
Dopo anni rimasti fermi ad aspettare il via libera per il loro progetto, Chris Carter e Frank Spotnitz si sono trovati all’improvviso a dover andare molto di fretta per la realizzazione di I Want to Believe. “La data di uscita che ci hanno imposto rendeva le cose difficili” ha dichiarato Carter. “Con circa 60 giorni di riprese, la maggior parte a Vancouver, un budget modesto, una fase di preparazione ed una di post-produzione molto brevi. Abbiamo iniziato a girare il 10 Dicembre ed abbiamo finito il 19 Marzo, ma sono sembrati un centinaio di giorni perché tre di quelle settimane abbiamo girato sulla neve”.
Chris Carter è stato aiutato notevolmente da un’attenta pianificazione che lui e Frank Spotnitz hanno preparato sulla sceneggiatura. “ Non giravo una scena dieci volte se avevo ottenuto quello che volevo durante la terza ripresa. Andavo avanti”.
Per tenere il passo con le sue riprese, Chris Carter ha convinto il suo vicino di casa, Richard Harris, vincitore di un premio Oscar per il montaggio del film Titanic, ed ormai in pensione, a tornare al lavoro per lui e montare il suo primo film tramite l’utilizzo del software Final Cut Pro, sviluppato dalla Apple.
“La programmazione qui era il vero cattivo che doveva essere ucciso”, dice Carter. “Non penso che avremmo finito questo film senza un sistema in grado di farci lavorare velocemente e senza l’aiuto di persone che sapevano usare bene quel sistema.” Una di queste persone è proprio Ryan Chavez, assunto dallo stesso Richard Harris.
Grazie alla conoscenza di questo software da parte di Chavez, Harris è stato in grado di montare pezzi di film in una sala montaggio realizzata nella casa di Chris Carter a Malibu, mentre la troupe stava ancora girando a Vancouver. Non appena ricevevano i nuovi spezzoni, Harris guardava tutti i giornalieri mentre Chavez iniziava ad organizzare il flusso del lavoro. Dopo questa fase, Harris era in grado di mettersi all’opera e montare i nuovi spezzoni del film.
Inoltre, grazie allo scambio di file Quicktime debitamente criptati, Chris Carter e Frank Spotnitz erano in grado di seguire il progresso del montaggio giornalmente, mentre si trovavano ancora sul set di Vancouver.
“Questa è stata la prima volta che ho avuto il lusso di vedermi consegnati i giornalieri digitali direttamente sul set”, dice Spotnitz. “Richard montava le scene ed il suo assistente mi mandava una mail con i link dove potevo scaricare i file Quicktime delle scene per guardarli. Se c’era un imprevisto potevo farlo vedere a Chris per fare in modo di correggerlo prima che fosse terminata la fase di fotografia del film stesso. Questo ci ha permesso di avere molti frammenti che abbiamo capito che volevamo realizzare, e ci ha fatto risparmiare un sacco di tempo e denaro”.
Grazie a questo sistema, Chris Carter ha potuto mostrare allo studio la prima versione del film solo dopo tre settimane di montaggio, meno della metà del tempo che gli era stato concesso da contratto. “Un mese dopo aver terminato le riprese, ho dato a Richard una settimana di tempo per montare, prima di andare da lui e vedere il risultato. Il primo montaggio, che spesso viene chiamato “montaggio suicida”, non era niente del genere. Si poteva già vedere la forma della storia, ed è stato molto entusiasmante”.
Lavorando con Harris, Chris Carter e Frank Spotnitz hanno portato la durata del film da 2:39 ad 1:45. “Abbiamo finito alla fine di maggio”, dice Spotnitz, “Nel mondo cinematografico non è mai esistito andare così veloci”.
FONTE: Apple
Iscriviti alla nostra newsletter
per ricevere tutti gli aggiornamenti su X-Files e sul nostro sito.Non ti intaseremo la casella di posta elettronica, promesso! Sì, voglio iscrivermi!