«Non è una questione di soldi, erano anni che aspettavo di fare questo film». David Duchovny è tornato a vestire i panni di Fox Mulder, l'agente speciale dell'Fbi che lo ha reso famoso nella serie televisiva «X-Files» in «Voglio crederci», il secondo film tratto dalla serie, in uscita nelle sale americane il 25 luglio, che riprende le avventure degli investigatori del paranormale (in Italia arriverà il 22 agosto). Accanto a Duchovny ci sarà ancora una volta Gillian Anderson, nei panni di Dana Scully.
Duchovny, che cosa ha significato per lei tornare a interpretare Fox Mulder?
«Lo desideravo. Ho sempre voluto continuare a essere questo personaggio. Anche quando il telefilm è terminato, sentivo di voler riprendere in mano in qualche modo la storia. Così questo secondo film mi ha entusiasmato, anche se non è stato semplice, all'inizio almeno. Sa, ho provato un po' di paura, temevo di essere cambiato io o di sembrare addirittura ridicolo».
Mulder è diverso da come era nel 1993, quando la serie è cominciata, o nel 2002, quando sono terminati gli episodi della nona stagione?
«Sì, è cambiato. È maturato, invecchiato. Ha perso quell'ingenuità che gli faceva pensare di poter risolvere ogni mistero e vincere ogni sfida. Dopo nove anni di imprevisti e insuccessi, anche Mulder si è reso conto che non sempre si può vincere».
È diventato più cinico?
«Forse cinico non è la parola più adatta. Non è cinico perché comunque non si arrende, e combatte fino all'ultimo. Il suo essere eroico sta proprio lì, nel cercare di arrivare alla verità senza darsi per vinto. E nel film torna ad avere quell'energia e quell'entusiasmo che lo caratterizzavano all'inizio della serie. Quindi, in un certo senso, è invecchiato e maturato tornando alle origini».
Come è stato lavorare con gli altri membri del cast, da Chris Carter, a Gillian Anderson?
«Con Chris ero sempre rimasto in contatto, entrambi aspettavamo il momento giusto per tornare a lavorare insieme. Con Gillian, invece, è bastata la prima scena insieme per ritrovare la chimica che c’era tra noi».
Lei, però, è anche tornato in tv in «Californication», la serie che racconta le vicende di uno scrittore che cerca di sfondare nel mondo del cinema. Cosa l'ha spinta a scegliere di nuovo il piccolo schermo?
«Ho cominciato a prendere nuovamente in considerazione questa possibilità quando ho scoperto la tv via cavo: le stagioni durano solo 12 settimane e non 24 come nei network, i canali pubblici. In più, questo tipo di televisione è un luogo più libero e creativo: si può utilizzare qualsiasi tipo di linguaggio, dire parolacce, mostrare scene di sesso che altrove sarebbero censurate. Neanche il cinema indipendente è più così libero, cercano tutti di vincere la lotteria. E poi la tv via cavo non deve accontentare tutti, dai bambini di 7 anni agli ultra 65enni. Per quanto riguarda il ruolo, era un po' di tempo che aspettavo una parte comica, ma adulta, un personaggio non troppo goffo».
Negli ultimi sei anni lei ha interpretato soprattutto film indipendenti.
«Queste cose vanno a cicli, a onde: ci sono alti e bassi, e se sei fortunato vai su e giù, altrimenti resti giù. A questo punto della mia carriera, però, mi sento molto fortunato. Ho trovato due ruoli in cui credo, che mi piacciono molto e che rappresentano una sfida continua. Tutto il resto è contingente al lavoro ed è qualcosa su cui non ho controllo. Sarei felice se il film di “X Files” fosse un grande successo perché mi permetterebbe di farne altri».
Tra le sue passioni ci sono anche la scrittura e la regia. Continua a coltivare entrambe?
«Non mentre sono impegnato con la serie. Quando interpretavo “X Files” avevo tempo di dirigere alcuni episodi perché, in un arco di 24 puntate, gli sceneggiatori potevano darmi più tempo libero, mandare Mulder in missione e non farlo apparire così spesso. Questo mi dava il tempo di prepararmi per la regia. In “Californication”, invece, non mi sembra giusto chiedere del tempo libero in un arco di tre mesi. Posso dirigere solo il primo episodio di ogni stagione, come ho fatto e spero di continuare a fare per tutto il tempo che durerà lo show».
E per quanto riguarda la scrittura?
«Continuo anche con quella, ma ho bisogno di avere un blocco di settimane in cui non lavoro a nient'altro. Ora non ho l'energia per andare a casa, dopo una giornata sul set, e mettermi a scrivere. Ho anche una famiglia, e altre priorità».
A proposito di famiglia, vorrebbe lavorare con sua moglie, l'attrice Tea Leoni?
«L'ho diretta, una volta in “House of D”, ma non credo potrei recitare con lei, soprattutto non interpretare una coppia sullo schermo. Credo che al pubblico non piacciano queste cose, quando io vedo un film in cui due persone, sposate nella vita reale, stanno insieme mi chiedo perché non facciano queste cose in privato».