X-files” due anni fa. Se nella finzione lei gioca la parte della scienziata coi piedi per terra, tutta scetticismo e razionalità, nella realtà Gillian ha un debole per il lato misterico della realtà. E a riprova mi racconta quello che lei stessa definisce “The Venice Accident” (il caso di Venezia), capitatole lo scorso anno in occasione del suo soggiorno veneziano. “Siamo arrivati a Venezia con un giorno di ritardo perché avevamo perso il treno. Giunti in stazione la prima persona che incontro mi riconosce, “Oh mio Dio, ma tu sei l’agente Scully!”, mi dice, e subito mi racconta della mostra di un aborigeno australiano in una chiesa lì vicino, che devo assolutamente vedere. Insieme a Clyde ci avviamo verso il luogo indicato e subito ci imbattiamo nell’artista seduto nella piazzetta insieme alla moglie. Siamo rimasti a parlare con lui per cinque ore toccando ogni argomento: i secoli di cultura aborigena, la loro profonda accettazione della presenza di extraterrestri, l’approssimarsi della fine del millennio e il desiderio umano di aprirsi ai misteri dell’universo. Alla fine mi ha detto: “Lo so per certo, il tuo programma è guidato da forze spirituali, stai svolgendo un lavoro davvero importante”. David sgrana tanto d’occhi: “Non mi avevi raccontato questa storia”. “Mi ha riempito di energia positiva”, aggiunge Gillian. “Un po’ alla volta sto convincendo Chris Carter a introdurre presenze spirituali più positive, come angeli custodi per esempio. Sono convinta che questi messaggeri celesti potrebbero benissimo entrare a far parte degli X-files. Strano che in tre anni nessuno dei nostri autori ci abbia mai pensato”. Gillian sorride e aggiunge: “A parte il telefilm, nel mio futuro forse entrerà anche il cinema. Al momento sto vagliando tre offerte”. Le riprese della quarta serie di episodi incominceranno ad agosto e qualche cambiamento si avverte nell’aria. “Scully e Mulder si innamoreranno?”, chiedo. Perché diciamocelo: ci sono certe pause tra di loro, certi momenti di attesa o sguardi prolungati che se non sono d’amore suggeriscono comunque che fra i due esiste un’intimità dell’anima che travalica il campo professionale. Chris Carter ha una risposta pronta: “Una telespettatrice ci ha scritto una lettera affermando che getterà il televisore dalla finestra se Scully e Mulder si baceranno. L’ho assicurata che non succederà. Non voglio che la loro vita privata diventi più importante delle loro investigazioni”.

Quindi niente amore per i due agenti. Perché anche se fra loro (molto furbescamente) c’è una sotterranea corrente tutta giocata sul silenzio, l’interesse e il successo della serie non ha a che vedere col cuore. “X-files” è figlia della sua epoca per una svariata serie di motivi. Primo: ripesca dall’enorme magazzino del nostro immaginario temi e figure che rimandano a noti fantasmi. Volete gli esempi? La ragazza con capacità psicocinetiche dell’episodio “Ombre” rimanda a “Carrie” di Brian De Palma, il computer di “Lo spettro nella macchina” pronto a uccidere per non essere eliminato è un diretto nipotino del grande Hal di “2001 Odissea nello spazio” di Kubrick, l’episodio “Ghiaccio” ricorda “La cosa” di Carpenter: e l’elenco potrebbe continuare. Secondo: “X-files” non dà soluzioni, non ricompone un mondo pacificato. Come dice Mulder a Scully: “Non ho spiegazioni. Cerca tu la risposta che più ti rassicura”. Nella nostra quotidiana schizofrenia fra razionalità e irrazionalità (così ben rappresentata dai due diversi caratteri di Scully e Mulder), siamo soli. Terzo: i due agenti cercano una verità che sempre sfugge anche perché l’Fbi occulta, insabbia tutto ciò che ha a che vedere con fenomeni paranormali. O, meglio, da una parte indaga e dall’altra nasconde. Massimo dell’ambiguità, massimo della schizofrenia. L’ideale di verità americano è infranto per sempre. E non a caso Chris Carter appartiene alla generazione segnata dall’assassinio di Kennedy e dal caso Watergate. Carter afferma: “Le storie non provengono dagli archivi dell’Fbi. Le idee le troviamo da qualsiasi parte: nei giornali, nelle storie che sentivamo da bambini, nelle discussioni che facciamo”.

Ma, sentendolo parlare, non si può fare a meno di ricordare due frasi che ripetutamente vengono dette a Mulder dai suoi capi: “Non ti fidare di nessuno” e “Nega tutto”. Prima di lasciare il set di Vancouver ho fotografato David accanto alla roulotte. Quando la pellicola è tornata dal laboratorio era stranamente virata al blu. Ho pensato all’effetto L.B.A. descrittoci da John Bartley e alla sue parole: “C’è da aspettarsi di tutto quando sei a contatto con gli X-files”. E ancora una volta quella musica strana e prolungata ha vibrato intorno a me.

 
 

Trascritto da Carlotta Casoni

 

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