La prima volta che ho visto Gillian Anderson interpretare un ruolo che non fosse Scully è stato quando ho comprato la videocassetta di “Scherzi del cuore” (ovviamente, comprata apposta per vedere lei). Il film era una piacevole commedia corale dove Gillian si trovava a lavorare accanto sia ad attori emergenti che ad attori consumati del calibro di Sean Connery.
Gillian girò quel film nel pieno del successo di X-Files e, seppur sforzandomi, proprio non riuscivo ancora a separarla da Scully. La guardavo sullo schermo della tv e non potevo fare a meno di pensare “Che diavolo sta facendo Scully?? Perché si comporta così??”.
Negli anni seguenti ho continuato a seguirla in X-Files interessandomi solo casualmente agli altri suoi progetti lavorativi. Al termine della serie Gillian Anderson si è trasferita a Londra per fare teatro, ma qui da noi l’eco delle sue performance non è mai arrivato pienamente. Ho iniziato solo relativamente di recente a documentarmi sulla sua filmografia, grazie soprattutto all’aiuto di Internet, visto che molti dei suoi lavori da noi non sono mai stati distribuiti ed a volte mai neanche arrivati sul mercato dell’home video.
Bionda, magra, coi capelli lunghi. Così si presentava ne “L’ultimo di Re di Scozia”. Ma nel film che valse l’Oscar al suo attore protagonista, la sua parte era talmente piccola che proprio non riusciva a soddisfare il mio bisogno di vederla in altri ruoli. Sono rimasta impressionata quando l’ho vista in “Straightheads” (in italiano “Vendetta a due” uscito solo sul mercato dell’home video). In quel film Gillian interpreta una donna che subisce un’aggressione e che decide di reagire vendicandosi dei suoi assalitori. Il film è un crescendo di violenza, è un film “disturbante”, e lo diventa proprio grazie all’interpretazione di Gillian e del protagonista maschile Danny Boyle.
“How to lose friends & alienate people” (in italiano “Star system - Se non ci sei non esisti” uscito a maggio nei cinema) ci mostra invece una Gillian Anderson alle prese con un ruolo più leggero, comico, ma pur sempre una piccola parte.
L’anno scorso c’è stato poi “I Want To Believe” in cui Gillian ha ripreso il ruolo che l’ha resa famosa. E’ di questi giorni la notizia della sua nomination per quell’interpretazione ai Portal Awards.
Fin dalla prima visione del film ero rimasta impressionata dalla sua interpretazione, il modo in cui era riuscita a riportare indietro Scully, gli stessi occhi, le stesse movenze, lo stesso carattere, ma allo stesso tempo era riuscita a farla crescere, così come richiesto dalla storia. Era la solita Scully, la Scully che tutti abbiamo amato per nove anni, ma era diversa, più matura, segnata dalle esperienze passate, con ferite ancora aperte che condizionano la sua vita. La Scully di sempre appunto, ma una nuova Scully.
Gillian Anderson è attualmente impegnata in teatro a Londra. Interpreta la protagonista dell’opera “Casa di bambola” di Ibsen (in cartellone alla Donmar House fino al 18 luglio). Ho avuto la grande fortuna di andarla a vedere qualche tempo fa. Ho sempre pensato che fosse una brava attrice, ma non mi aspettavo niente di quello che ho visto.
Il teatro della Donmar House è di dimensioni veramente ridotte, l’atmosfera è molto raccolta ed il palco, posto a livello della platea, è racchiuso da tre lati dagli spettatori. L’opera dura circa due ore e Gillian è presente sul palcoscenico per tutta la durata tranne che in una scena di circa cinque minuti. Il cast è formato da attori di tutto rispetto (anche se praticamente sconosciuti da noi) ma è Gillian la protagonista, con la sua interpretazione di Nora. L’adattamento del racconto di Ibsen ad opera di Zinnie Harris sposta la storia originale nella Londra dei primi del ‘900, in un periodo in cui regnavano l’ipocrisia ed il potere.
Nora ama suo marito, ma nel momento in cui lei rischia la sua reputazione per salvare la vita del consorte, inizia a porsi delle domande sulla sua devozione, sul suo ruolo nella famiglia e nella società, e si ritrova a combattere per la sua stessa vita.
Gillian Anderson lascia increduli una volta salita sul palco. Fa il broncio, ride, scherza, si fa seria, urla, lotta, balla, ha gli occhi gonfi di disperazione, la voce rotta dalla paura e piange lacrime, lacrime vere.
Un’interpretazione emozionante che mi ha portato, quasi inconsapevolmente, a seguire quasi sempre solo lei mentre era sul palco per timore di perdermi “qualche cosa”.
Mentre si muove da un fronte all’altro del palcoscenico, il pubblico la segue, partecipa emotivamente alla storia, ne rimane rapito.
E’ incredibile ammirarla soprattutto nei passaggi in cui il suo personaggio non ha battute. E’ in scena, ma tutto, la trasparenza delle proprie emozioni e dei propri pensieri, viene lasciato alla mimica facciale ed al linguaggio del corpo. Thomas, il marito, aggredisce Nora verbalmente, ma lei non risponde. Si chiude in un silenzio più rumoroso di mille parole. La sua espressione, occhi abbassati e lucidi, sguardo fisso al pavimento, il corpo che tenta di racchiudersi in sé stesso. E’ così che l’attrice comunica lo stato d’animo del suo personaggio in quella scena. Impossibile smettere di fissare Gillian sul palco in quei momenti.
Senza parole. E’ così che mi ha lasciato l’intero spettacolo. La scena drammatica del ballo, il finale in cui Nora prende coscienza di sé stessa (la battuta “Io sono Nora” viene recitata da Gillian con una potenza senza uguali in tutto il resto della rappresentazione), ogni scena meriterebbe di essere citata.
Al termine dello spettacolo tutti gli attori tornano sul palco per salutare il pubblico e la standing-ovation è d’obbligo. La performance è eccellente per tutti, ma è inutile negarlo, quasi sempre la maggioranza delle persone è lì per vedere Gillian Anderson ed alla fine gli applausi per lei, meritatissimi, sembrano non finire mai.
Vederla recitare ad un paio di metri di distanza dalla mia poltrona è stato shoccante perché la “piccola” Gillian Anderson domina il palco come una “grande”. Che il teatro sia veramente la sua dimensione naturale come attrice?
Sono uscita dalla Donmar House pensando che fosse un vero peccato. E’ un peccato che questa attrice sia così poco conosciuta, soprattutto qui in Italia, e che la si ricordi quasi sempre solo per il ruolo di Scully in X-Files. Gillian Anderson è stata formidabile in quel ruolo, e sarà la nostra unica ed inimitabile Scully per sempre, ma adesso è molto più di quel personaggio. Qui si dimostra anche l’incredibile intuito di Chris Carter che, nell’ormai lontano 1992, rischiò tutto pur di ingaggiare una giovane e totalmente sconosciuta ragazza punk per interpretare il ruolo di punta della sua serie tv. Chris Carter è riuscito a vedere in lei quel potenziale che nessun altro prima di lui aveva neppure intravisto, ed ha lottato duramente anche quando l’anno seguente i vertici del network avrebbero fatto molto volentieri a meno di Gillian.
Insomma, se passate per Londra in questi giorni vi consiglio di non mancare l’appuntamento con “A Doll’s House”.
Protagonista, Gillian Anderson.